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Gionta con l’acqua alla gola costretti a fare le estorsioni con ‘lo sconto e a rate’

I Gionta con l’acqua alla gola costretti a fare le estorsioni con ‘lo sconto e a rate’
Nel processo contro il clan emerge il ruolo delle donne nella gestione degli affari economici in luogo dei mariti in carcere

di REDAZIONE

TORRE ANNUNZIATA. “Pizzo a rate” e soldi facili da estorcere ad almeno 6 titolari di bar, pasticcerie e negozi di abbigliamento: l’accusa chiede «51 anni di carcere» per il clan Gionta in piena crisi. Durissima la requisitoria del procuratore generale della Corte d’Appello di Napoli, che ieri non ha fatto sconti rispetto alle pene comminate in primo grado. A gestire le casse della cosca- secondo quanto riferito ai giudici – erano le donne di Palazzo Fienga: Teresa Gionta, la sorella di Aldo “il boss-poeta”, Francesca Donnarumma e Anna Paduano. Tutte condannate, il 27 maggio 2015, rispettivamente a 9 e a 6 anni di galera.Associazione mafiosa ed estorsione aggravata dall’articolo 7.

I soldi pretesi dal clan ,con lo «sconto e a modiche rate», sarebbero serviti a «pagare gli avvocati e a stipendiare le famiglie degli affiliati in cella». Capitali freschi da raccogliere in qualsiasi modo, gestiti da nuove cassiere “in gonnella”. In pratica, la frontiera della camorra due punto zero, descritta dall’antimafia con “l’acqua alla gola”,

Il gup del Tribunale di Napoli, Alessandro Modestino, aveva condannato l’anno scorso in abbreviato anche Michele Guarro (9 anni) – Felice e Pasquale Savino (rispettivamente a 9 e 7 anni) – Benito Cioffi (5 anni). Domenico Bucciero, invece, aveva in precedenza patteggiato una condanna a 3 anni. Tra gli imputati, il solo Cioffi era stato assolto dall’accusa di aver agito per conto del clan. Circostanza quasi ininfluente – secondo il procuratore generale – per il quale «l’aver tentato un’estorsione in maniera isolata non ne esclude la modalità mafiosa». Il blitz contro il clan scattò nel giugno 2014. Vi sfuggirono proprio gli ex reggenti dei Gionta, ora al 41-bis:“Aldulccio il ribelle” e suo figlio Valentino junior, entrambi comunque condannati in uno stralcio del processo principale a 4 e 8 anni di reclusione.

Secondo le indagini – coordinate dalla Dda di Napoli – a gestire il giro di estorsioni sarebbero stati Salvatore Ferraro, alias “’o capitano”, e Vincenzo Amoruso. Proprio quest’ultimo, per il pm, in un’intercettazione svelata dall’inchiesta riuscì ad «evitare il racket ai danni di un imprenditore amico». Le accuse contro i due caddero tutte in primo grado: Ferraro e Amoruso vennero assolti con formula piena. Almeno loro, secondo i giudici, non tentarono di estorcere perfino una “bottiglia di champagne”al titolare di un noto bar della zona nord di Torre Annunziata. La bottiglia sarebbe servita per festeggiare il capodanno. FONTE IL ROMA

 

fonte:www.internapoli.it