Nel 2019 una «punizione» per i pedaggi sul traffico di droga
Episodio non denunciato per evitare i riflettori delle forze di polizia
GRAZIELLA DI MAMBRO – Latina Oggi, Giovedì 5 settembre 2024
E’ una donna l’ultima pedina chiave del ruolo che gli eredi, quantomeno morali, di Antonio Bardellino, hanno nel sud della provincia di Latina. Ufficialmente sconfitti, apparentemente silenti, dei nipoti del boss in realtà hanno parlato più volte i pentiti, soprattutto Giuseppe Basco, circa il ruolo che ancora avrebbero nel controllo del traffico di sostanze stupefacenti. Come aveva già dichiarato proprio Basco, per poter immettere droga nel sud pontino bisognava pagare dei dazi. In parte ad una famiglia di Giugliano ora di stanza a Gaeta. E in parte ai Bardellino. Era un pedaggio. Ad andare oltre questa descrizione già pubblica è stata una nuova collaborante, la compagna di Giuseppe Basco che riferisce di una specifica ritorsione avvenuta nel 2019 e non denunciata dalla vittima per evitare i riflettori delle forze di polizia. Sullo sfondo c’è sempre Antonio Bardellino. O il suo fantasma. La sparizione del fondatore del clan dei casalesi nel 1988 in Brasile viene, come si sa, riconosciuta nella sentenza del processo Spartacus. Ma qualcosa non torna da un paio di anni e la Direzione distrettuale antimafia di Napoli sta cercando di risolvere il rebus con l’indagine coordinata dal pm Vincenzo Ranieri. Avrebbe potuto dare un decisivo contributo alla risoluzione di questo intrigo la collaborazione con la giustizia di Francesco Sandokan Schiavone, ritenuto l’istigatore della fine di Bardellino, attuata per prenderne il posto al comando del clan. Ma, come si sa, il dialogo che Schiavone, a marzo scorso, aveva avviato con lo Stato, almeno per ora, è stato interrotto. Tuttavia le ultime verifiche hanno corroborato un’ipotesi già accreditata, ossia che il sodalizio e la relativa allure criminale di Bardellino non sono mai morti, nonostante l’esilio della famiglia a Formia. Alcune delle persone vicine al boss di San Cipriano d’Aversa hanno trasformato quello che doveva sembrare il rifugio di Formia, imposto dai nuovi vertici del clan dei casalesi, nel quartier generale di nuove attività delittuose da gestire. Tra questi business c’è quello della droga, un affare che, anche quando non è stato controllato direttamente dai Bardellino, avrebbe comunque permesso loro di ricavarne cospicue somme di denaro pretendendo una quota mensile da chi spacciava. A fornire nuove indicazioni è stata E.O., compagna di Giuseppe Basco, collaboratore di giustizia . Basco; stando a quanto riferito dalla donna, aveva avviato un rapporto commerciale, riguardante la compravendita di droga, con dei soggetti originari di Arzano, che però avevano iniziato a smerciare stupefacenti a Formia e dintorni. «Pagavano un rateo mensile di 2mila euro ai Bardellino per poter spacciare – ha riferito E.O. – Grazie all’intervento di Giuseppe, però, non pagarono più questa tangente». A seguito di tale intervento, alcuni componenti della cosca Bardellino misero in atto una ritorsione proprio nei confronti di Basco. «Venne accoltellato alla testa e tuttora porta una cicatrice sul lato posteriore del cranio, in quanto non si fece curare per evitare segnalazioni all’autorità giudiziaria. L’aggressione avvenne nel giugno 2019». Secondo questa ricostruzione, i Bardellino risposero col sangue a chi si era permesso di intralciare i loro affari. La Procura di Napoli, che sta cercando di far luce sul fantasma di Antonio Bardellino, l’anno scorso ha coordinato una serie di perquisizioni tra l’Agro Aversano e il Basso Lazio, eseguite dagli agenti della Dia e dalla Guardia di Finanza, misure determinate dal fatto che gli inquirenti hanno raccolto dichiarazioni, foto e intercettazioni in grado di supportare una teoria alternativa a quella della sentenza Spartacus. In base a quest’ultima pista Antonio Bardellino non venne realmente assassinato da Mario Iovine in Sudamerica nel 1988, ma visse e frequentò Formia. Nell’ambito di quell’ inchiesta, c’è anche un altro filone al vaglio della Dda di Napoli e riguarda un patto criminale tra due nipoti di Antonio Bardellino e alcuni esponenti del clan dei Casalesi. I protagonisti di questa presunta intesa criminale sarebbero Calisto e Gustavo Bardellino (a cui non viene contestato l’accoltellamento di Basco), rispettivamente figli di Ernesto e Silvio Bardellino, fratelli di Antonio; per altro fronte ci sarebbero Vincenzo Di Caterino ‘o piattaro e suo zio, Romolo Corvino, rappresentanti della cosca Schiavone.