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ESCLUSIVO. Don Tano Badalamenti tirò fuori 500 milioni di lire per corrompere il giudice spagnolo che consentì ad Antonio Bardellino di uscire dal carcere

ESCLUSIVO. Don Tano Badalamenti tirò fuori 500 milioni di lire per corrompere il giudice spagnolo che consentì ad Antonio Bardellino di uscire dal carcere

SAN CIPRIANO DI AVERSA – (Tina Palomba) Oltre 500 milioni di vecchie lire furono pagati dal boss mafioso di Cinisi Gaetano (detto Tano) Badalamenti, per corrompere i giudici spagnoli e fare scarcerare Antonio Bardellino dalla prigione di Madrid nel 1983. La storia salta fuori da alcuni rapporti dei servizi segreti spagnoli e italiani. ‘Caso Bardellino: El mayor escàndalo judical 1984-1988. E’ il titolo di una trasmissione (Jota Efe Buite) che recentemente si è occupata dello scandalo che costò tanto alla carriera di un giudice, costretto alle dimissioni. La somma fu pagata dalla mafia siciliana, proprio da Don Tano, amico fraterno di Bardellino, tramite uno dei suoi avvocati dell’epoca, José María Stampa Braun, uno dei più prestigiosi legali spagnoli degli ultimi 40 anni.

Professore di diritto penale, una tesi anche in italiano a Bologna, ma soprattutto nel 1999 viene nominato avvocato di Augusto Pinochet in Spagna. Muore a Madrid il 25 dicembre 2003, all’età di 78 anni. Un anno dopo, morirà nella prigione del Massachusetts, anche il suo cliente siciliano più famoso, Badalamenti, mandante del delitto di Peppino Impastato, avvenuto a Cinisi, cioè il 9 maggio 1978, nello stesso giorno in cui il corpo Aldo Moro fu trovato in via Caetani.

Badalamenti, negli anni più importanti della sua ascesa criminale che l’avrebbe portato, nel 1985, al definitivo arresto negli Stati Uniti, in quanto figura di coordinamento criminale della cosiddetta “Pizza Connection”, trovò anche il tempo di dare una mano ai suoi amici della camorra campana. Risale, infatti, al 1984, un’intercettazione del FBI con la quale i “federali” americani vennero a conoscenza di un incontro che il boss dei due mondi aveva programmato con esponenti della camorra casertana.

I contorni dell’accaduto sono ancora oggi poco chiari. In base a diverse ricostruzioni pubblicate fino a qualche anno fa dal noto quotidiano spagnolo El Pais, la compagna di Bardellino, Rita De Vita, che il boss fondatore del clan dei Casalesi sposò e dalla quale ebbe tre figli, che non hanno continuato la vita criminale del padre. Tra loro, c’è anche quel Riccardo Bardellino De Vita che ha avuto successo in Sud America e a cui CasertaCe dedicò tempo fa un servizio giornalistico, come regista dinematografico.

Rita De Vita, sempre secondo la ricostruzione di El Pais, avrebbe pagato 10 milioni di pesetas ad una prostituita, una ballerina, sentimentalmente legata al giudice Jaime Rodrigugez Heremida, con un curriculum già barcollante, prima ancora che nella sua vita entrasse il caso Bardellino, visto che dalle sue note biografiche emerge la definizione, non certo entusiasmante di “angelo custode dei contrabbandieri galiziani. Una carriera segnata, visto che nel 1996, arriva l’espulsione dai ranghi giudiziari spagnoli.

Jaime Rodrigugez Heremida era intimo amico di un secondo giudice, Ricardo Varòn Cobos, firmatario del provvedimento di libertà provvisoria a favore di Bardellino.

La De Vita, dopo aver ricevuto i soldi dall’avvocato di Badalamenti, riesce a pagare una grossa cauzione che determina la scarcerazione, in libertà provvisoria del padrino, che aveva iniziato la sua carriera criminale rapinando i tir dopo aver fatto per qualche tempo il meccanico.

All’epoca, gli avvocati italiani di Antonio Bardellino erano Giuseppe Garofalo e Alfonso Reccia, promettono la consegna di Bardellino alle autorità italiane. Ma intanto, Bardellino viene intercettato mentre si reca in Brasile. Il boss di San Cipriano, dunque, da quell’aereo, non scese, lasciando senza parole le forze dell’ordine che lo aspettavano in un aeroporto italiano. La sua mancata estradizione diventò un vero e proprio scandalo internazionale e interno alla magistratura catalana. A Barcellona, dove si era rifugiato (prima dell’arresto) e dove viveva in un appartamento di lusso in una delle strade più centrali, Bardellino era stato stanato dalla Criminalpol comandata da Emanuele Lo Befalo.

Con lui, in qualità di vice, c’era Romano Argenio che a Bardellino puntò la pistola in faccia, intimandogli di arrendersi, in un bar di Barcellona, il 2 novembre dell’ 83.

Con Bardellino, che non oppose resistenza, venne arrestato il fidato collaboratore Raffaele Scarnataro. Proprio in quel periodo il superboss faceva molte telefonate in Italia. Qualcuna venne intercettata. Diceva che voleva rientrare per difendersi da accuse infamanti. Scarnataro, complice di Bardellino, guarda caso, non fu scarcerato.

La cauzione milionaria consegnata dalla De Vita fu versata solo per il boss Bardellino. Il capoclan in seguito continuò a spostarsi per il mondo, organizzò un traffico di cocaina attraverso “Brass Fish” import –export pesce surgelato, anche se non ha mai voluto che nella aua San Cipriano si spacciasse droga.

Bardellino è ricordato in loco, cioè nel suo comune, anche per la passione, da ex meccanico, quella delle Oldsmobile o auto d’epoca. La sua preferita, una di colore verde. La stessa che porterà con se nella casa in Brasile e che consentirà a Mario Iovine di avere la certezza di averlo trovato e di poter completare la sua missione di morte. A raccontare questo particolare, è stato Ciro Esposito, il presunto testimone dell’omicidio, morto tre anni fa, che le forze dell’ordine e la magistratura non hanno mai preso sul serio dato che non si ricorda un interrogatorio specifico relativo ai fatti del delitto di Bujos.

 

18 Maggio 2019

Fonte:https://casertace.net/