Di Redazione Internapoli
Per la Procura di Napoli era il collante tra la politica ed il clan Mallardo: un classico colletto bianco, più vicino alla mala che alle istituzioni. Eppure Andrea Abbate, imprenditore di Giugliano, nei palazzi delle istituzioni aveva provato ad entrarci in prima persona: forse per curare gli interessi personali (che più volte spuntano fuori in queste indagini) o anche perché in fondo appartenere a quel mondo gli piaceva davvero.
Nel corso di un’intercettazione del 5 ottobre del 2020, rilevata grazie al captatore installato nel suo smartphone, Abbate ammetteva di essere stato rimproverato dal boss Giuliano Amicone che gli avrebbe detto “la devi finire tu e Omissis, andiamo nelle spese pure noi”. Chiara la paura del reggente del clan Mallardo di finire in guai giudiziari a causa della politica, paura che non si dissolveva nonostante, le parole distensive di Abbate: “a me piace la politica, ma io che devo fare”.
Una passione per la politica che spunta fuori anche andando a ritroso nella vita dell’imprenditore: nel 2009, infatti, Andrea Abbate fu candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio Provinciale di Napoli (ultima con suffragio universale, prima del passaggio alle elezioni di secondo livello) nelle liste dell’Udeur nel collegio 26 comprendente la sola città di Giugliano, ottenendo 1924 voti (poco meno del 5%), insufficienti per essere eletto nell’Ente di Santa Maria la Nova.
Una parentesi e poco più, prima di appoggiare e di sostenere pubblicamente Antonio Poziello (anch’egli arrestato) alle elezioni amministrative del 2015 e del 2020.
A tal riguardo va precisato che il reato di 416 ter (patto elettorale politico-mafioso) è contestato agli indagati soltanto per la tornata elettorale del 2020, mentre nella precedente secondo il gip Federica Colucci non vi sarebbero gli estremi per la contestazione del suddetto reato, nonostante le richieste avanzate dai pubblici ministeri.
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