Giorgio Bongiovanni 06 Ottobre 2024
Dati i risultati della ricerca del Centro studi di Unimpresa sull’egemonia dei soldi della mafia nella finanza e nell’economia legale riproponiamo ai nostri lettori questo articolo pubblicato originariamente in data 20 ottobre 2022
Il nuovo Governo farà finta di nulla?
Quanto vale la mafia? Difficile dirlo con esattezza. Svariati enti in questi anni hanno provato ad effettuare analisi, stime, calcoli. Ogni volta è apparso evidente che i dati raccolti, fatti di numeri e percentuali, sono sempre stati approssimati (generalmente per difetto) vista l’impossibilità di giungere con precisione ad un numero esatto.
Qualche anno fa il giornalista de Il Sole 24 Ore, Gianni Dragoni, prima in un intervento nella trasmissione Servizio Pubblico, poi ad una nostra conferenza aveva evidenziato in maniera scientifica come, un’ipotetica holding Mafia Spa (che mette insieme gli affari di Cosa nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita) potrebbe avere un valore ben superiore dell’intera Borsa italiana.
Le scorse settimane la Dia, nella sua relazione semestrale, ha messo in evidenza un dato citando uno studio della Banca d’Italia pubblicato a dicembre dell’anno scorso: il volume d’affari delle mafie stimato supera il 2% del Pil italiano.
Parliamo di almeno 38 miliardi di euro l’anno (104 milioni al giorno) che, se guardiamo ai calcoli effettuati dal Ministero della Difesa dopo il “Decreto Ucraina”, pareggerebbero la spesa per la Difesa del nostro Paese.
Banca d’Italia inserisce nelle attività illegali (che sono spesso gestite dalle organizzazioni criminali e i cui proventi sono in buona parte reinvestiti nell’economia legale) non solo il valore del commercio di sostanze stupefacenti, dell’attività di prostituzione e del contrabbando di sigarette e di alcol, ma anche altre tipologie di attività illegali quali l’estorsione, la contraffazione, l’usura, la gestione illecita del ciclo dei rifiuti, le scommesse, e quant’altro.
Inoltre sottolinea che i proventi dalle attività illegali non esauriscono i volumi di affari delle mafie. Si legge infatti che “l’infiltrazione nelle imprese, ad esempio, viene utilizzata sia per riciclare i proventi illeciti sia per generare valore aggiunto addizionale”. “È inoltre ragionevole ipotizzare che parte dell’economia sommersa (per sotto-dichiarazione degli operatori economici e/o per l’impiego di lavoro irregolare) sia anch’essa riconducibile alla criminalità organizzata”. E in questo senso, guardando al complesso dell’economia non osservata, il valore sale ad oltre 200 miliardi di euro (l’11,3 per cento del PIL, secondo i dati Istat, 2021).
E’ chiaro che il volume di affari delle mafie, nel suo complesso, a livello nazionale ed internazionale, è enormemente più ampio.
Qualche anno addietro alcune stime di Confesercenti indicavano in 105 miliardi all’anno gli utili di un’eventuale Mafia Spa. Numeri spaventosi ben maggiori delle banche più ricche d’Italia, o società come Enel, Assicurazioni Generali o Luxottica o aziende come Exor. Ricordava sempre Dragoni che “Mafia Spa ha anche più utili di tutte le banche italiane insieme” e che potenzialmente, se quotata in borsa, “il valore di Mafia Spa potrebbe essere pari a 1.680 miliardi. Cioè quasi il triplo (2,85 volte) di tutte le 260 società italiane quotate in Borsa, che valgono complessivamente 587,6 miliardi. Come dire che, se si quotasse in Borsa, e quindi vendesse le sue azioni al pubblico, con il ricavato la Mafia potrebbe comprarsi tutta la Borsa di Milano”.
Certo, quelli erano dati comparati al 2017, ma sarebbe tanto diverso oggi?
Crediamo di no. Anzi. La situazione in tempi di crisi è ancora più grave, perché è aumentata la capacità di infiltrazione nell’economia legale delle stesse organizzazioni criminali.
I metodi sono stati spiegati in più occasioni da decine e decine di addetti ai lavori.
La mafia mercatista che condiziona un Paese
Il problema è ancor più grande se si considera che oggi le mafie ‘mercatiste’ (così le chiamava l’ex Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, oggi eletto al Senato) offrono una serie di beni e servizi (dagli stupefacenti all’azzardo, alla prostituzione)che mutano anche il rapporto tra mafia e popolazione, stabilendo rapporti collusivi con reciproci tornaconti economici”.
