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Lettera aperta al Capo dello Stato e ai Ministri dell’Interno e della Giustizia. Intervengano subito e risolvano con urgenza questo caso, come pure tutti gli altri che riguardano i Testimoni di Giustizia. E’ letteralmente vergognoso che, mentre i mafiosi trovino a livello politico ed anche in alcuni pezzi delle Istituzioni, coperture oggettive o soggettive, due cittadini onesti che hanno fatto il loro dovere vengano trattati in questo modo. Lo Stato dovrebbe chiedere scusa e provvedere di conseguenza, punendo severamente coloro che eventualmente si fossero resi responsabili in un modo o in un altro di questo orrore. Sì, proprio un orrore per un Paese che si definisce civile e democratico. Noi siamo determinati come Associazione Caponnetto a condurre questa battaglia a favore di questi Cittadini esemplari con tutti i mezzi che ci mette a disposizione la Costituzione Italiana, anche a costo di andare a manifestare sotto i Palazzi romani. , insieme a tutti gli altri amici che hanno dato vita, insieme a noi, all’Associazione nazionale Testimoni di Giustizia”. Siamo in attesa di una risposta e, poi, decideremo le azioni da intraprendere. Questa è l’Antimafia da fare, non i bla bla”!!!

Siamo Candela Antonino e moglie Inga Francesca, due Testimoni di Giustizia, nati e cresciuti a Villafranca Sicula (Ag).

La nostra è una storia di mafia. Emigrati in Germania per lavoro, avevamo deciso di tornare in Italia per intraprendere un’attività commerciale nel nostro paese di origine, dove la nostra famiglia aveva deciso di stabilirsi, e dove far crescere i nostri figli, circondati dai nostri affetti. Credevamo che ciò fosse non solo consentito, ma legittimo. Sbagliavamo. La mafia ci tesseva facendoci continue sopraffazioni e da parte degli uomini di Cosa Nostra, volte a incuterci terrore e spingerci ad abbandonare il nostro lavoro e i nostri beni. Sino al giorno in cui Cosa Nostra ha portato via due vite, e con loro anche le nostre. Il giorno in cui siamo diventati Testimoni di due delitti di Mafia. Da quel giorno per noi, il destino giudiziario degli uomini di Mafia non è più Cosa Loro. Il giorno 17 marzo 1996, un killer di Cosa Nostra uccise tale Carmelo Pinelli davanti alla nostra Pizzeria. Dopo solo quaranta giorni dal primo omicidio, il 27 aprile 1996, la scena si ripeté. Un altro killer di Cosa Nostra, davanti ai nostri occhi, massacrava con ventotto colpi di mitra Calogero Tramuta di Villafranca Sicula, ex agente della Guardia di Finanza in pensione, proclamato vittima di Mafia. E noi, Antonino e Francesca, di fronte a quelle due scene, diveniamo, nostro malgrado, Testimoni Oculari di due omicidi. Rimanemmo paralizzati. Il killer ci fissò dritto negli occhi, certo del terrore che ci avrebbe trasmesso, certo dell’omertà che si sarebbe assicurato. Quei due eventi travolsero in un attimo la nostra vita. Tornanti nel nostro locale, trovammo sparsi per tutto il porticato di casa, dei fiori. Fiori, non per le vittime dei due omicidi, ma per noi. Decidemmo di assolvere il nostro dovere di cittadini, credendo nelle Istituzioni e nella Giustizia: denunciare. E diventammo così Testimoni di Giustizia. Raccontammo tutto ai magistrati, fornendo testimonianze talmente dettagliate che si tramutarono in mandati di cattura per gli uomini di Cosa Nostra. Grazie al nostro intervento, la cosca di Villafranca Sicula (Ag) capeggiata da Emanuele Radosta e la cosca di Burgio (Ag) vennero messe in ginocchio, condannata a 120 anni di carcere. Grazie a noi Emanuele Radosta, solo per l’omicidio di Calogero Tramuta, fu condannato a ventotto anni di carcere. Ma per lui non è finita. Una perizia balistica chiarisce che con la mitraglietta usata da Aziz per l’omicidio Tramuta Calogero, è stato ucciso nel 1992 anche Giuseppe Borsellino, imprenditore che stava indagando sull’uccisione del figlio Paolo, ammazzato solo otto mesi prima. Radosta è condannato ad altri trenta anni di carcere, per un totale di cinquantotto anni di condanna alla prigione. Ergastolo arriva anche per il killer Said Azizor cittadino Marocchino, e un altro ergastolo per l’altro killer che aveva commesso il primo omicidio Pinelli, e altre varie condanne per altri membri della stessa cosca.

