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In terra di ’ndrangheta è trionfo «civico»

In terra di ’ndrangheta è trionfo «civico»

Il Manifesto, Martedì 7 Giugno 2016

In terra di ’ndrangheta è trionfo «civico»

Tra gaffe, impresentabili e vere e proprie ritirate, Pd e M5S abbandonano il campo. A Platì, Rosarno e Cutro l’antimafia non esiste e la democrazia «vive» tra commissari prefettizi e liste dai nomi surreali

di Silvio Messinetti

Quando un anno fa Matteo Renzi la presentò alla Leopolda forse bluffava, al suo solito, o forse ci credeva davvero. Disse che con Anna Rita Leonardi Platì si sarebbe risollevata e sarebbe uscita dal tunnel dell’ingovernabilità.

Perché a Platì le elezioni non si potevano più fare. La ‘ndrangheta non voleva. La democrazia lì è sospesa. Vive da dieci anni in uno stato d’eccezione permanente. In cui si susseguono, uno dopo l’altro, commissari prefettizi come figuranti.

Leonardi si è messa così al lavoro. Ma ai primi di maggio, il colpo di scena. Leonardi molla tutto e getta la spugna: «Non ci sono più le condizioni politiche e di agibilità per svolgere serenamente la campagna elettorale. Mi ritiro perché alcune vicende continuano a perdurare sul territorio. Vicende che rendono queste elezioni, ancor oggi, non un alto momento politico, ma una farsa degna del peggiore sceneggiatore».

Nonostante tutto però a Platì le elezioni ci sono state. E c’è pure un sindaco eletto.

Ha vinto Rosario Sergi, con una lista dal nome profetico: Liberi di ricominciare. Chissà se sarà vero. Se è stata davvero una farsa. Vedremo e giudicheremo. Intanto nelle contrade più antiche non scorre l’acqua potabile, non ci sono fogne, non ci sono palestre, cinema o centri sociali, non c’è l’asfalto sulle strade, né case rifinite. E fino a ieri non c’era manco un sindaco.

Nonostante per decenni Platì sia stata una delle roccaforti rosse della Locride, con una sezione del Pci da 700 iscritti e una Camera del lavoro ancor più affollata, e il paese nel 1972 sia stato in grado persino di esprimere un deputato, Ciccio Catanzariti.

Come a Platì, anche a Rosarno il Pd ha issato bandiera bianca.

I dem hanno scelto di non correre per la guida di un comune, feudo delle organizzazioni criminali, rinunciando alla storica tradizione antimafia della sinistra locale, da Agostino Papalia, fondatore del Pci da quelle parti, a Peppino Lavorato, promotore della primavera rosarnese nei ’90, per giungere fino a Peppe Valarioti, dirigente comunista ucciso a colpi di lupara nel 1980 a soli 30 anni.

La vecchia sindaca, Elisabetta Tripodi, eletta in quota Pd nel dicembre del 2010, e costretta a mollare a seguito delle dimissioni di alcuni consiglieri di maggioranza, non si è più ripresentata. Le ha nuociuto il fatto di aver voluto demolire la casa dei Pesce. Lo ha ammesso lei stessa. L’hanno lasciata sola (Pd compreso) e non se l’è più sentita di continuare.

Ha vinto Giuseppe Idà, “civico” griffato Ncd. La sua lista si chiama Cambiamo Rosarno. Nel suo programma la parola ‘ndrangheta non è citata manco una volta: è un tabù.

Cutro, invece, le elezioni si tengono in genere regolarmente. Il paesone, caro a Pasolini, da tanto non riceve l’onta dello scioglimento per mafia. In compenso, sono recenti i casi di paesi del nord come Brescello e Finale Emilia chiusi per ‘ndrangheta a causa delle malefatte dei clan cutresi. I Grande Aracri sono una ‘ndrina emergente, signoria mafiosa nel crotonese e nel triangolo Reggio Emilia- Modena- Mantova. Le elezioni le ha vinte Salvatore Divuono, a capo di una lista civica dal nome surreale «Cutro città normale».

Il pasticciaccio l’hanno però fatto i grillini. Hanno candidato a sindaco Gregorio Frontera, l’incensurato figlio di Gino Frontera, deceduto nel 2013, ma finito nelle carte dell’inchiesta Aemilia che ha scardinato la cosca Grande Aracri e gli interessi dei cutresi a Reggio Emilia. Secondo gli investigatori, Gino Frontera sarebbe il collettore fra il boss Nicolino Grande Aracri e gli ambienti istituzionali. I 5 Stelle hanno fatto di più e hanno messo in lista pure l’altra figlia di Gino, Teresa Frontera.
Quando, così dicono, se ne sono accorti hanno provato a sbianchettare, a metterci una pezza, e hanno ritirato tutta la lista, compreso l’aspirante sindaco.

Ma ormai era troppo tardi. Le liste erano già state presentate e tecnicamente non era più possibile farle fuori dalle schede.

E così ieri Gregorio Frontera ha preso il 3,1%, con 252 voti. C’è mancato poco che non fosse eletto in consiglio.