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Aprilia e Sperlonga,due situazioni in provincia di Latina da attenzionare da parte della DDA di Roma.

 

 APRILIA  E SPERLONGA. DUE SITUAZIONI DA ATTENZIONARE  DA PARTE DELLA DDA                                                                                                                                                                                                                    

 

 

STIAMO SEGUENDO  CON MOLTA ATTENZIONE ALCUNE SITUAZIONI   CHE INTERESSANO IN PROVINCIA DI LATINA  SOPRATTUTTO I TERRITORI DI  APRILIA AL NORD  E  DI SPERLONGA AL SUD,DUE TERRITORI  CHE  NOTORIAMENTE VENGONO INDICATI COME FRA I PIU’ INFILTRATI DALLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA.

NON SIAMO IN GRADO,AL MOMENTO,DI VERIFICARE SE  SIANO STATE O MENO SVOLTE  DAGLI ORGANI  PONTINI  INDAGINI  ACCURATE AL RIGUARDO E SE,IN CASO POSITIVO,SIANO STATE INFORMATE DELL’ESITO DI QUESTE LA DNA E  LA DDA DI ROMA .

CERCHEREMO DI VERIFICARLO .

INTANTO PUBBLICHIAMO DUE  SCRITTI CHE CI SEMBRANO MOLTO  INTERESSANTI,IL PRIMO DEI QUALI  RIGUARDA  IL “CASO FONDI”  ED IL SECONDO ,UNA RELAZIONE  SULLE COMPETENZE DELLA DNA E DELLE DDA  IN MATERIA DI REATI DI MAFIA E SULLA NECESSITA ‘ DEL COORDINAMENTO FRA  QUESTE E  LE PROCURE  ORDINARIE.

 

 

 

 

Associazione antimafia “Antonino Caponnetto” ha condiviso il video di TzeTze.

· 7 dicembre 2015 alle ore 16:52 · 

 

 
 LEGGETE CON ATTENZIONE QUELLO CHE HANNO SCRITTO NEL 2009,A PROPOSITO DEL “CASO FONDI”     ( VEDI “LATINA OGGI” DI MERCOLEDI’ 2 SETTEMBRE 2009 IN UN ARTICOLO DAL TITOLO “LE SVISTE SULLE COSCHE LOCALI”) I PM DIANA DE MARTINO E FRANCESCO CURCIO DELLA DNA:
“NELLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI CASI SI E’ PROCEDUTO DA PARTE DELLE DIVERSE AUTORITA’ GIUDIZIARIE DI QUESTO DISTRETTO ,RUBRICANDO LA MASSA DEI FATTI OGGETTO DI INDAGINE ,IN REALTA’ DI STAMPO MAFIOSO,IN FATTI DI CRIMINALITA’ COMUNE “.

 

 

ORBENE ,SE,COME E’ SUCCESSO E SPERIAMO NON SUCCEDA PIU’ A LATINA,LA DNA E LE DDA  NON DOVSSERO ESSERE INFORMATE  DALLE PROCURE ORDINARIE  DEI REATI DI NATURA ASSOCIATIVA  ED I REATI DI NATURA MAFIOSA  DOVESSERO ESSERE RUBRICATI COME REATI  DI CRIMINALITA’ COMUNE ,COME SI FA   A PRETENDERE CHE  SI FACCIA  SERIAMENTE IN ITALIA LA LOTTA   ALLE MAFIE ?

 

 

UN PROBLEMA  FRA I PROBLEMI !

 

 

 

PUBBLICHIAMO  AL RIGUARDO UNA RELAZIONE,RILEVATA DA INTERNET,DEL DR. ALBERTO  MARITATI,SOSTITUTO PROCURATORE DELLA DNA, CHE CI E’ SEMBRATA MOLTO INTERESSANTE 

 

 

                                             

 

COORDINAMENTO DELLE INDAGINI NEI PROCEDIMENTI PER DELITTI DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA.IL RUOLO DELLA D.N.A. (*) Relatore: dott.Alberto   MARITATI Sostituto procuratore nazionale antimafia 

 

 

 

 

 

Premessa. 

