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Lo stragista Filippo Graviano si dissocia da Cosa nostra perché vuole uscire dal carcere

L’Espresso

Lo stragista Filippo Graviano si dissocia da Cosa nostra perché vuole uscire dal carcere

Il boss palermitano condannato all’ergastolo per le stragi di Falcone e Borsellino e del 1993 vuole usufruire della nuova normativa per lasciare il 41 bis. Per ottenere il permesso premio. Grazie allo spiraglio aperto dalla Corte Costituzionale presieduta da Marta Cartabia, oggi ministra della Giustizia

di Lirio Abbate

18 FEBBRAIO 2021


Il capomafia Filippo Graviano, quello che ha ordinato l’uccisione del beato Pino Puglisi, che ha organizzato l’attentato a Paolo Borsellino e progettato ed eseguito l’attacco allo Stato con le bombe del 1993 a Roma, Milano e Firenze, ha chiesto al giudice di sorveglianza dell’Aquila un permesso premio. Ma non è solo questa la novità: l’ergastolano vuole uscire dal carcere per un giorno perché ha maturato, come ha comunicato ai magistrati, il proposito di dissociarsi dalle scelte del passato. Tutto ciò apre nuovi scenari nel contrasto alle mafie. Non è un “pentimento” del boss di Brancaccio, ma il tassello di una più grande strategia che punta a disarcionare il 41 bis, il carcere impermeabile, e far tornare liberi i boss condannati per omicidi. E una vicenda significativa che si collega alla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo e poi a quella della Corte costituzionale che nel 2019 ha dato una spallata all’ergastolo ostativo che impediva la concessione di benefici ai mafiosi che non collaboravano. Una norma introdotta all’indomani della strage di Capaci, proprio per “premiare” boss e gregari che saltano il fosso. Per Filippo Graviano il ripensamento normativo è una strada strategica su cui sta cercando di muoversi per tornare ad assaporare la libertà.


«Perseguire le finalità rieducative del condannato, senza trascurare, al tempo stesso, le esigenze della sicurezza della collettività, ma calibrando ogni decisione sul percorso di ciascun detenuto, alla luce di tutte le circostanze concrete», è il percorso che nell’aprile dello scorso anno l’allora presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, oggi ministra della Giustizia, indicava alla magistratura di sorveglianza. Parole particolarmente significative pronunciate nello stesso periodo in cui i giudici erano al centro di polemiche per la scarcerazione di boss della mafia.


Le affermazioni di Cartabia erano contenute nella relazione annuale sull’attività della Corte, nella parte dedicata al carcere e all’esecuzione penale, con il richiamo alle più importanti sentenze della Consulta in quel periodo. Di «speciale rilievo», ricorda l’allora presidente, oggi Guardasigilli, che ha dichiarato illegittimo l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui ai condannati per una serie di gravi delitti, a cominciare da mafia e terrorismo, non consentiva la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia e anche in presenza di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo di un loro ripristino. Quella disciplina impediva «ogni verifica in concreto del percorso di risocializzazione compiuto in carcere dal detenuto, rischiando di arrestare sul nascere questo percorso». Così ora quella e altre pronunce hanno dato gli strumenti alla magistratura di sorveglianza per poter esercitare «con attento discernimento i propri poteri discrezionali».


Filippo Graviano è fratello di Giuseppe, quello che fino a pochi mesi fa dall’aula della corte di Reggio Calabria che lo processava per la ’ndrangheta-stragista, in accordo con Cosa nostra, ha lanciato messaggi ricattatori a Silvio Berlusconi, per il loro passato. Entrambi sono stati condannati all’ergastolo per le stragi di Falcone e Borsellino, per l’omicidio del beato Puglisi e per le bombe del 1993 in cui vennero uccise pure due bimbe. Ora Filippo ha fatto mettere a verbale ai magistrati di Firenze che indagano sulle stragi al Nord e sul leader di Forza Italia e su uno dei fondatori del partito, Marcello Dell’Utri, che si dissocia da Cosa nostra. Filippo ammette la sua partecipazione alla cosca di Brancaccio. Sul resto tace.

I pm gli hanno fatto presente di essere interessati alle stragi e ai rapporti tra Berlusconi, Dell’Utri e la famiglia Graviano, e a questo punto Filippo – ormai dissociato – ha voluto sottolineare che c’è “una questione pregiudiziale” rispetto alle domande che i pm gli hanno posto. Cosa significa? Tutto questo appare come una strategia messa in campo dalla famiglia Graviano. Un progetto di lungo corso che i fratelli di Brancaccio stanno portando avanti. Non dimentichiamo che sono stati capaci, grazie alle loro complicità, di procreare nel 1996 mentre si trovavano detenuti al 41 bis all’Ucciardone. Quello che doveva essere un regime impermeabile, di fatto per loro non lo fu, e così Giuseppe e Filippo diventarono papà e i loro figli sono stati partoriti dalle loro compagne in una clinica in Costa Azzurra.

Il dissociato adesso sostiene di non avere più contatti con il fratello Giuseppe, ma, sarà una coincidenza, alcune persone disegnano una traiettoria convergente: hanno lo stesso difensore, l’avvocato Carla Archilei che spessissimo va a trovare Giuseppe nel carcere di Terni, e poi Francesca Buttitta, la moglie di Filippo, ha sporadici contatti con il cognato Giuseppe e frequenta a Roma la stessa abitazione in cui vive gran parte della famiglia Graviano.


Di questo progetto di dissociazione aveva già parlato il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, il quale ricordava che nel 2004 era stato proprio Filippo Graviano a comunicargli, mentre erano in carcere che «se non arriva niente da dove deve arrivare, è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati». In quel momento erano trascorsi dieci anni da quando Giuseppe sosteneva di aver agganciato Berlusconi tramite Dell’Utri, avviando una trattativa. Emerge il progetto della dissociazione, già percorso più di vent’anni fa dai boss in accordo con alcuni politici. Spatuzza, ricordando un episodio avvenuto durante la detenzione, rivela: «Filippo Graviano mi dice che in quel periodo si sta parlando di dissociazione, quindi a noi interessa la dissociazione». I boss di Brancaccio, per Spatuzza, «avevano in mano il Paese» grazie ad un tavolo aperto con Berlusconi e Dell’Utri, e chiedevano la cancellazione del 41 bis e provvedimenti legislativi che legittimassero la semplice dissociazione dei boss, alla maniera degli ex brigatisti. In passato ci sono stati diversi tentativi di dissociazione e di estensione dei benefici dei collaboratori di giustizia anche ai dissociati di mafia, e alcuni magistrati si sono opposti a dare questo riconoscimento legale.


«La dissociazione poteva avere senso da un’ideologia politica, non certamente da un’attività criminale, che sarebbe stata una specie di condono, di amnistia o di nulla osta, in cambio di un impegno, ad esempio, a non trafficare più nella droga», lo diceva Gianni De Gennaro, ex capo della polizia e già al vertice dei servizi segreti, in audizione alla Commissione parlamentare antimafia nel 2012, ricordando che questa era la sua posizione fin dal 1994.


Adesso i fratelli stragisti di Brancaccio sono alla ricerca di spunti “giudiziari” per far revisionare i loro processi e allo stesso tempo ottenere l’uscita dal 41 bis così da permettere a entrambi, dopo 27 anni di detenzione, di usufruire dei benefici di legge che li possono portare alla scarcerazione. E puntano ad annientare il regime di detenzione carceraria per i boss e tutto quello che rende forte il contrasto alle mafie impedendo le comunicazioni con l’esterno, e aprendo di conseguenza le porte d’uscita ai capimafia.