Dall’olio di Sonnino al patto mafioso col clan: le amicizie pericolose di Gina Cetrone
29 GENNAIO 2020
L’ex consigliera regionale arrestata assieme al marito e a tre esponenti dei di Silvio per estorsione, violenza privata contro un imprenditore e illecita concorrenza per la campagna elettorale a sindaco di Terracina
DI CLEMENTE PISTILLI
“Adesso è arrivato il momento di dire basta e di cominciare a querelare perché il più grande sbaglio è pensare che un buono sia un fesso”. Nel maggio scorso, davanti a nuove rivelazioni dei pentiti nell’ambito dell’inchiesta antimafia denominata Alba Pontina, Gina Cetrone reagiva così. Scagliandosi contro i giornalisti e negando qualsiasi rapporto con il clan Di Silvio, legato a doppio filo ai Casamonica di Roma.
Il nome dell’imprenditrice di Sonnino, piccolo centro in provincia di Latina, ex consigliere regionale eletta nel listino di Renata Polverini, e attuale coordinatrice provinciale del partito di Giovanni Toti, era spuntato nelle carte dell’inchiesta già nella metà del 2018, quando la Dda di Roma fece arrestare esponenti e gregari della famiglia di origine nomade, sostenendo che avessero dato vita nel capoluogo pontino a un’associazione per delinquere di stampo mafioso, facendo affari con le estorsioni, lo spaccio di droga e pure con la politica, gestendo l’attacchinaggio durante le campagne elettorali e occupandosi della compravendita di voti. Cetrone, che anche dopo il crollo della giunta Polverini non ha mai rinunciato a firmarsi onorevole, negava.
Nonostante fosse l’unica tra i politici coinvolti a essere stata anche intercettata mentre parlava e organizzava il “lavoro” con l’organizzazione criminale, negava sia di aver utilizzato il clan durante la campagna elettorale del 2016, in cui voleva diventare sindaco di Terracina, che per estorcere denaro a imprenditori che avevano contatti con la sua azienda. Tutte vicende per cui questa mattina è stata arrestata. A Gina Cetrone, appartenente a una famiglia che da anni si occupa della produzione del pregiato olio di Sonnino, la sola attività imprenditoriale è sempre andata stretta e ha sempre sgomitato per ottenere un posto al sole sul palco della politica.
In un percorso tutto a destra. È stata tra i primi, nel 1994, a rispondere alle sirene di Silvio Berlusconi, ottenendo poi dall’allora azzurro presidente della Provincia di Latina, Armando Cusani, successivamente a sua volta arrestato in un’indagine per corruzione e appalti sporchi, un primo incarico nell’amministrazione provinciale. E ben presto, tra abusi edilizi e d’ufficio, per la rampante imprenditrice sono arrivate anche le prime grane sul fronte giudiziario, legate alle sue attività a Sonnino e tutte risolte senza danni. Nulla sembrava fermare quella che voleva uno spazio tra i big del centrodestra, fervente patriota e sovranista.
E tra una sconfitta e l’altra, dopo essere stata tra gli artefici principali del crollo della giunta comunale di Lorenzo Magnarelli a Sonnino, per contrasti interni alla maggioranza e con un sindaco che non voleva saperne di piegarsi a compromessi e clientele, il punto più alto la Cetrone sembrava averlo raggiunto con l’ingresso in Regione.
Ma lo scandalo di Franco Fiorito e il crollo della Polverini travolse lei come molti altri. Non si è arresa. Tra un ammiccamento alla Destra di Francesco Storace è uno a FI, dopo aver tentato anche un avvicinamento alla Lega di Salvini, sembrava decisa a farsi nuovamente largo con Cambiamo di Toti. Ma intanto, anche se non sembra essersene curato il governatore della Liguria, è arrivato lo tsunami Alba Pontina.
E con le indagini l’ipotesi che la coordinatrice provinciale del partito coltivasse i rapporti con i Di Silvio addirittura dal 2013 e che tre anni dopo, prima di rinunciare alla corsa come candidato sindaco a Terracina e appoggiare il candidato azzurro, poi sconfitto dall’attuale europarlamentare di FdI, Nicola Procaccini, avrebbe ingaggiato l’organizzazione criminale persino per scortare a un suo comizio il vecchio amico Cusani.
“Con i Di Silvio avevamo preso l’80% della politica grazie ai miei contatti quando ero nel clan dei Travali. Sono stato io a proporre l’affare della politica”, ha ribadito anche in aula, nel processo in corso alla famiglia di origine nomade, il pentito Agostino Riccardo. Quest’ultimo, nonostante la ex consigliera regionale abbia sempre negato, stando alle sole intercettazioni telefoniche sembra del resto fosse in confidenza con la coordinatrice del partito di Toti: “Io non sapevo di averti disturbato, lo sai te voglio bene come na madre, devo pagà gli operai”. E lei: “Oh, na madre, ma tu c’hai quasi l’età mia bello”.
Ancora: “Alla Fiora non c’è un mio manifesto. Ci sono 100 elettori e non un mio manifesto”. A parlare di Gina Cetrone è stato inoltre anche un secondo pentito, Renato Pugliese, figlio del boss Costantino “Cha Cha Di Silvio”, che riferendosi all’indagato Angelo Morelli ha dichiarato: “Quando era detenuto si lamentò tramite Morelli Cristian perché non voleva che io e Riccardo ci occupassimo della campagna elettorale di Gina Cetrone, che era roba loro ed i cui profitti dovevano andare ai carcerati. Di Silvio Armando chiamò Manolo, Morelli Sabatino fratello di Cristian, e disse a Sabatino che da quel giorno la politica era tutta dei Di Silvio. Abbiamo fatto anche la campagna Noi con Salvini”. Di più: “Cetrone ci chiese di affiggere i manifesti anche oltre l’orario consentito, in prossimità del voto, in modo da poter far apparire fino alla fine il suo volto agli elettori, Mi disse infatti che tanto le multe, eventualmente, venivano pagate a stralcio solo in parte quindi non erano molto elevate”.
Ma non è tutto. Come dichiarato dal pentito Riccardo e alla luce delle indagini svolte dalla Mobile, culminate negli arresti di oggi, l’ex consigliera avrebbe infatti ingaggiato il clan anche per compiere un’estorsione da 70mila euro e per effettuare una spedizione punitiva nei confronti di un pregiudicato. “Gina Cetrone – ha sostenuto sempre Riccardo – sapeva chi eravamo noi. In un’altra occasione disse che dovevamo risolvere un problema che aveva su Latina in quanto un pregiudicato di Casale, Napoli, tale Salvatore Muraro aveva spezzato i polsi al nipote e voleva che intervenissimo noi, cosa che poi è avvenuta. Lei ci ha delegato anche una spedizione punitiva nei confronti di Muraro, ma non a livello di azione, ma per fargli capire che lei stava con noi, con il clan Di Silvio e che nessuno si doveva permettere di mettersi contro di lei. Aggiungo che Gina Cetrone ci mandò a fare anche un’estorsione di 70mila euro…eravamo amici stretti”. Ai riflettori della politica oggi si sono così sostituiti i lampeggianti della Polizia di Stato.