 

 

 

Gli avvenimenti connessi alle manifestazioni del terrorismo negli anni ‘70, hanno inciso anche sui modi della risposta repressiva giudiziaria, con conseguenze anche sull’andamento complessivo del processo penale. La violenza terroristica si presentò ben presto come l’espressione di una strategia generale di attacco al sistema democratico del Paese. In presenza di una situazione di tal genere e prima che lo Stato fosse in grado di allestire, anche solo a livello giudiziario, una organica risposta repressiva, i magistrati più impegnati nelle istruttorie per fatti di terrorismo posero in essere metodi di lavoro spontanei, fondati sull’autocoordinamento, che comportavano uno scambio sistematico di informazioni e quindi una sorta di socializzazione della conoscenza acquisita nell’ambito delle singole istruttorie. Nacquero così i primi incontri tra pubblici ministeri e giudici istruttori nel corso dei quali avveniva lo scambio di informazioni ed atti giudiziari. La tendenza nata spontaneamente, soprattutto sulla base della sensibilità professionale di alcuni magistrati inquirenti, divenne sempre più frequente con l’incipiente fenomeno del pentitismo. A quel punto fu più forte e generalizzata l’esigenza che i verbali dei collaboratori, per l’ampiezza del loro contenuto e soprattutto per i collegamenti e le interconnessioni che evidenziavano tra numerose azioni e delitti commessi o da commettere, anche in zone diverse del Paese, fossero trasmessi o posti a disposizione di tutti i magistrati impegnati in istruttorie per fatti di terrorismo. Fu sentita nel contempo l’esigenza di effettuare le indagini da parte di magistrati riuniti in gruppo, vuoi per la complessità delle attività istruttorie, vuoi per la opportunità di non concentrare su un solo inquirente il carico dei pericoli e delle responsabilità crescenti. Si percepì quindi in quel contesto la viva esigenza di un coordinamento sistematico tra vari organi giudiziari inquirenti, e la contestuale necessità di un “sapere collettivo” utilizzabile in modo rapido ed incisivo nelle indagini in corso ed in quelle da instaurare. La sconfitta del pericoloso fenomeno fu dovuta certo ad una risposta complessiva che il Paese, sia pure a fatica, riuscì a contrapporgli; ma quella più immediata ed incisiva venne indubbiamente dalla repressione giudiziaria, soprattutto quando il coordinamento spontaneo e la socializzazione delle conoscenze giudiziarie – resi ricchi e vitali dalle collaborazioni oramai regolate legislativamente – divennero un valido strumento della risposta repressiva giudiziaria. Senza soluzione di continuità, e per fattori che non possono entrare ovviamente nella riflessione di questo incontro, il fenomeno della criminalilà organizzata di tipo mafioso, prese presto il posto del terrorismo come problema grave ed impellente con cui il Paese era costretto a confrontarsi (ancora una volta), immediatamente e prevalentemente sul terreno della risposta repressiva giudiziaria. Dinanzi alla incalzante escalation della criminalità organizzata di tipo mafioso, nasce, anche in questo settore, dapprima come esperienza spontanea, l’esigenza di organizzare, nell’ambito degli Uffici di Procura e del G.I., gruppi di magistrati autocoordinati, incaricati di trattare una o più indagini istruttorie di particolare delicatezza e complessità. Si costituiscono così i primi gruppi (pool) di lavoro che operano soprattutto presso gli Uffici inquirenti della Sicilia e della Campania, con risultati di indubbia rilevanza. Sotto la spinta di una aggressione criminale che sembrò non dovere avere limiti, il legislatore, nell’ambito della strategia della risposta repressiva al fenomeno criminale mafioso, con il D.L. 20 novembre 1991, n. 367 poi convertito nella L. 20 gennaio 1992, n. 8, dava vita alle Procure Distrettuali ed alla Procura nazionale Antimafia. 1. Assetto organizzativo dei servizi speciali di Polizia. È utile rilevare, per quanto diremo in seguito, che la riforma non si limitò all’assetto organizzativo del Pubblico ministero ma anche alle forze di polizia. Ed infatti, con il D.L. n. 152 del 1991, convertito in legge n. 203/1991, furono istituiti i servizi centrali ed interprovinciali delle forze di polizia, ai quali è stato conferito il compito prioritario di sviluppare l’attività di contrasto della criminalità organizzata. La legge prevede inoltre la possibilità che tali servizi centralizzati, in talune regioni o in particolari contesti, si organizzino operativamente in organismo interforze, come ad esempio per la prevenzione e repressione dei sequestri di persona – soprattutto in Sardegna. L’articolo 12 della stessa legge n. 203 del 1991 demanda al pubblico ministero il compito di curare il coordinamento