Spesso si dimentica che dal 2014 la stessa Unione Europea ha stabilito che nel calcolo del Pil va inserito anche il calcolo del fatturato della droga e della prostituzione, valutate come somministrazione di beni e di servizi con un flusso monetario che fa girare l’economia.
“Anche per questo – ha ricordato più volte Scarpinato – possiamo ritenere che la mafia dei mercati, in Italia, ha contribuito a farci rimanere nel patto di stabilità”. Inoltre “la nuova frontiera della mafia mercatista non è nascondere i soldi in banca ma farsi banca. Così si comprano le piccole banche dell’est che poi vengono assimilate da grandi banche per entrare nel Top Management. Oggi siamo di fronte ad un capitalismo che sta rinegoziando il rapporto di egemonia con il potere politico e detta l’agenda politica. Oggi sono i mercati che impongono, che chiedono, che dicono”.
Il traffico internazionale di stupefacenti
Del resto i fiumi di denaro proveniente dal traffico di stupefacenti, e non solo, può anche alterare una democrazia. Lo ha spiegato in maniera chiara, in un’intervista per la nostra testata, il Procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri: “Il traffico di droga crea un problema non solo sul piano della salute ma anche sul piano economico. Se io immetto miliardi di euro sul mercato legale è ovvio che altero le regole del libero mercato e allo stesso modo posso drogare le regole di una libera democrazia fino a farla saltare. Io posso comprare alberghi, ristoranti e pizzerie ma se compro pezzi di giornale e televisioni io acquisisco potere perché posso cambiare il pensiero della gente”.
Nel 2020 la Direzione nazionale antimafia aveva disegnato un quadro ancora più tragico nel momento in cui si affermava che solo il mercato della droga (in Occidente controllato quasi in maniera monopolistica dalla ‘Ndrangheta) frutta “circa 560 miliardi di euro a livello globale e circa 30 in Italia”. E sempre in quella relazione si prospettava l’esistenza di un patrimonio pari “a circa 8.300 miliardi a livello globale e di circa 400 miliardi solo in Italia”.
Questo fiume di soldi non incide solo nell’economia, ma anche nelle decisioni geopolitiche internazionali.
Le relazioni di analisti ed investigatori oggi raccontano di un’attività florida tra la “nostra” ‘Ndrangheta ed i narcotrafficanti del Centro e del Sud America con accordi che hanno portato la criminalità organizzata calabrese ad assumere un ruolo primario nell’ambito dei traffici verso l’Europa, ma anche verso Oriente.
Il Sistema criminale integrato
Totalmente inascoltati gli allarmi del procuratore facente funzioni di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo che in più occasioni ha messo in evidenza come “le mafie sono una minaccia molto seria per il sistema economico mondiale”. “Avendo enormi capitali da investire, le grandi mafie, la ‘Ndrangheta in particolare, sono protagoniste di importanti movimentazioni finanziarie, generano meccanismi pericolosissimi che tendono ad alterare gli equilibri del mercato”.
E poi ancora denunciava l’esistenza di un cosiddetto sistema criminale integrato che vedeva anche la partecipazione al di fuori dalla semplice criminalità organizzata: “la ‘Ndrangheta è un enorme contropotere privato, la cui vera forza è legata alla possibilità di interfacciarsi con altre strutture criminali. Questo vuol dire che fa parte di un sistema più articolato ed evoluto, nel cui ambito la condivisione delle strategie contribuisce a individuare i settori in cui investire ed operare. Va impedito che le mafie portino avanti la loro strisciante e silenziosa funzione di stabilità sociale, avvalendosi del sostegno dei tanti che si avvantaggiano del grande impiego di capitali sporchi”.
Si parla di flussi di denaro immensi, tanto in Italia quanto all’estero. Tesori di miliardi che possono passare anche dalle mani di un singolo uomo.
Inchieste recenti hanno riguardato un noto imprenditore, Roberto Recordare, indicato dagli inquirenti come uno dei più grandi riciclatori di tutti tempi di denaro delle mafie, e da almeno due anni indagato dalla Procura di Reggio Calabria.
Alcune notizie erano uscite sulla stampa dopo che un’informativa della Squadra mobile era finita agli atti del processo “Eyphemos”.
