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L’Appaltopoli del Nordest: la grande truffa delle gare

Il Fatto Quotidiano, Giovedì 22 Novembre 2018

L’Appaltopoli del Nordest: la grande truffa delle gare

di GIANNI BARBACETTO

L a nuova Mani pulite del Nordest è cominciata con una piccola inchiesta sui lavori per risistemare corso Italia, nel centro di Gorizia. Appalto di 3 milioni di euro, vince una ditta con sede a Bari. Ma i lavori li fanno due imprese venete, dopo aver pagato una percentuale alla vincitrice. Sono due imprese molto attive: da qui parte un’indagine che, dopo un anno e mezzo, si è estesa a tutto il sistema degli appalti pubblici in Friuli-Venezia Giulia e nel Veneto: strade, autostrade, ponti, viadotti, gallerie, aeroporti, opere fluviali, acquedotti, gasdotti, porti. E ha pian piano sconfinato in mezza Italia, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Sicilia, mettendo sotto indagine 150 appalti pubblici realizzati tra il 2015 e il 2018, per un valore di oltre 1 miliardo di euro. Ha messo sotto osservazione l’attività di decine di stazioni appaltanti, enti pubblici delle Regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto e poi l’Anas, Veneto Strade (controllata dalla Regione Veneto), la Pedemontana veneta, società autostradali come Autovie Venete (controllata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia), Autostrade per l’Italia (del gruppo Benetton), Concessioni Autostradali Venete (che gestisce il Passante di Mestre), l’Autorità portuale di Trieste, le società che gestiscono gli aeroporti di Trieste, Venezia, Treviso, Verona, Bologna. Fino ad arrivare alle opere di ricostruzione dopo il terremoto del 2016 in Umbria, a Norcia, a San Benedetto e nelle Tre Valli umbre.

IERI LA PICCOLA Procura di Gorizia, dopo aver lavorato in silenzio per 18 mesi, ha mandato 600 militari della Guardia di finanza, 400 del Friuli-Venezia Giulia e 200 di altre regioni, a fare oltre 300 perquisizioni, per quella che è stata chiamata “Operazione Grande Tagliamento”. La pm Valentina Bossi e il suo procuratore Massimo Lia hanno ordinato acquisizioni di documenti in decine di enti pubblici, tra cui molti Comuni in mezza Italia e le Regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia. E perquisizioni a 220 soggetti privati e a 120 società, tra cui grandi imprese di costruzioni come la Pizzarotti di Parma e la Rizzani de Eccher di Udine, i cui rappresentanti legali, Paolo Pizzarotti e Marco de Eccher, sono indagati per turbativa d’asta, a proposito del lotto di San Donà di Piave dell’autostrada Venezia-Trieste. Ora, dopo la grande pesca di documenti, comincia la seconda fase con lo studio delle carte per vedere se le ipotesi d’accusa potranno accedere a un livello più alto. Le accuse sono già pesanti: associazione a delinquere, turbativa d’asta, frode in pubbliche forniture, false attestazioni, reati ambientali, concussione. La seconda fase punta ad accertare se vi siano state anche corruzioni e siano stati coinvolti direttamente anche uomini degli enti pubblici e della politica che, per ora, è già certo che sono stati almeno poco attenti. Perché il quadro che emerge dalle indagini dei finanzieri guidati dal comandante regionale del Friuli-Venezia Giulia, il generale Giuseppe Bottillo, e dal comandante provinciale di Gorizia, il colonnello Giuseppe D’Angelo, è un’Appaltopoli scientificamente preordinata in cui le aziende private si accordano per pilotare l’esito delle gare e spartirsi i lavori pubblici. E un sistema oliato in cui chi deve controllare è perlomeno distratto. Al l’inizio furono le intercettazioni telefoniche. In cui imprenditori, manager e funzionari pubblici senza scrupoli si esprimono con le cadenze dei dialetti del nordest, ma con toni e sostanza non dissimili da quelli dei peggiori boss del sud, rivendicando il controllo del territorio e dei loro business. Le opere pubbliche messe sotto osservazione sono il sistema nervoso del nordest: l’autostrada A4, tratto Venezia-Trieste e raccordo Villesse-Gorizia; le autostrade del gruppo Benetton, tratti Venezia-Belluno e Udine-Tarvisio; il passante di Mestre; le strade regionali di Friuli-Venezia Giulia e Veneto; la Pedemontana veneta; ponti, gallerie, viadotti e sottopassi; i lavori compiuti negli aeroporti di Trieste-Ronchi dei Legionari, nel Canova di Treviso, nel Marco Polo di Venezia, nel Catullo di Verona e nel Guglielmo Marconi di Bologna. Aprendo domande inquietanti: se la pista di un aeroporto viene realizzata, per risparmiare, con ghiaia intera, non lavorata, quanto viene messa in pericolo la sicurezza dei passeggeri?

