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La “scuola” della mafia che ha sostituito lo Stato………………………….

La “scuola” di mafia

Lunedì 27 Marzo 2017

di Vincenzo Ceruso

La mafia è (anche) un’agenzia educativa. Ha a cuore, per così dire, il percorso che conduce alla costruzione del Sé mafioso.
La retorica sui ragazzi di strada, per quanto melensa, esprime un’insopprimibile verità: a volte, in territori culturalmente desertificati, in cui sono scomparsi i partiti e i sindacati, dove le parrocchie sono il rifugio per gli anziani, in cui l’istituzione scolastica respinge i ragazzi difficili, la scuola di formazione mafiosa è la sola proposta educativa.
L’organizzazione criminale trasmette inoltre un senso, una visione del mondo per le nuove generazioni, composta da molteplici componenti.
Al centro vi è un discorso vittimario, per cui lo Stato è il persecutore.
Osservare i profili facebook dei familiari di quanti sono in carcere per reati di mafia, soprattutto giovanissimi, è istruttivo. Il parente detenuto è ingiustamente tenuto lontano da forze esterne, ed è sempre presente nel ricordo dei suoi cari come modello di virtù. La memoria vittimaria serve a recintare lo spazio che divide dalla società legale, a perpetuare il legame con i carcerati e a condividere una dimensione risarcitoria con le altre vittime, cioè gli altri familiari dei detenuti.
Un’ulteriore componente di questa weltanschauung, consiste nell’idea che la mafia si ponga dalla parte del più debole.
Ho assistito un giorno ad una scena esemplare di come i valori mafiosi siano radicati, in coloro che sono stati formati alla scuola della mafia.
Un ragazzo cresciuto in un quartiere a rischio di Palermo, appartenente ad una una famiglia dedita allo spaccio e frequentatore del carcere minorile della città, voleva esprimere parole di condanna per un danno arrecato ad un’associazione di volontariato. Il minore rivendicava una sanzione per il colpevole e lo faceva davanti agli uomini riuniti in piazza: «Mi hanno insegnato che i poveri non si toccano».
Il soggetto collettivo che aveva educato il giovane a questo falso senso di solidarietà era la comunità mafiosa, per lui deputata a giudicare e a punire i torti al posto dello Stato. Un tempo, la sinistra avrebbe parlato, gramscianamente, di egemonia culturale. Ma oggi la sinistra non c’è o è afona sui giovani e sulle periferie meridionali.
Dov’è la mafia?
È nei salotti, nei comitati d’affari, nell’alta finanza, certo, ma, seppure notevolmente indebolita, si trova dov’è sempre stata: nei quartieri e nelle borgate.
Gli altri sono andati via.

fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it