In un’intercettazione che lo riguarda mentre era a colloquio con un suo consulente, risalente all’agosto 2017, è lo stesso Recordare ad affermare di gestire in tutto 500 miliardi. E in un’altra intercettazione parla dell’esistenza di almeno 36 miliardi cash, già pronti per essere restituiti, e di denari che sarebbero stati buttati nella spazzatura prima di una perquisizione cui è stato sottoposto dalla Guardia di finanza all’aeroporto di Fiumicino (“Più o meno erano cento miliardi, qualcosa del genere. Ho preso quella busta e l’ho buttata nella spazzatura. Avevo il bond da 36 miliardi”).
Questi fiumi di denaro, alle volte, arrivano a toccare gli interessi dei servizi di intelligence. E’ un fatto noto che la Cia, ad esempio, ha promosso il traffico di stupefacenti e si è avvalsa dei ricavi per condurre in Sud America, e non solo, svariati colpi di Stato.
Ingerenze sul piano internazionale che hanno scatenato e sovvenzionato intere guerre. Ieri come oggi.
Non sappiamo cosa stia accadendo in Ucraina e quali siano i reali canali di invio delle armi che i Paesi Nato (Italia compresa) stiano utilizzando.
Resta quella “pulce nell’orecchio” messa da Nicola Gratteri che in particolare riguarda ciò che avverrà alla fine del conflitto con le mafie pronte ad inserirsi nel mercato nero. “Dopo le guerre – ricordava lo scorso marzo – ci sono centinaia e centinaia di armi incustodite, non nelle mani degli uomini delle istituzioni, c’è il mercato nero delle armi. I paesi dell’ex Jugoslavia sono diventati un supermarket di armi da guerra. Quindi quando sarà finita questa guerra (Ucraina, ndr) sarà un’occasione per andare comprare armi nuove e sofisticate”.
E cosa dire del nostro Governo che non arrossisce mai, né quando finanzia una guerra (vedi la guerra del Golfo, quella in Somalia, il conflitto in Bosnia ed oggi l’Ucraina) violando basilari principi Costituzionali (l’articolo 11 afferma testualmente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” -) né quando fa affari con spudorate dittature.
Le leggi italiane sull’esportazione delle armi sono chiare: non sono vendibili “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo”. Ma il nostro governo continua ad aggirare blocchi, leggi ed embarghi per esportare quelle stesse armi a Paesi come Egitto, Turchia, Libia e Arabia Saudita, che, invece, non dovrebbero in alcun modo riceverle perché sono in guerra o perché violano, appunto, i diritti umani.
E’ così che va in scena l’ipocrisia di Stato. Di quei pezzi di Istituzioni che non ripudiano affatto la guerra e che non vogliono in nessun modo sconfiggere le mafie.
Spesso benpensanti dicono che lo Stato ha vinto sulla mafia. Ma sanno di mentire.
La verità sull’esistenza della mafia e sulla mancata vittoria dello Stato si nasconde tra le pieghe di questa storia che va avanti, all’infinito, da oltre 150 anni.
Va ricercata nella continuità delle mafie, nella capacità di trasformarsi ed andare oltre anche a quelle morti di peso che l’hanno attraversata. Sono deceduti i Totò Riina, i Bernardo Provenzano, i Giuseppe Piromalli di turno. La storia prosegue con altri capi che restano latitanti di Stato.
E’ questa la storia del boss di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro. La causale della sua mancata cattura va ricercata nell’economia, perché non parliamo solo di un personaggio condannato per le stragi e che è stato autore di svariati delitti, persino di bambini sciolti nell’acido.
Parliamo di un uomo che è a conoscenza dei segreti nascosti del rapporto tra Stato e mafia, ma che è anche una garanzia economica, così come i capi della ‘Ndrangheta, in quanto possessore di miliardi di euro e capace di far circolare centinaia, se non migliaia, di miliardi di euro nel nostro Paese.
Se è vero, come è vero, che la Mafia Spa vale più dell’intera Borsa italiana ed è pari alla somma delle più grandi aziende italiane, allora Matteo Messina Denaro “conta” (politicamente ed economicamente) quanto, e forse di più, gli Agnelli, gli Elkann, i Berlusconi di turno. E’ lui, criminale sanguinario, a divenire Banca essenziale per il nostro Paese. E allora agli italiani bisogna dire la verità. Ovvero che se si volesse sconfiggere la mafia per davvero bisognerà fare i conti con una nuova stagione di grandi sacrifici economici. Senza i miliardi delle mafie l’Italia, forse, andrebbe in recessione, mentre i denari dei boss dal nostro Paese si sposterebbero in altre Nazioni ed altre economie.
Ecco perché la lotta alla mafia non interessa. Perché è una questione di “Interessi”.
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