investigativo ed operativo, dandogli espressamente la possibilità di avvalersi congiuntamente dei tre servizi centrali di polizia, impartendo loro le opportune direttive. La previsione normativa assume rilievo, in quanto in linea con il codice di procedura penale che ha conferito al pubblico ministero le funzioni direttive delle indagini (art. 327: il P.M. dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria – art. 330: il P.M. e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di loro iniziativa; art. 347 e 348: il P.M., ricevuta la notizia di reato, impartisce le direttive per lo svolgimento delle indagini), ma soprattutto perché concorre a sancire il principio per cui anche le attività di investigazioni vere e proprie, in presenza di collegamenti attuali o potenziali, debbano essere coordinate dalla magistratura inquirente. Il processo di ristrutturazione della polizia non si fermò tuttavia a quel punto, in quanto il legislatore, certamente condizionato dal clima esasperato che il Paese stava vivendo a causa dell’incalzare delle azioni efferate poste in essere dalle organizzazioni mafiose, con il D.L. 29 ottobre 1991, convertito nella legge 30 dicembre 1991 n. 410, istituiva la Direzione Investigativa Antimafia, congiuntamente al Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata che dovrebbe svolgere il ruolo, come sommo vertice organizzativo del settore, di distribuire i vari compiti tra le forze di polizia. L’organo è presieduto dal Ministro dell’interno e composto dai vertici delle tre Armi nonché dai direttori del S.I.S.M.I. e del S.I.S.D.E. che, dall’art. 2 della legge n. 410 del 1991 (istitutiva della D.I.A.), hanno ricevuto anche competenze di ricerca informativa, in materia di criminalità organizzata di tipo mafioso. Prima di procedere oltre nell’esame del tema centrale del coordinamento delle investigazioni e delle indagini, può essere utile riassumere brevemente il quadro organizzativo degli organismi speciali di polizia, innanzi richiamati. Il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato (S.C.O.) è posto alle dirette dipendenze della Direzione Centrale della Polizia Criminale (Criminalpol), istituito per incentivare la attività di contrasto della grande criminalità, anche nei settori dell’economia della finanza e della informatica, si articola a livello centrale in tre divisioni: 1) Nucleo centrale anticrimine, per le indagini sulla c.o., traffico di sostanze stupefacenti ed indagini per la cattura di latitanti. 2) Nucleo centrale per la criminalità economica ed informatica per le indagini sul patrimonio, sugli appalti pubblici e sulle nuove manifestazioni delittuose incidenti sui sistemi informatici. 3) Nucleo centrale di coordinamento ed organizzazione con il compito di supervisore dei centri interprovinciali. Su tutto il territorio nazionale sono stati inoltre istituiti 15 centri interprovinciali della Criminalpol (C.I.C.) posti alle dipendenze funzionali dello S.C.O. e gerarchicamente del Direttore centrale della Polizia criminale, vice capo della Polizia. Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri (R.O.S.): è stato istituto con competenza in materia di criminalità eversiva e terroristica interna ed internazionale ma anche con compiti di contrasto alla criminalità organizzata, soprattutto nei casi di particolare complessità e gravità dei fatti. Il R.O.S. a livello centrale è organizzato in quattro reparti: a) analisi e pianificazione; b) criminalità organizzata; c) eversione; d) sequestri di persona e catturandi. Sul territorio nazionale sono state istituite 26 sezioni anticrimine, una per ogni sede delle direzioni distrettuali antimafia. Il Servizio Centrale di Investigazione sulla criminalità organizzata (S.C.I.C.O.) della Guardia di Finanza, dipendente dal Comando della Zona Centrale, dispone sul territorio nazionale dei Gruppi Investigativi sulla criminalità organizzata (G.I.C.O.). A livello centrale lo S.C.I.C.O. si occupa delle operazioni effettuate sotto copertura, dei colloqui investigativi, delle intercettazioni preventive e partecipa ai collegamenti interforze per la lotta ai sequestri di persona per scopo di lucro. Compito primario dello S.C.I.C.O. è quello di effettuare indagini valutarie, finanziarie, patrimoniali e bancarie essenzialmente connesse al delitto di riciclaggio. Va ricordato infine il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, con sede centrale che fu istituito con la legge n. 159 del 1976 per contrastare la esportazione illegale dei capitali all’estero, mentre attualmente viene impegnato in indagini di carattere prevalentemente finanziario, nel settore delle intermediazioni finanziarie mobiliari e di ogni tipo di utilizzazione illecita del sistema finanziario