L’Espresso, Giovedì 10 Gennario 2016
‘Ndrangheta
Il pm chiede 24 anni per il boss che minacciò il giornalista Giovanni Tizian
Il processo in cui il reporter de “l’Espresso” è parte civile entra nella fase finale. Al termine della requisitoria l’accusa ha chiesto la condanna di tutti gli imputati. Tra questi il faccendiere e i figli di Nicola “Rocco” Femia, ritenuto il capo dell’organizzazione mafiosa
di Lirio Abbate
Una famiglia da condannare per mafia. Un’intero nucleo familiare alla sbarra per il quale il pm di Bologna ha chiesto ai giudici del tribunale condanne pesanti nel processo Black Monkey. Dalla Calabria a Modena. E così per Nicola “Rocco” Femia, ritenuto il capo di questo clan legato alla ‘ndrangheta che ha fatto i milioni con il gioco online e con le slot machine, che ha operato in Emilia Romagna, il pm ha chiesto 24 anni di carcere. Per il figlio Nicolas, 19 anni. Per la figlia Guendalina 14 anni. Per Guido Torello 10 anni. Una ventina di condanne chieste anche per tutti gli altri imputati.
Tra gli atti dell’inchiesta c’è l’intercettazione in cui Femia parla con il faccendiere di fiducia Guido Torello del giornalista de l’Espresso, Giovanni Tizian. E proprio Torello su sollecitazione di Femia si attiva per bloccare il cronista. Arrivando persino a minacciarlo di morte: «O la smette o gli spariamo in bocca». E ancora: «Giovanni Tizian presto me lo presenteranno e si dimenticherà della tua esistenza». Così parlavano Nicola “Rocco” Femia e Guido Torello, il tutto fare che deve rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa. Frasi che hanno allertato fin da subito investigatori e inquirenti tanto da chiedere alla prefettura la protezione per Tizian. Era il 22 dicembre 2011. Dopo cinque anni il dibattimento si sta per concludere e nel tardo pomeriggio di ieri il pm Francesco Caleca ha chiuso la requisitoria chiedendo complessivamente 221 anni di carcere.
L’inchiesta della Dda e della Guardia di Finanza sul gruppo che faceva profitti con il gioco illegale on line e con le slot manomesse a partire dall’Emilia-Romagna deflagrò a gennaio 2013, quando furono eseguite 29 ordinanze di custodia cautelare. Il processo a 23 imputati è iniziato a marzo 2014 ed è stato seguito quasi sempre da un folto pubblico di giovani studenti, tra cui diversi appartenenti all’associazione “Libera”. Fra gli imputati c’è l’ex ispettore di polizia di Reggio Calabria Rosario Romeo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per lui il pm ha chiesto 12 anni.
Tizian è parte civile, insieme all’Ordine dei giornalisti, così come Libera e la Regione Emilia-Romagna: i loro legali discuteranno nella prossima udienza. Femia non aveva gradito i diversi articoli apparsi sulla Gazzetta di Modena. Come dice l’imputato in una telefonata con Torello, «Il giornale è peggio della magistratura». Tra i due c’è un particolare feeling. «Nel corso degli interrogatori Torello ha rivendicato, ammettendo di essersi adoperato in una serie di occasioni, tutte le volte che Femia, quale capo dell’associazione, gli segnalava una sua particolare esigenza». Per questo le minacce a Tizian furono definite gravi dall’allora procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso: «Mi sono spaventato…Ho immediatamente capito che la situazione era grave e seria».
Sempre Torello, scrive il Pm, ha messo «a disposizione della organizzazione criminale la sua “rete” di rapporti soggettivi nei più vari ambiti, non ultimo quello istituzionale della Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato, con la finalità di conoscere tempestivamente iniziative di normazione secondaria in materia di slot machine».
Il pm nelle tre udienze in cui ha ripercorso il quadro accusatorio ha tratteggiato le caratteristiche dell’organizzazione, riferendosi ai rapporti con altri gruppi di stampo ‘ndranghetistico, ma anche ad un potere intimidatorio autonomo, tipico delle organizzazioni mafiose moderne che operano fuori dai confini tradizionali. Nella requisitoria c’è un lungo elenco di rapporti e frequentazioni di Femia con diversi esponenti della ‘ndrangheta. Dal clan Alvaro ai Mazzaferro della costa jonica. Dalla ‘ndrina lombarda dei Valle -Lampada a personaggi di vertice della ‘ndrangheta emiliana con base a Reggio Emilia. Rapporti di affari, inoltre, sono stati documentati anche con la camorra.