Mafia : non sottovalutarne il radicamento nel Lazio
La continua sottovalutazione del ruolo e del potere che hanno assunto, negli ultimi anni, le organizzazioni mafiose in alcune zone del nostro paese e della nostra regione, in particolare in alcuni piccoli centri a Nord del Lazio, ha permesso la radicazione del fenomeno, ha permesso ai clan di agire indisturbati coperti dal velo d’omertà o d’indifferenza.
La recente inchiesta aperta dalla Procura dell’Aquila per i crolli provocati dal Sisma dovrebbe aprire la strada ad altri dubbi. Una localizzazione ed una mappatura nazionale più precisa ed attendibile della gestione mafiosa dell’imprenditoria edilizia.
C’è chi non vuol sentire parlare di responsabilità. C’è chi liquida le inchieste della magistratura e quelle giornalistiche, sui crolli causati dal sisma in Abruzzo, come una perdita di tempo. Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, invita attraverso le pagine delle principali testate nazionali, ad occuparsi di cose serie. “Per favore non perdiamo tempo, cerchiamo di impiegarlo sulla ricostruzione e non dietro cose che ormai sono accadute” dice il Premier.
Premesso che, ognuno può fare il suo lavoro e che l’attività della magistratura può viaggiare sugli stessi binari dell’attività atta a ricostruire le case demolite dal sisma, ricercare la verità non dovrebbe rappresentare mai una perdita di tempo. Nell’immaginario popolare regna ancora l’idea che i fatti e i misfatti delle organizzazioni mafiose siano affare esclusivo del Sud del nostro paese; l’efferatezza del fenomeno ci è distante, non ci tocca in prima persona… ne possiamo leggere, discutere, ma alla fine lasciamo l’incombenza di proporre soluzioni e di affrontare l’emergenza a chi vive a Napoli, in Calabria, in Sicilia.
Perchè si è tentato più volte, in questi anni, di sminuire l’entità di infiltrazioni mafiose nei piccoli centri a Nord della Capitale? Chi ha interesse ad impedire che se ne parli? Sorprende il fatto che a sminuire l’entità del fenomeno, sia stato addirittura il Prefetto Achille Serra, personalità integra moralmente ed encomiabile per la sua opera di contrasto al crimine.
Non parlerei di semplici infiltrazioni mafiose a Nord della Capitale; ho vissuto in quelle zone per cinque anni. Tutti sanno (parlo della popolazione di quei paesi, composta da poche anime) che Morlupo e Rignano Flaminio sono in preda alla ‘ndrangheta calabrese. Ormai gli abitanti di quelle zone convivono con il fenomeno, in un clima d’omertà. Qualcuno denuncia, in tanti sanno ma tacciono, qualcuno invece trova rassicurante questa sorta di “protezione”.
Forse prima del 2000 si poteva ancora parlare di infiltrazioni. Gli affari illeciti (tra le quali spicca l’edilizia e l’acquisto di interi complessi residenziali attraverso “il sostegno” di prestanomi locali), negli ultimi anni sono incrementati. Molte delle case di questi complessi residenziali, costruiti tra l’anno 2000 e l’anno 2003, adiacentemente alla stazione ferroviaria di Morlupo, e non lontani dal centro di Rignano Flaminio, sono stati, in parte, acquistati da un esponente di spicco della ‘ndrangheta calabrese (allora recluso presso il carcere romano di Rebibbia), gli appartamenti sono stati poi dati in locazione ad immigrati rumeni e polacchi, che si erano stabiliti in quella zona in cerca di lavoro.
Per carità, molti di questi immigrati svolgono normali attività lavorative …anche se lavorano in nero. Alcuni di loro fanno i muratori, i manovali, altri lavorano nei ristoranti locali. La scelta di affittare gli appartamenti ad immigrati non è però del tutto casuale: non si registra un regolare contratto d’affitto a norma di legge, di conseguenza si può chiedere l’immediata liberazione dei locali senza un regolare sfratto. Si ottiene il pagamento puntuale del canone affittuario anche con minacce ed intimidazioni.
Ho avuto personalmente – quando ero ancora giovane e inesperta – contatti per lavoro con lo studio ‘anonimo’ di un geometra (non affiliato a nessuna nota rete immobiliare) che si occupa anche di compravendita immobiliare e che sembra aver intrapreso, da anni, “buoni” e fruttuosi rapporti con esponenti della ‘ndrangheta calabrese, che, in quella zona ha il monopolio di diversi cantieri edilizi.
I probabili acquirenti rispondevano all’annuncio, i compratori versavano una somma d’anticipo alla visione del progetto, un’altra alla copertura del tetto, la restante cifra veniva pagata alla consegna delle chiavi. Tutto normale all’apparenza. Invece, no. Qualcosa di anomalo c’era. Sia nella costruzione che nella compravendita. Parte degli appartamenti venivano acquistati dall’ex moglie del titolare che faceva da prestanome. Chiusi il rapporto dopo due soli mesi e mi trasferii a Roma.
Mi chiedo come mai i Radicali, quando posero l’accento sulla rilevanza del fenomeno, ovvero sul radicamento degli affari mafiosi, a Nord della Capitale, furono accusati di ingiustificato allarmismo? Anche altri ne parlarono, ma furono subito messi a tacere. L’attenzione mediatica si scatena solo di fronte alla morte di tante persone innocenti, al disastro, all’emergenza. Si, se ne dovrebbe parlare… ma non sempre dopo. Val la pena di dire che sarebbe meglio prevenire che curare.
Noemi Novelli (criminologa)
(Tratto da Osservatorio sulla Legalità e sui Diritti)