a scopo di riciclaggio. Come abbiamo innanzi accennato, con il D.L. 29 ottobre 1991 n. 345 – convertito nella legge n. 410 del 1991 –, viene istituita la Direzione Investigativa Antimafia, nell’ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza e perciò posta alle dipendenze del Ministro dell’interno. La D.I.A. nasce con il compito di coordinamento preventivo delle attività rivolte al contrasto della criminalità organizzata nonché per effettuare indagini di polizia giudiziaria, per i soli delitti di associazione mafiosa e per quelli consumati nell’ambito delle attività ascrivibili alle cosche mafiose. L’organismo concepito per porre ordine sistematico, nel settore del contrasto alla criminalità organizzata, nasce in realtà con connotati organizzativi e funzionali che non appaiono affatto idonei ad assecondare lo scopo: esso infatti non ha una autonomia completa né può dirsi parallelo alle preesistenti forze di polizia giudiziaria. Da un lato infatti, nell’art. 3, 3° comma della legge 410/91 si legge che deve operare “in stretto collegamento” con gli uffici e le strutture delle forze di polizia esistenti, centrali e periferiche, per realizzare l’obiettivo del coordinamento, dall’altro, con il successivo 4° comma è previsto che “i servizi centrali ed interprovinciali devono costantemente informare il personale investigativo della D.I.A., incaricato di effettuare indagini collegate, di tutti gli elementi informativi ed investigativi di cui siano comunque venuti in possesso e sono tenuti a svolgere, congiuntamente con il predetto personale, gli accertamenti investigativi richiesti”. Gli sforzi del legislatore diretti ad assicurare un coordinamento effettivo sin dalle prime fasi dell’accertamento dei reati e dell’individuazione delle relative fonti di prova, non può dirsi certamente soddisfatto da una simile impostazione dell’impianto organizzativo e funzionale dei non pochi organismi speciali di polizia predisposti per la lotta alla mafia. Prescindendo dagli indubbi effetti positivi sul piano delle potenzialità e capacità investigative degli organismi speciali, non può dirsi risolto il delicato problema di un effettivo coordinamento in un sistema che, lungi dall’aver risolto il negativo aspetto della “concorrenza”, con la istituzione della D.I.A. come è attualmente strutturata, sembra avere addirittura acuito l’annoso clima di concorrenza scarsamente collaborativa tra le varie polizie. La Direzione Investigativa Antimafia infatti nasce come organo privilegiato, per le indagini inerenti la materia di sua attribuzione, ma nello stesso tempo vengono riorganizzati e potenziati i servizi centrali ed interprovinciali ai quali sono assegnati gli stessi compiti con assoluta sostanziale autonomia. La D.I.A. inoltre, organizzata in tre reparti (Investigazioni preventive 1° reparto, Investigazioni giudiziarie 2° reparto, e le Investigazioni internazionali 3° reparto), ha privilegiato, di fatto, proprio l’attività delle investigazioni giudiziarie che l’hanno posta inevitabilmente in competizione con le più forti e sperimentate Armi che, a loro volta, ancor più a cagione di questa scelta, non le hanno fornito quell’apporto di conoscenze che, unitamente ad un autonomo primario impegno nel settore delle investigazioni preventive, avrebbe conferito al nuovo organismo il carattere di “intelligence” nel settore specifico ed in vista del quale era stata creata. 2.Procure distrettuali e Procura nazionale antimafia. Il profilo più significativo della riforma, per quanto interessa maggiormente in questa sede, consiste nell’avere introdotto nell’ordinamento giudiziario; due nuovi uffici del pubblico ministero (la D.D.A. e la D.N.A.), con autonome attribuzioni di funzioni, poteri e doveri del tutto inediti rispetto alla pregressa esperienza del nostro sistema. In particolare, la nascita della Direzione nazionale Antimafia, composta da magistrati con competenze in qualche modo sovraordinate, benché limitate alla conoscenza, al coordinamento ed all’impulso, è stata caratterizzata da accese polemiche che, sebbene in buona parte sopite, hanno lasciato un persistente alone di diffidenza o comunque di mancanza di accettazione convinta e generalizzata del nuovo organo tra tutti i magistrati del Pubblico Ministero. È bene ricordare che la prima obbiezione rivolta alla figura del Procuratore nazionale, fu quella secondo cui il nuovo organo avrebbe finito per comportare una riduzione della indipendenza della magistratura inquirente, a causa del carattere verticistico che si tendeva originariamente a conferire al Procuratore nazionale antimafia. Per effetto di una vera e propria levata di scudi da parte della magistratura, il legislatore varò però la normativa vigente, in cui