LE PERQUISIZIONI di ieri sono “finalizzate ad acquisire prove documentali su accordi tra imprese, diretti alla preordinata spartizione delle opere, nell’ambito di più complessive alleanze tra società”. Gli appalti, secondo gli investigatori, vengono suddivisi in più lotti per permettere una più agevole spartizione del malloppo tra le aziende che si accordano tra loro, con buona pace del libero mercato e della migliore offerta all’ente pubblico che fa da stazione appaltante. Viene sistematicamente violata anche la regola che impone a chi vince una gara di non subappaltare più del 30 per cento dei lavori. Le associazioni temporanee d’impresa che si costituiscono per vincere una gara sono spesso fittizie. Per ottenere punteggi più alti, vengono presentati falsi documenti sulle dotazioni logistiche e sui macchinari a disposizione delle aziende. Di tutto ciò, le Regioni, le stazioni appaltanti, i funzionari pubblici addetti ai controlli, i responsabili unici del procedimento (Rup) –come Enrico Razzini – non si accorgono: con “com – portamenti omissivi di chi avrebbe dovuto realizzare il controllo delle opere” e funzionari pubblici “consapevoli delle irregolarità”. Secondo i pm, in decine di opere pubbliche sono stati consumati reati di turbativa d’asta, preordinando gli esiti delle gare, e di frode in pubbliche forniture, realizzando lavori non conformi ai capitolati o usando materiali non idonei, come ghiaie non lavorate o asfalti di risulta. Con una coda che ha a che fare con l’ambiente: alcune imprese hanno estratto dal greto dei fiumi (il Tagliamento, l’Isonzo…) quantità di ghiaia di molto superiori a quelle per cui avevano la concessione, mettendo a rischio l’equilibrio idrogeologico dei corsi d’acqua; e hanno molto probabilmente impiegato come base per strade e autostrade rifiuti che avrebbero invece dovuto smaltire come rifiuti speciali. Ora l’analisi dei documenti acquisiti e sequestrati ieri apre la seconda fase dell’inchiesta.

 

 

