Interrogato dai pm di Milano, Calamucci ha illustrato i dettagli per compilare il report. Obiettivo? Dimostrare che fosse vicino ai clan
Pubblicato il: 17/03/2025 – 19:15
di Giorgio Curcio
LAMEZIA TERME «Il capo affari legali dell’Eni, Stefano Speroni, ci dettava i report e tutti gli studi legali che sono stati clienti di Equalize in questi hanno saputo degli accessi illegali alle banche dati, ma nessuno ci ha mai chiesto se era lecito o meno ricavare quel dato». Continuano ad aprirsi squarci sull’inchiesta sui presunti dossieraggi e cyber spionaggio. I contenuti, nuovi, sono emersi da un verbale risalente al 16 gennaio 2025 di Samuele Calamucci (cl. ’79) tra gli indagati dell’inchiesta, interrogato dai pm della Dda di Milano. Secondo l’accusa, infatti, sarebbe il responsabile del “settore informatico”, nel senso che è lui che gestisce il “gruppo di lavoro” che materialmente si occupa di violare il CED del Ministero dell’interno per la società di business intelligence di Enrico Pazzali (cl. ’64).
Il report per Eni
Calmucci avrebbe così illustrato i suoi rapporti e dell’ex super poliziotto defunto, Carmine Gallo, con numerosi avvocati citati nelle carte. Occhi puntati, in particolare, sul report che sarebbe stato redatto su commissione di Eni nei confronti di Piero Amara, Vincenzo Armanna, il primo ex avvocato esterno e il secondo ex manager licenziato da Eni ma entrambi grandi accusatori nel processo Eni/Shell-Nigeria finito con tutte assoluzioni nel 2021, e l’imprenditore calabrese, Francesco Mazzagatti.
Nel report stilato, infatti, Gallo aveva gettato ombre circa la presunta vicinanza alla ‘ndrangheta da parte di Mazzagatti, essenzialmente su due elementi: le informazioni personali basate sulla conoscenza diretta delle indagini sui clan calabresi e il presunto coinvolgimento di Mazzagatti in una inchiesta di ‘ndrangheta a Locri.
Il report su Mazzagatti e le omissioni
Una storia complessa sui cui aveva provato a far luce il Corriere della Sera nei mesi scorsi: sarebbero tre i report depositati da Eni prima al Tribunale di Terni in una causa civile contro Amara, e poi in sede penale alla Procura di Milano in uno dei filoni delle inchieste sui depistaggi e controdepistaggi dei processi milanesi istruiti attorno al principale dibattimento Eni-Nigeria, «per sollecitare indagini su un imprenditore del settore petrolifero, Francesco Mazzagatti» da cui Eni si riteneva danneggiata. «Le informazioni arrivavano dall’indagato Speroni nella misura di un 60%. Un 40% noi verificavamo l’informazione e componevamo il report», racconta Calamucci ai pm, «in alcuni casi noi l’abbiamo tenuto per buono ma non abbiamo mai avuto un riscontro».
Nel frattempo, Mazzagatti viene a sapere del report redatto su di lui, dopo il rinvio a giudizio per l’ipotesi di corruzione tra privati nell’inchiesta a Milano su Eni e già depositato da Eni a Terni nella causa civile contro Amara. L’imprenditore calabrese decide allora di sporgere querela nei confronti di Gallo, per calunnia e diffamazione, poi archiviate sia a Milano che a Perugia. In sostanza, Gallo non sarebbe stato in grado di provare le fonti da cui diceva di avere tratto la notizia in merito alla presunta vicinanza dell’imprenditore alla ‘ndrangheta e, se è vero che era stato coinvolto in una inchiesta sulla ‘ndrangheta a Locri, l’ex superpoliziotto aveva omesso il successivo proscioglimento di Mazzagatti.
Il pc rubato a Gallo
C’è poi un altro episodio che sarebbe emerso dall’interrogatorio di Gallo risalente allo scorso 4 febbraio. L’ex superpoliziotto, infatti, avrebbe subito il furto del computer con «tutto il materiale di Eni» dall’auto mentre era a cena con Enrico Pazzali e le rispettive mogli in zona Fiera a Milano nel marzo 2024 e le telecamere di sorveglianza non funzionavano. «La cosa strana è che hanno rotto il vetro dietro, abbassato il sedile e preso lo zaino da dietro», ha messo allora a verbale il 66enne, assistito dagli avvocati Antonella Augimeri e Paolo Simonetti nell’audizione quasi integralmente dedicata ai rapporti fra Equalize con il capo degli affari legali di Eni, Stefano Speroni. «Io lo zaino – ha aggiunto Gallo – l’ho messo quando ero in arcivescovado, quindi nessuno mi ha visto, i preti soltanto. Invece chi ha rotto il vetro ha abbassato il sedile». (g.curcio@corrierecal.it)