ogni forma di superiorità gerarchica è stata eliminata, essendo stato circoscritto il potere del Procuratore nazionale a scopi e finalità che, se correttamente perseguiti, lungi dal comportare una lesione del valore della indipendenza del P.M. sono in grado di accrescerne la autonomia e certamente ne irrobustiscono l’azione e le capacità di risposta alla aggressione del crimine organizzato. Le reiterate opposizioni – in vero assai ridotte rispetto al passato – e la resistenza di fatto che permangono, in particolare presso alcuni uffici del PM, sono fondate su pregiudizi ideologici o sulla difficoltà di accettare e praticare compiutamente la nuova cultura della “socializzazione del sapere” e del coordinamento effettivo delle attività di indagine che si svolgono su ogni parte del territorio nazionale. Le funzioni del Procuratore nazionale antimafia Prima di procedere alla disamina delle funzioni che la legge attribuisce alla Procura nazionale antimafia, è necessario tenere ben presente che la nuova figura di Pubblico Ministero è stata concepita non in modo autonomo ma nell’ambito di una complessiva riforma, fondata sulla esigenza di contrapporre alla aggressione criminale, sempre più invasiva ed in grado di poter colpire anche nei punti più vitali dello Stato, una risposta repressiva giudiziaria fondata su una conoscenza profonda ed attuale del fenomeno e quindi in grado di colpire tempestivamente le centrali del crimine organizzato. Non a caso infatti il legislatore, in un’unica soluzione, ha istituito la Procura nazionale e le Procure distrettuali, dando vita nel contempo, come abbiamo innanzi ricordato nel settore delle polizie, alla Direzione investigativa antimafia. Da tale premessa scaturisce la necessità che, nell’esaminare le funzioni ed il ruolo della Procura nazionale, si deve tenere ben presente l’obbiettivo fondamentale cui le sue attività sono dirette e la ratio della sua istituzione. 3.La Banca Dati della Procura nazionale antimafia.Il progetto S.I.D.D.A./S.I.D.N.A. Alla base di una moderna ed efficiente risposta repressiva dello Stato verso l’aggressione del crimine organizzato, deve esserci pertanto, prima d’ogni altro, la conoscenza complessiva del fenomeno e delle sue attuali manifestazioni. Tale obbiettivo è raggiungibile solo attraverso la realizzazione di una banca dati delle indagini preliminari. È questo infatti il primo compito che il legislatore ha assegnato al Procuratore Nazionale, il quale ha dovuto conseguentemente organizzare la banca dati delle investigazioni, secondo il progetto denominato S.I.D.D.A./S.I.D.N.A. (sistema informativo direzione distrettuale antimafia, sistema informativo direzione nazionale antimafia). Trattasi di un progetto approvato dall’Autorità per l’informatica della Pubblica Amministrazione (istituita con D.Lgs. 12 febbraio 1993 n. 39), oggetto del piano triennale dell’amministrazione, finanziato e già in corso di realizzazione; esso è già stato avviato, oltre che presso la Procura Nazionale antimafia, anche presso le procure distrettuali di Caltanisetta, Palermo, Catania,Reggio Calabria, Salerno, Bari, Napoli, Firenze, Torino e, nella fase preliminare, nelle procure distrettuali di Roma e Lecce; riteniamo che potrà essere avviato entro il corrente anno, anche presso le Procure distrettuali di Milano e di Cagliari. In sintesi, il progetto in parola prevede la realizzazione di una banca dati nazionale, presso la quale dovranno confluire tutti i dati relativi agli atti ed alle informazioni pertinenti alle indagini preliminari ed ai procedimenti pendenti o espletati presso le singole procure distrettuali, per i reati di cui all’articolo 51 comma 3-bis c.p.p.. Ciascuna delle banche dati istituite presso le direzioni distrettuali dovrà essere collegata quindi con la banca dati della direzione nazionale, ove tutti i dati verranno elaborati anche per effetto della loro “fusione”. La base del sistema è fornita quindi dalle banche dati delle singole Procure distrettuali. La sua architettura è abbastanza semplice. La banca dati distrettuale, con il sistema S.I.D.D.A., è costituita da un archivio dei testi integrali e da una base dei dati relazionale, tra loro integrati. L’archivio dei testi integrali comporta l’acquisizione di tutti gli atti del procedimento, o di quelli che sono considerati rilevanti ai fini delle indagini, su base magnetica: il che esige che l’atto sia costituito dall’origine su tale formato, ovvero che sia trasformato con digitazione al computer o memorizzato con l’uso dello scanner. All’interno dell’archivio dei testi integrali è possibile effettuare una prima e semplice ricerca dei dati e delle informazioni utili, come ad esempio è possibile ricercare nomi di persone o di società, un