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Giustizia al collasso.

Giustizia al collasso.Caro ministro Orlando, questa giustizia è vergognosamente lenta. È ora di intervenire.A Latina,ad esempio,basta un difetto di notifica per rinviare ad un anno un’udienza.Eclatante il “caso Sperlonga”

L’Espresso, 25 settembre 2017

Caro ministro Orlando, questa giustizia è vergognosamente lenta. È ora di intervenire

Lettera aperta al titolare di via Arenula. Perché, malgrado le riforme, il sistema in Italia ancora non funziona e a farne i conti sono soprattutto cittadini e imprese. Ecco alcuni suggerimenti sulle misure da prendere urgentemente

DI LIRIO ABBATE

Ministro Andrea Orlando, inizio questa lettera aperta dandole atto che durante la sua permanenza in via Arenula sono stati fatti dei tentativi per migliorare il sistema giudiziario italiano. È stata una legislatura in cui il Parlamento ha provato a mettere mano ad alcune riforme che attendevano da anni. E l’impegno finanziario dello Stato per l’amministrazione giudiziaria è aumentato. Le note positive, tuttavia, purtroppo finiscono qui.

I cittadini continuano a pagare sulla loro pelle l’incredibile lentezza dei processi e di conseguenza la mancata affermazione della giustizia sia civile sia penale. Il sistema, così, non funziona. Ci sono troppi granelli di sabbia che inceppano la macchina.

Il problema dei processi infiniti fa notizia di rado, magari quando coinvolge qualche politico importante. Ma questo dramma riguarda, silenziosamente, milioni di cittadine e di cittadini che hanno a che fare con i tribunali: vuoi come vittime di un reato, vuoi come imputati, vuoi come avversari in un contenzioso. Riguarda poi centinaia, migliaia di imprese. E quindi ha conseguenze economiche pesanti su tutto il Paese: gli imprenditori, in particolare quelli stranieri, non vogliono correre il rischio di affidarsi a un iter giudiziario lungo e incerto. La giustizia infinita è un gigantesco disincentivo a investire in Italia.

Riguarda quindi tutta la credibilità all’estero del Paese, della nostra modernizzazione, del nostro far parte di quella parte del mondo che non resta indietro nella corsa globale.

Troppi granelli di sabbia, si diceva, e forse su qualcuno si potrebbe intervenire.

Si potrebbe, ad esempio, rivedere la norma secondo cui la sentenza deve essere emessa per forza dagli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento: oggi infatti accade troppo spesso, nei tribunali, che se un magistrato va in pensione o cambia incarico tutto il processo deve ricominciare dall’inizio. Ci sono migliaia di processi che si svolgono davanti a giudici monocratici gran parte dei quali cambiano ruolo o sede ogni tre o quattro anni. E ciò comporta che molti dibattimenti non si concludono con una decisione perché nel frattempo arriva la prescrizione. Basterebbe in questo caso una riforma per stabilire che gli atti compiuti sono validi salvo che il giudice subentrante ritenga necessario un’integrazione di uno o più atti. Far ricominciare un processo quando si è a metà del cammino dibattimentale è un lusso che la nostra giustizia non si può più permettere.

Perché non liberare poi la magistratura da tutta una serie di compiti amministrativi che non hanno nulla a che fare con la giustizia, come ad esempio l’amministrazione dei beni sequestrati o confiscati? Adesso infatti è il gip a controllare i beni durante i sequestri preventivi. Un compito che dovrebbe spettare all’amministrazione e non ai giudici per le indagini preliminari, che sono già schiacciati da enormi carichi di lavoro. Oggi la figura dei gip è chiamata a risolvere e ricoprire troppi altri incarichi, tutti concentrati in una sola persona: dispone le intercettazioni, ordina misure cautelari richieste dai pm e scrive le motivazioni di sentenze per i procedimenti che si concludono con il rito abbreviato, diventati ormai tanti.

C’è poi un altro imbuto giudiziario su cui bisogna rimettere mano. Sono i giudici di pace e i magistrati onorari che portano avanti con grande fatica la “piccola” giustizia quotidiana. Piccola per lo Stato, non certo per i cittadini. La riforma della magistratura onoraria raddoppia per loro i carichi di lavoro, ma ne vieta allo stesso tempo l’utilizzo per più di due giorni alla settimana. In questo modo si fa dilatare la durata già irragionevole di processi che investono una grande massa di cittadini.

In ultimo, ma non per importanza, c’è da riformare la polizia penitenziaria facendola diventare la “polizia della giustizia”. Occorre attribuire a questi agenti nuove competenze: controllare i detenuti ai domiciliari e quelli sottoposti a misure alternative, proteggere i collaboratori di giustizia. In sostanza, assicurare tutti gli aspetti esecutivi della pena, anche fuori dai penitenziari.

Rafforzare e sostenere il “Gruppo operativo mobile” che si occupa esclusivamente dei detenuti mafiosi al 41bis. Insomma, creare un corpo di polizia ad alta qualificazione con le funzioni dei probation office americani e dei marshall, in vista dell’introduzione sempre più massiccia di pene alternative. Insomma, quello che è stato fatto non basta, signor ministro. Certo, lo sappiamo: c’è anche un problema di risorse, e i nuovi bandi di concorso per magistrati e personale amministrativo non bastano per sostituire chi va in pensione. Ma – lo dica al premier, lo dica ai ministri economici – per un Paese moderno una giustizia efficiente non è una spesa: è un investimento. Che, se funziona, rende anche molto bene. Tanto in termini economici quanto in termini di fiducia nello Stato, quindi di stabilità e di coesione sociale.