Continuano gli sforzi di GdF e Adm a fronte dell’ingente narcotraffico dei clan. Dagli infedeli alla centralità del porto calabrese
Pubblicato il: 26/10/2024 – 12:46
di Giorgio Curcio
LAMEZIA TERME Un business imponente, milionario. Apparentemente senza fine. Gli arrivi, le individuazioni dei carichi e i successivi sequestri. Una macchina ben collaudata che, ormai da diversi anni, fronteggia un giro d’affari miliardario e fondamentale per la ‘ndrangheta calabrese.
L’ultimo in ordine di tempo eseguito insieme dalla Guardia di Finanza e dall’Agenzie delle dogane riguarda quasi 8 quintali di cocaina purissima (790 chili), uno dei più imponenti mai eseguiti e il più importante negli ultimi mesi. Una prova in più, qualora ce ne fosse davvero bisogno, che nonostante i sequestri e le decine di arresti, quello legato agli arrivi di droga attraverso il porto di Gioia Tauro continui ad essere una costante imprescindibile, qualunque siano i rischi e il prezzo da pagare. Come quello dell’ultimo carico: una volta immesso sul mercato, infatti, avrebbe fruttato alle organizzazioni criminali almeno 120 milioni di euro.
3,8 tonnellate di cocaina in un anno
Nel corso dell’anno, rende noto la Guardia di Finanza, nel porto di Gioia Tauro sono state finora sequestrate complessivamente circa 3,8 tonnellate di cocaina. Una ulteriore prova della centralità assoluta dello scalo portuale calabrese. I blitz eseguiti nello scalo di Gioia Tauro sono molteplici nel 2024. Lo scorso 9 ottobre sono stati 280 i chili di droga sequestrati all’interno di container sospetti, per un valore di oltre 40 milioni di euro. Tra i più importanti, poi, i 250 kg di droga sequestrati all’interno di un carico di finte banane e frutta esotica proveniente dell’Ecuador. Ancora più emblematico, poi, il sequestro di alcuni borsoni questa volta provenienti dalla Cina e con all’interno 150 kg di cocaina.
Gli “infedeli” al servizio dei clan
Risale, invece, allo scorso febbraio l’ultima operazione eseguita contro una organizzazione criminale dedita proprio narcotraffico internazionale, scoperta dalla Guardia di Finanza con il coordinamento della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria, con il supporto operativo dello Scico e con la collaborazione di Europol e della Dcsa. In quella occasione, infatti, gli inquirenti avrebbero accertato il contributo essenziale di «appartenenti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Gioia Tauro». Per gli inquirenti si tratta a tutti gli effetti di «infedeli» capaci prestare «il loro servizio nell’interesse associativo», diventati un anello cruciale per l’organizzazione. Erano garanti del transito – privo di controlli – dei containers contaminati e ovviamente si chiudeva un occhio sulle importazioni. L’infedeltà di alcuni di loro avrebbe così vanificato il tentativo di “frenare” la presenza della ‘ndrangheta nelle maglie degli addetti del Porto Gioiese attraverso la rendicontazione. Che, formalmente, doveva bastare per individuare e tracciare i containers contaminati ma che, «non impediva comunque agli infedeli funzionari di sviare il meccanismo di controlli predisposto dall’Agenzia di appartenenza». Grazie a loro, infatti, tutti i containers scansionati e ritenuti potenzialmente segnati da anomalie o difformità «non venivano mai inseriti nei verbali di esame-scanner redatti e sottoscritti dai funzionari doganali addetti a quell’attività».
Eureka e le dichiarazioni di Pasquino
Ancora più importante l’operazione “Eureka” sul narcotraffico dal Sud America all’Europa e le dichiarazioni rese dall’ex latitante e broker della ‘ndrangheta Vincenzo Pasquino, considerato «articolazione in Brasile della cosca di ‘ndrangheta dei Nirta di San Luca». Nell’interrogatorio del 7 maggio 2024, il primo verbale depositato nel processo “Eureka” in corso a Locri, Pasquino racconta che «nell’agosto 2017 (…) mi chiese si reperire delle persone per il recupero e la vendita di 200 kg di cocaina in partenza da Rio de Janeiro verso Gioia Tauro». E ancora: «Mi rivolsi al gruppo dei Nirta – spiega l’ex latitante – perché (…) non aveva più fiducia nei platioti. Ed infatti, poco prima (fine luglio/inizio agosto 2017), la Guardia di Finanza aveva sequestrato 50 kg di cocaina a Gioia Tauro partita dal porto di Santos, e altri 50 kg (forse a maggio 2017) spedita da (…) ai platioti. Prima ancora, nel 2015 (dopo l’operazione “Pinocchio”), (…) avevano mandato, sempre a Gioia Tauro, 180 kg ai suddetti platioti».
Il dominio della ‘ndrangheta nei porti
Un dato ancora più allarmante è quello che cristallizza il potere e l’influenza dell’organizzazione criminale calabrese attraverso il report di Libera “La Calabria, le Calabrie, storie di illegalità, percorsi di impegno” e che mostra come oltre un porto italiano su sette sia stato oggetto di interessi da parte della criminalità organizzata. «In almeno 54 porti italiani hanno operato 66 clan in attività illegali e legali, tra cui spiccano le mafie tradizionali: ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra, oltre a organizzazioni criminali come la Banda della Magliana, Sacra Corona Unita e gruppi criminali baresi». E l’influenza dell’organizzazione criminale calabrese è schiacciante: dei 66 clan, ben 41 appartengono alla ‘ndrangheta, attivi in diversi mercati illeciti. E a farla da padrone, spesso, sono state le cosche Nirta-Strangio di San Luca e Morabito di Africo. (g.curcio@corrierecal.