numero di targa di autoveicolo o di utenza telefonica, un soprannome e simili. La ricerca più interessante e proficua, ai fini delle indagini, è tuttavia quella che va effettuata nell’ambito dell’archivio dei dati posti in relazione tra loro (Base di dati relazionale). Questa è formata dall’insieme dei dati informativi estratti dagli atti del procedimento, memorizzati in modo omogeneo ed in relazione tra loro, sulla base di una procedura predeterminata (analisi). La base dati relazionale è stata organizzata e strutturata secondo uno schema concettuale definito entità-relazione. La categoria delle entità è costituita da ogni possibile oggetto dell’informazione, come ad esempio i soggetti, il fatto reato, il bene, il mezzo di offesa, lo stupefacente, l’utenza telefonica ecc.; la relazione è data dal legame che si può stabilire tra due o più entità, come tra i soggetti che appartengono allo stesso sodalizio criminale, tra il soggetto ed un bene, un’arma, una località e così via. Le entità e le relazioni presenti in banca dati sono state definite in base agli oggetti di informazione che ricorrono maggiormente nelle attività di indagine e che rivestono maggiore importanza sul piano investigativo per la singola indagine, ma anche per soddisfare le esigenze di una conoscenza complessiva dei fenomeni criminali di tipo mafioso. Nell’articolo 371-bis del c.p.p. è bene ricordare, è detto espressamente che l’attività di acquisizione di ogni utile informazione è finalizzata “ai fini del coordinamento investigativo e della repressione dei reati”. Senza volermi dilungare in merito alla organizzazione del patrimonio conoscitivo con il sistema S.I.D.D.A./S.I.D.N.A., ritengo comunque utile evidenziare che il valore della banca dati è condizionato dalla nostra capacità e volontà di dar vita ad una costante e tempestiva implementazione del patrimonio di notizie relative alle indagini in atto. Tutto ciò in funzione della sua immediata utilizzazione, da parte di ogni magistrato inquirente nell’ambito delle singole indagini, ma anche perché il costruendo patrimonio conoscitivo, razionalmente organizzato ed elaborato, possa costituire la base solida per un proficuo esercizio delle funzioni del coordinamento delle indagini collegate e dell’impulso in presenza di obbiettiva carenza, in sede distrettuale, di adeguata conoscenza di fatti o situazioni, e della conseguente limitata risposta repressiva. Una banca dati pertanto che rappresenti il punto di riferimento per ogni sorta di informazione sui soggetti individuati, sulle società e sulle organizzazioni, sui reati consumati, (per le decisioni più importanti è previsto un archivio storico) e soprattutto sulle indagini pendenti o espletate. È anche allo studio del nostro Ufficio la possibilità di procedere, con tempestività, alla informatizzazione di tutti i verbali di udienza relativi alle dichiarazioni rese dai collaboratori della giustizia, o quanto meno di quelli il cui contributo interessino indagini e procedimenti diversi. È appena il caso di accennare che un ulteriore formale riconoscimento del compito attribuito dalle normative vigente al P.N.A., di realizzare la banca dati, è contenuto nel disegno di legge n. 1526/C, relativo alla “tutela della persona rispetto alla elaborazione informatica di dati personali” (presentato alla Camera il 1° settembre 1992). Tale disegno di legge infatti, all’art. 2 comma 4, prevede che “la legge stessa non si applica in riferimento alla banche di dati istituite… in esecuzione dell’art. 371-bis comma 3 del c.p.p. …”. Ampiamente superata appare nei fatti, con singolari eccezioni, la tesi secondo cui il dovere per le D.D.A. (e riteniamo per tutti gli uffici che siano in possesso di dati, notizie ed informazioni comunque attinenti alla criminalità organizzata) di informare il Procuratore nazionale, non comprenderebbe quello di trasmettere gli atti contenenti le informazioni medesime. Se il linea di principio tale incombenza non viene più posta in discussione, nella pratica il dovere di informativa resta il più delle volte affidato alla sensibilità dei singoli magistrati delle procure distrettuali o delle procure ordinarie, ma ancor più all’iniziativa dei magistrati della Procura nazionale, che curano di recarsi sistematicamente in missione presso le D.D.A. loro assegnate per “competenza”. I risultati finora acquisiti sul piano del patrimonio conoscitivo, trasfuso nella banca dati della D.N.A., è stato naturalmente limitato rispetto a quanto sarebbe stato possibile ottenere, sulla base di una completa ed uniforme collaborazione da parte di tutte le Procure distrettuali. Le difficoltà sopra accennate potranno essere certamente superate in buona parte, man mano che entreranno in funzione