AMDuemila 12 Settembre 2024
Nuove piste investigative, ma anche nuovi enigmi, tra armi e lettere spedite dal carcere di Poggioreale a Napoli
A un anno dalla morte del boss stragista di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, restano ancora molti dubbi e misteri sulla sua lunghissima latitanza. Anche il sistema di protezione che per trent’anni gli ha permesso di sfuggire all’arresto rimane altrettanto enigmatico. L’arresto è infatti avvenuto solo negli ultimi mesi della sua vita, poco prima che morisse a 61 anni per un tumore al colon che non gli ha lasciato scampo. Dopo l’arresto del boss, considerato l’erede dei corleonesi, gli investigatori hanno sequestrato ben 122 chiavi, alcune delle quali sono ancora da identificare. In pratica, nessuno conosce quale porta aprano e, soprattutto, quali verità potrebbero celarsi dietro quelle porte. Ad ogni modo, quattro di queste chiavi hanno condotto gli investigatori verso una serie di garage situati in via Castelvetrano a Mazara del Vallo, un luogo che potrebbe aver avuto un ruolo centrale nella latitanza del boss di Cosa nostra.
Una delle quattro chiavi è stata trovata all’interno dell’auto di Messina Denaro, un’Alfa Romeo Giulietta nera. Questa chiave apre quattro cancelli che conducono ai garage e al cortile di un complesso residenziale a Mazara del Vallo. Un’altra chiave, che apre gli stessi cancelli, era in possesso di Lorena Lanceri, conosciuta anche come “Diletta”. La Lanceri era collaboratrice e amante di Messina Denaro e, insieme a suo marito Emanuele Bonafede, lo ha aiutato a sfuggire alle forze dell’ordine durante la sua latitanza. La terza e la quarta chiave erano invece detenute da Andrea Bonafede e Rosalia Messina Denaro, sorella del boss. Queste chiavi aprivano garage di proprietà dei fratelli Giuseppe e Sabrina Caradonna. Uno di questi garage era stato trasformato in un mini appartamento, il che ha fatto sospettare che potesse essere usato come rifugio da Messina Denaro. Per verificare questa ipotesi, sono stati raccolti campioni di impronte digitali e tracce biologiche. Le indagini si sono poi concentrate sulle abitazioni dei fratelli Caradonna, aprendo nuove piste investigative e svelando ulteriori misteri. Durante le perquisizioni, è stata trovata una pistola Walther semiautomatica nell’armadio della camera da letto di Sabrina Caradonna. Il marito di Sabrina, Giuseppe Di Giorgio, ha dichiarato di aver trovato la pistola dieci anni fa mentre faceva jogging. A suo dire, una banconota da 50 euro lo avrebbe attirato, e accanto ad essa avrebbe trovato la pistola in un borsello abbandonato. Il mistero si complica ulteriormente perché esiste una “gemella” di quella pistola, in possesso di un carabiniere della DIA in servizio a Trapani. Questo carabiniere, interrogato, ha dichiarato di aver acquistato la pistola nel 1996 dalla vedova di un medico. Sempre all’interno della casa dei coniugi Di Giorgio-Caradonna sono state scoperte anche delle lettere. Il mittente è Massimo Antonino Sfraga, e sono state spedite dal carcere di Poggioreale, a Napoli, tra il 2011 e il 2012. “La memoria – scrive il giornale online ‘Live Sicilia’ – va ai fratelli Sfraga di Petrosino, coinvolti nell’inchiesta sul controllo mafioso del trasporto su gomma dei prodotti ortofrutticoli destinati ai mercati della Campania. Venne fuori l’interesse di Messina Denaro, dei Casalesi e di Gaetano Riina, fratello di Totò, il capo dei capi della mafia siciliana”.
Dunque, le domande che ancora attendono una risposta sono tante: cosa aprono le restanti 120 chiavi che sono nelle mani degli investigatori? Perchè un carabiniere della Dia ha una pistola “gemella” di quella ritrovata proprio all’interno dell’abitazione di Caradonna? Misteri che si aggiungono ad altri misteri, come l’ipotesi che MMD fosse in possesso, durante la sua latitanza, di documenti e informazioni compromettenti sui legami tra mafia, politica e istituzioni deviate. Forse proprio queste informazioni hanno contribuito a rendere la latitanza del boss stragista così lunga?
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