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SICILIA – Il “romanzo” del business dei rifiuti

Il “romanzo” del business dei rifiuti

di Bianca Stancanelli

Certifica l’Istat che, tra le venti regioni d’Italia, la Sicilia è ultima per percentuale di raccolta differenziata: il 79 per cento dei rifiuti va in discarica, la più lercia e primitiva delle soluzioni. Una colossale dimostrazione di incapacità? L’esito di una drammatica negligenza politico-burocratica? O il risultato, voluto e atteso, di un disegno?

Nel secondo atto dell’Amleto di Shakespeare, il vecchio Polonio s’imbatte nel giovane principe di Danimarca e lo ascolta pronunciare, in quello che sembrerebbe un delirio, parole che appaiono ispirate da un senso segreto. “È follia, eppure c’è del metodo in essa”, va pensando tra sé il saggio Polonio.

C’è del metodo anche nell’apparente, delirante gestione del ciclo dei rifiuti negli ultimi vent’anni di storia siciliana. Svelare quel metodo, descriverlo, decifrarne i meccanismi è il maggior merito della Relazione approvata dalla commissione antimafia dell’Ars.

Nel ripercorrere fasi, storie, personaggi, inchieste, pronunce di giudici o di precedenti commissioni parlamentari, la Relazione costruisce a partire dal 1999 (un altro secolo, un altro millennio) «il romanzo» di quel che si usa definire “l’emergenza” rifiuti.

Emergenza, chiosa il Dizionario enciclopedico Treccani, è “circostanza imprevista, accidente” o anche “…sull’esempio dell’inglese emergency, particolare condizione di cose, momento critico, che richiede un intervento urgente ed immediato”. Un’emergenza della durata di vent’anni è un insulto all’intelligenza, e non basta a renderla plausibile decorarla di aggettivi, definendola come “la perdurante emergenza” o la “costante emergenza”.

Nella permanenza dell’emergenza, c’è ben altro: un solido e stabile conglomerato di interessi, l’instaurarsi di quel che la Relazione definisce “un monopolio privato garantito e protetto dagli apparati amministrativi e politici”, che si fa scudo di “un governo parallelo, stabilmente presidiato da interessi privati e persino (in alcuni casi, non episodici) dalle ingerenze della criminalità mafiosa”. Lo strumentario per assicurare il trionfo di quel monopolio – costoso trionfo e costosissimo monopolio, a spese dei contribuenti – è multiforme. Ma tre strumenti svettano per astuzia e vanno segnalati.

Il primo è il rovesciamento paradossale del criterio della meritocrazia. Il modello è questo: c’è un posto delicato, nell’alta burocrazia regionale, nel quale la competenza potrebbe essere d’ostacolo alle manovre degli “apparati amministrativi e politici”? Benissimo, si nominerà a quel posto una persona totalmente digiuna della materia.

Ed ecco che la Relazione ricostruisce come in ventiquattr’ore, senza mai averlo chiesto e senza neppure che qualcuno glielo chieda, un funzionario venga sbalzato dalla poltrona di direttore all’Urbanistica a quella di direttore del dipartimento Ambiente e si veda planare sulla scrivania un codice di 650 articoli a lui completamente ignoti. Scomparso nel 2017, quel dirigente ha avuto almeno l’onestà di dichiarare la propria incompetenza davanti alla commissione d’inchiesta del Parlamento nazionale che lo aveva convocato.

Il secondo strumento, più affilato, più insidioso, è la distorsione dei meccanismi di garanzia per le gare pubbliche. La Relazione cita le indagini dei carabinieri del Noe sull’appalto per la costruzione di un impianto di compostaggio nell’Agrigentino e rievoca l’intercettazione di un dialogo tra un esponente della famiglia dei concessionari di una discarica e il suo legale. Argomento della conversazione: come intralciare la gara. Complicato? Macché: basta presentare una documentazione incompleta, farsi escludere, poi avviare un ricorso contro l’esclusione e così bloccare tutto.

Il terzo strumento, il più inquietante, riguarda l’uso di un delicatissimo congegno istituzionale: lo scioglimento dei Comuni per mafia. La Relazione mette in fila tre vicende parallele, che interessano Municipi della Sicilia orientale e occidentale e coprono un arco di sette anni e due governi nazionali. Sono vicende che sembrano ricalcare un identico copione.

A Siculiana il sindaco blocca i lavori di ampliamento della discarica; poco dopo viene indagato con l’accusa di aver favorito Cosa Nostra: prima che il gup si pronunci – con un’assoluzione “perché il fatto non sussiste” – il Comune è sciolto (giugno 2008, governo Berlusconi, ministro dell’Interno Maroni).

A Racalmuto nel maggio 2011 il sindaco dichiara che non manderà più neppure un chilo di immondizia in discarica, un mese dopo risulta indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, a ottobre il gip lo assolve da ogni accusa, cinque mesi dopo il Comune è sciolto per mafia (marzo 2012, governo Monti, ministro dell’Interno Cancellieri).

A Scicli nel luglio 2014 il Municipio nega l’ampliamento della discarica; due giorni dopo il sindaco si ritrova sott’inchiesta per concorso esterno, a dicembre si dimette; passano quattro mesi e il Comune è sciolto per mafia (aprile 2015, governo Renzi, ministro dell’Interno Alfano); nel luglio 2016 il tribunale di Ragusa azzera l’indagine e striglia procura e gip: «È inaudito che il processo abbia potuto superare la fase delle udienze preliminari».

La scelta di un funzionario impreparato per gestire un settore delicato; i maneggi di un’impresa per intralciare una gara d’appalto; gli incidenti giudiziari di sindaci poco addomesticabili: tutti fili di un governo invisibile che, riparandosi dietro lo scudo dell’emergenza, tesse affari, alleanze, reti di potere.

Ricordate la più celebre delle battute dell’Amleto? “C’è del marcio in Danimarca”. Non solo lì, purtroppo.

22 Maggio 2020

Fonte: https://mafie.blogautore.repubblica.it/