le banche dati presso ciascuna direzione distrettuale, a loro volta collegate con la banca dati della Procura nazionale; solo a quel punto sarà più agevole attivarsi, nelle forme previste dagli artt. 371-bis c.p.p. e 110-bis ord. giud., “per assicurare la completezza e tempestività delle investigazioni”. Il richiamo dell’aspetto inerente al momento conoscitivo ed alla relativa organizzazione informatica dello stesso, sebbene trattato con estrema sintesi, allo scopo di rispettare i confini del tema assegnatomi con la presente relazione, costituisce il presupposto logico e giuridico per affrontare il punto centrale del ruolo e delle funzioni assegnate dal legislatore al Procuratore nazionale antimafia, vale a dire il di coordinamento e di impulso. 4.Coordinamento investigativo e delle indagini. La nozione giuridica di coordinamento è di recente elaborazione anche nel diritto amministrativo, sebbene la parola sia da non poco tempo presente nel linguaggio tecnico giuridico della dottrina e della legislazione, sia pure con significati non sempre omogenei. Più di recente il coordinamento ha avuto larga diffusione nei rapporti tra pubblici poteri, iniziative personali e di gruppo, ed inoltre in rapporto al necessario riassetto organico da dare all’azione dei pubblici poteri, al fine di evitare conflitti, contraddizioni ed interventi a fini contrastanti. Il coordinatore è in un certo senso manifestazione tipica di una società democratica e pluralista che intende ottenere l’armonico orientamento di individui, gruppi, organi o istituzioni, verso determinati fini, senza però annullare la libertà, l’autonomia o l’iniziativa di tali soggetti. Il coordinamento viene quindi in rilievo quando si è in presenza di una pluralità di attività e di soggetti ai quali l’ordinamento riconosce una autonoma individualità. Più propriamente quindi, di coordinamento deve parlarsi piuttosto nei confronti delle attività che non dei singoli atti. Accanto alla nozione di coordinamento delle attività si va pure delineando la figura organizzativa del coordinamento. Anche il sistema gerarchico veniva indicato come uno strumento di coordinamento delle attività degli uffici inferiori da parte dei superiori ma, in verità, in quel caso gli uffici non sono propriamente coordinati bensì ordinati, giacché nell’ambito del rapporto gerarchico essi non godono di alcuna autonomia (1). Ciò premesso, giova a tal punto verificare quali sono i contenuti ed i limiti del coordinamento previsti dalla normativa che disciplina l’ufficio del Procuratore nazionale antimafia. L’art. 371-bis lett. c) del c.p.p., con l’espressione “coordinamento investigativo” ha inteso dare alle funzioni di coordinamento e di impulso la massima ampiezza, facendovi rientrare oltre le ipotesi in discusse delle indagini in senso proprio, anche quelle delle attività di investigazioni svolte dagli organi di polizia giudiziaria, prima cioè che il magistrato inquirente sia stato investito del caso con la informativa di reato. Non può esservi dubbio che, anche in questa ultima ipotesi, sussista quasi sempre la necessità del coordinamento, attesa l’incidenza che il compimento delle attività investigative avranno di solito sulla organizzazione e lo sviluppo delle indagini da instaurare o già in pendenza presso altre Procure. 5.Investigazioni preliminari strumentali al coordinamento ed all’impulso. È a tal proposito che va evidenziata l’attività del Procuratore nazionale, diretta ad acquisire dati, notizie ed informazioni in modo organico, in relazione a fatti di particolare complessità ed ampiezza, prima o a prescindere da singole e specifiche indagini preliminari che siano in pendenza presso questo o quell’ufficio di Procura. Tale attività si colloca evidentemente, in rapporto di vera e propria strumentalità, tra lo stesso coordinamento investigativo e l’impulso . Con il termine “preinvestigazioni” si intende indicare quella attività posta in essere direttamente dai magistrati della Procura nazionale antimafia o per il tramite della D.I.A. e dei servizi centrali di polizia, dei quali la legge espressamente prevede che il P.N. possa “disporre”, allo scopo di acquisire quella conoscente esauriente ed organica del fenomeno della criminalità associata, in uno o più settori specifici, al di fuori dei risultati delle singole indagini preliminari. L’attività di preinvestigazione quindi può dispiegarsi in relazione all’oggetto di una serie di indagini che siano state svolte o tuttora siano pendenza sulla stessa materia (ad es. riciclaggio o traffico di rifiuti), ovvero prescindendo da indagini specifiche. In sostanza, la ricezione complessiva delle indagini e delle investigazioni consente, attraverso la sistematica informatizzazione degli