Il Fatto Quotidiano, Giovedì 22 Novembre 2018

Pizzarotti-De Eccher: la cricca della 3ª corsia

I due imprenditori e i lavori per l’ampliamento dell’A4 Venezia-Trieste

di ANTONIO MASSARI

È l’asse “s trateg ico” che dovrebbe fluidificare il traffico, soprattutto pesante, che da Torino passa per Trieste e viaggia verso il Centro e l’Est Europa. È la terza corsia dell’autostra – da A4, con i suoi lavori in corso, gli espropri, i cantieri in fermento, ponti e viadotti in costruzione. Tra lotti e sub-lotti, però, la Procura di Gorizia e la Guardia di finanza scoprono che fin troppo fluido non è stato il traffico, ma il modo in cui due colossi delle costruzioni si sono aggiudicati l’appalto con il concorso della commissione che ha aggiudicato i lavori e il Rup (Responsabile unico del procedimento) Enrico Razzini, indagato con l’accusa di “turbata libertà del procedimento di scelta del contraente” in concorso con suddetti big dell’imprenditoria stradale: Paolo Pizzarotti, presidente della Impresa Pizzarotti & C, e Marco De Eccher, presidente della Rizzani De Eccher Spa. I tre –sostiene l’accusa –agivano “in concorso” e “con collusioni accordandosi preventivamente nell’ambito di un più complessivo accordo finalizzato ad aggiudicare la gara all’Ati, costituita da Pizzarotti, De Eccher e Saicam”. La gara “turbata” è quella che riguarda la A4, tratto Venezia-Trieste, e il raccordo Villesse-Gorizia e, più precisamente, il “lotto II San Donà di Piave e lo svincolo di Alvisopoli”, aggiudicata appunto da gara indetta dal “commissario delegato per l’emergenza della mobil it à ”, ovvero l’ex presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani. Se non bastasse, negli atti si legge che “l’a s s o c i a z i one temporanea d’imprese (Pizzarotti & C. spa, Saicam spa e Rizzani De Eccher spa) aveva già debiti con la struttura commissariale da compensare, derivanti da altri lavori aggiudicati in altro lotto della costruenda terza corsia della A4”.

DOPO I DEBITI arriva anche la “tur – bativa della gara”. “In particolare”, scrivono gli inquirenti, “il Rup e la commissione giudicatrice facevano in modo che il lotto sopraindicato venisse aggiudicato” agli indagati. E nel frattempo, sempre secondo l’accusa, Pizzarotti, De Eccher e Saicam “si accordavano con appaltatori e subappaltatori con l’inten – zione di cedere completamente i lavori”. L’obiettivo: “Ottenere l’a ppalto in argomento e, nel contempo, scambiarsi favori reciproci”. Il punto è che questi tipi di accordi sono vietati dalla legge. Eppure gli indagati si muovevano esattamente così. Un esempio? Consentivano alla “Ghiaia Ponterosso – gruppo Grigolin – di partecipare quale subappaltatrice nonostante il divieto di legge”. “Il tutto”, si legge nel decreto di perquisizione, “con modalità tali da alterare la regola indefettibile della libera concorrenza tra i partecipanti, al fine di favorire in ogni caso le aziende prescelte da Pizzarotti, De Eccher e Saicam”. Spulciando tra vecchi contenziosi e altre indagini, si scopre che il legittimo appetito sui lavori della A4 aveva già ingolosito la De Eccher. Che però, nel 2014, s’era vista bloccare da una pesante interdittiva antimafia disposta dalla prefettura di Udine. La vicenda era finita al Consiglio di Stato che aveva restituito al colosso la possibilità di lavorare. È vero – sostiene il Consiglio di Stato – che l’anziano patron Claudio De Eccher, nel 1994, ha patteggiato condanne per “c o r ru z i on e per un atto contrario ai doveri di ufficio in concorso, e nel 1995, per associazione a delinquere, turbativa libertà degli incanti e corruzione aggravata per un atto contrario ai doveri di ufficio”, com’è vera “la condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso (416 bis c.p.) del dipendente geometra Li Pera Giuseppe”. Ma “non si può disconoscere”, continua la sentenza, “il rilievo dei fatti accertati nel giudizio penale che ha visto coinvolti Claudio e Marco De Eccher per la vicenda napoletana, conclusasi con l’as s ol uzione dal reato di associazione mafiosa e la riparazione per l’ingiusta detenzione di Claudio De Eccher”. Il punto è che si tratta di fatti “molto risalenti nel tempo, non collegati fra loro e non provano un condizionamento attuale dell’impresa”. E nessuna infiltrazione mafiosa, infatti, viene contestata agli indagati, neanche per il nuovo lotto citato negli atti. L’accusa resta comunque grave: turbativa libertà del procedimento della scelta del contraente.