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Il pentito: Di Silvio divisi in gruppi In aula

Latina Oggi, Giovedì 30 Gennaio 2025

Nel processo Scarface il collaboratore di giustizia Andrea Pradissitto descrive assetti e acredini tra fazioni E rivela: «La famiglia del Gionchetto composta da Romolo e Patatone, le armi utilizzate nel 2010 erano le loro»

ANDREA RANALDI

La criminalità latinense ha vissuto negli ultimi anni una costante evoluzione di assetti e alleanze, come dimostrano le inchieste che si sono susseguite. Un concetto che non risparmia neppure uno degli ambienti malavitosi ritenuto erroneamente coeso dall’opinione pubblica, come quello delle famiglie Di Silvio. Anzi, l’ultimo processo che sta valutando gli affari criminali di uno dei sodalizi più influenti, quello generato dall’operazione Scarface, sta fornendo l’evidenza della scarsa collaborazione tra i diversi gruppi familiari, se non addirittura dell’astio che di tanto in tanto scaturisce dalla tensione sempre latente nei loro rapporti, o meglio dagli affari spesso contrapposti. Esclusa la parentesi dell’escalation di vendette consumata nel 2010, quando alcune famiglie Di Silvio si erano alleate tra loro e con i Ciarelli, i gruppi legati ai diversi capostipite hanno sempre mantenuto una netta separazione tra i loro affari. Oltre alle inchieste, questo concetto lo esprime l’ultimo collaboratore di giustizia che ha voltato le spalle a quell’ambiente criminale, ossia Andrea Pradissitto, genero di Ferdinando “Furt” Ciarelli e Rosaria Di Silvio, comparso in aula in video conferenza nel mese di dicembre per confermare le dichiarazioni rese ai magistrati della Dda di Roma, proprio nell’ambito del processo Scarface che si sta celebrando a carico degli esponenti delle famiglie riconducibili ai fratelli Giuseppe “Romolo”, Carmine e Costantino figlio di Antonio “Papù” (morto nel 2016), e del loro nipote Costantino Patatone, figlio di Ferdinando il Bello morto nell’attentato esplosivo al lido di Latina nel luglio 2003. Questo gruppo, il pentito ex affiliato, lo definisce come famiglia Di Silvio di Gionchetto, il quartiere dove si sono stabiliti appunto sia Romolo che Patatone, entrambi detenuti per l’omicidio di Fabio Buonamano del gennaio 2010 . Tant’è vero che, secondo Pradissitto, a garantire il sostentamento delle famiglie dei detenuti era il catanese Fabio Di Stefano, genero di Romolo. «Del gruppo fanno parte Antonio Di Silvio detto Patatino e suo fratello Ferdinando detto Prosciutto (figli di Romolo, ndr) – aveva dichiarato appunto il collaboratore – Non fa parte del gruppo Ferdinando Di Silvio detto Pescio perché il padre Costantino Patatone ha vietato a tutti di farlo partecipare in attività criminali. Lui era andato a vivere in un paesino vicino a Latina e faceva il muratore». Pradissitto ha poi rivelato che il gruppo di Gionchetto era quello in grado di esprimere la potenza di fuoco maggiore, avendo disponibilità di numerose armi, un arsenale costruito anche grazie a un fantomatico furto di pistole consumato in un’abitazione di Latina, circostanza rivelata anche dagli altri pentiti. «Quando scoppiò la guerra criminale nel 2010 – precisa a riguardo il pentito – loro avevano già la disponibilità di armi. Carmine fratello di Romolo mi disse che avevano due borsoni pieni di armi, ma non mi disse dove li custodivano. In qualsiasi discussione loro tiravano fuori le armi». E poi cita una circostanza inedita, consumata a suo dire nel 2009, quando Costantino Patatone avrebbe avuto una discussione con Giulia “Cipolla” De Rosa e le aveva sparato contro con una pistola calibro 7,65 senza però ferirla. Storicamente la famiglia della donna egemone nello spaccio nella zona di viale Kennedy era legata alla famiglia di Armando Lallà Di Silvio e infatti Pradissitto spiega ancora che fu quest’ultimo a rivelare a Furt Ciarelli, suo cognato e suocero appunto del pentito, che la De Rosa gli aveva chiesto di intercedere per mediare con Patatone. Pradissitto aveva persino sottolineato: «Anche quando la famiglia di mio suocero comandava a latina non disponeva di tante armi quante quelle che avevano i Di Silvio del Gionchetto. Dopo l’arresto mio e di Simone Grenga tutte le armi utilizzate nella guerra criminale appartenevano ai Di Silvio del Gionchetto… Ancora oggi hanno disponibilità di armi, in quanto in una recente occasione ho visto Patatino che ne aveva indosso una nell’estate 2020». Del resto lo stesso Pescio, sebbene tenuto fuori dagli affari illeciti per volere del padre Patatone, nel febbraio del 2020 avrebbe utilizzato una pistola, arrestato e poi condannato per avere sparato contro un’auto arrivata a forte velocità davanti casa sua in via Moncenisio, in circostanze mai chiarite, sembra nell’ambito di un dissidio familiare per una storia d’amore non tollerata