Lo Stato decise di inserirci in un Programma di Protezione, relegandoci in una vita oscura, sotto falso nome, lontani dagli affetti, impossibilitati a svolgere qualsiasi lavoro perché troppo pericoloso. Una vita in cui anche le domande più semplici delle altre persone, non hanno risposta. O avrebbero una risposta troppo difficile da dare e da comprendere. L’accettazione di un Sistema di Protezione dovrebbe trasmetterti sicurezza, ma in realtà non è così. Viviamo in un mondo parallelo, in un esilio perenne, impossibilitati a comunicare con la gente, ad aprirci con le altre persone, a coltivare amicizie sincere e tutto ciò si trasforma in un malessere quotidiano. E la cosa che maggiormente ci ferisce, è aver coinvolto anche le nostre figlie in questo destino di “Persone Invisibili”, perché è così che ci si sente.

Dio ci ha donato due figlie stupende, sempre responsabili. Ma non è facile spiegare a una bambina di nove anni e a una di quattro, con parole semplici, il perché di tutte le nostre bugie. Ci sentiamo in colpa per aver tolto alle nostre figlie la libertà. La libertà di vivere una vita normale come le loro coetanee, di frequentare i cugini, gli zii, i nonni, imponendo loro cambiamenti e rinunce, ledendo la loro salute. Nostra figlia più piccola soffre di anoressia nervosa, è seguita da una Psicologa-psichiatra ed è ormai da quando aveva otto anni che in cura con antidepressivi. E nostra figlia la più grande è anch’essa seguita da psicologi e psichiatri e prende antidepressivi.

Noi stessi, da anni, conviviamo con ansia e depressione. Io Antonino ho avuto un’ischemia cerebrale. Insomma conviviamo assumendo medicine, e non solo antidepressivi. Abbiamo tentato di dare alle nostre figlie una parvenza di vita normale, una vita più dignitosa, preoccupandoci di trovare un lavoro. Ma come trovare lavoro a cinquantatre anni io Antonino, e cinquantuno anni io Francesca, dopo aver trascorso nell’ombra per tantissimi anni, senza poter svolgere lavoro perché troppo rischioso per la nostra sicurezza. Come fare a trovare un lavoro, senza un curriculum professionale da poter presentare, se hai un falso nome. Come fare a garantirci il nostro futuro, se da tantissimi anni non lavoriamo e non versiamo i contributi per la pensione. Da tanto tempo chiediamo allo Stato il riconoscimento del nostro “ruolo”. Maggior tutela, interventi normativi per garantire ai Testimoni di Giustizia i giusti diritti costituzionali: il diritto a una vita dignitosa, la protezione della propria persona e della famiglia, il diritto a un lavoro nella Pubblica Amministrazione, ai fini del reinserimento sociale. L’adozione di misure concrete a tutela e alla nostra garanzia, riconoscendoci la dignità e l’importanza del nostro ruolo e del nostro sacrificio. Una garanzia che ci consenta di vivere con dignità. Oggi ancora più di ieri, la nostra disperazione è degna della nostra rabbia. Rabbia non solo verso le istituzioni, ma anche verso noi, che riusciamo a non provare vergogna mentre chiedevamo aiuto a quel Paese che per primo lo ha chiesto a noi. Come mai le Istituzioni politiche non hanno trovato il coraggio di fermare quella nostra ferita gocciolante, affinché lo Stato non tenga a uccidere ciò che neppure la mafia ha saputo uccidere. Perché ciò che non fu mai sconfitto dalla mafia, non abbia a esserlo dallo Stato e dalla sua burocrazia, come se il reato fossimo noi, o noi quelli che lo commettono. Noi non chiedevamo il massimo impegno, ma un legittimo gesto. Persuasi che solo con quel gesto, questi facessero comprendere ai figli qual è la Giustizia cui si sono fatti Testimoni i padri. Ma purtroppo anche se abbiamo mandato parecchie E-mail a tutte queste Personalità dello Stato, e nessuno ha avuto la nobiltà d’animo, il coraggio di dare minima risposta, un intervento personale nei nostri confronti. Da pochi mesi il Ministero dell’Interno ci ha costretto ad uscire dal Programma di Protezione, stabilendo una misera capitalizzazione, però privandoci dei nostri legittimi diritti. La nostra dignità di cittadini italiani è stata calpestata e l’umiliazione (per non avere un lavoro per dare da mangiare ai nostri figli) è troppa. E dentro di noi è rimasta non solo delusione, ma tanta, tanta amarezza, perché hanno lasciato una famiglia composta da quattro persone tutte disoccupate, che provano dolore e grande disperazione!!