atti più rilevanti, nei termini innanzi accennati, di disporre di una considerevole base di conoscenze, fornendo nel contempo ulteriori preziosi spunti investigativi, anche se gli stessi possono non essere finalizzati immediatamente all’accertamento di fatti specifici, oggetto di indagini preliminari. È necessario precisare che l’attività di preinvestigazioni non dovrà mai risolversi in un’indebita interferenza nella sfera di competenza delle Procure procedenti o, peggio, in una inutile duplicazione di attività investigative (c.d. indagini parallele). Le “preinvestigazioni” del Procuratore nazionale rivestono da un lato, carattere di integrazione delle conoscenze complessive dei fenomeni criminali che, per la loro stessa natura, non sono suscettibili di essere contenuti nell’ ambito dei confini circoscritti dell’indagine processuale e, dall’altro, consente l’esercizio successivo della correlativa funzione di impulso sulle attività di indagini già in atto, ovvero da instaurare presso Procure competenti. L’attività di “preinvestigazione” così intesa, non può generare problemi di alcun genere, rispetto ai limiti posti al ruolo ed alle funzioni della Procura nazionale, nei confronti delle Procure distrettuali. Ed infatti oggetto di tali attività – è bene ribadirlo – non saranno certamente atti specifici, relativi a situazioni o circostanze che di per sé già costituiscano oggetto di indagine da parte di un organo inquirente, ma piuttosto fenomeni criminali che, manifestandosi attraverso la consumazione di un numero indefinito di reati, e sviluppandosi con modalità, programmi e strutture organizzative di dimensioni assolutamente nuove rispetto alle precedenti esperienze, proprio in virtù di tale connotazione, sfuggono di regola – nel loro complesso – alla conoscenza ed alla capacità di risposta delle singole Procure della Repubblica. È sufficiente pensare alla rete spesso inaccessibile alle normali indagini di ciascuna Procura, in materia di illeciti finanziari resi ancor più difficilmente percepibili ed aggredibili, dalle “moderne” organizzazioni finanziarie che si muovono oramai attraverso snodi e percorsi intercontinentali. Anche attraverso le più diligenti attività di indagini è assai improbabile che si possa risalire alle centrali dell’alta finanza del crimine organizzato, mentre al conseguimento di tale obbiettivo difficile in assoluto – si può sperare di pervenire solo attraverso percorsi conoscitivi e di analisi complessiva che mal si conciliano con i tempi e le regole nelle normali indagini preliminari e con la competenza dei singoli Procuratori della Repubblica (2). Un’attività quindi proiettata alla formazione di notizia di reato che per altro trova già un riconoscimento esplicito normativo, con il conferimento al Procuratore nazionale del potere di espletare i colloqui investigativi. Trattasi di una zona di collegamento tra il momento puramente informativo e l’attività giudiziaria, con cui si tende ad acquisire utili informazioni per la prevenzione e repressione dei delitti di criminalità organizzata. S’intende che un tale ruolo conferito al P.N.A. non può che essere funzionale ai compiti propri dello stesso, vale a dire conoscenza complessiva del fenomeno – criminalità organizzata –, impulso e coordinamento delle indagini. L’attribuzione ad un organo del P.M. di un così particolare potere investigativo, rappresenta una novità che per altro rafforza l’interpretazione complessiva innanzi esposta, del coordinamento delle investigazioni e della acquisizione anche organica di dati ed informazioni, direttamente da parte del Procuratore Nazionale o per il tramite della D.I.A. o dei servizi centrale ed interprovinciali. Il colloquio investigativo che è collocato in una area extra processuale, di regola non attiene ad indagini in corso bensì ad investigazioni ed indagini conseguenti da instaurare su nuove notizie di reato, anche se talvolta ne derivano spunti investigativi incidenti su indagini già in atto. Approfondire filoni di indagini potenziali, previa una attività di conoscenza complessiva cui faccia seguito una opportuna selezione dei fatti d’altronde è compito specifico del Procuratore Nazionale. Attività questa che assume particolare significato in quanto il Procuratore nazionale, essendo svincolato da limiti territoriali, senza dover rispettare tempi e scadenze processuali, può cogliere attraverso la stessa i nessi che collegano fenomeni e avvenimenti che si manifestano su tutto il territorio nazionale ed anche in Paesi esteri, comprendendone in tempo utile le strategie criminali e tentando così di predisporre valide iniziative per una adeguata e tempestiva risposta di repressione. Le preinvestigazioni in ultima analisi consentono “all’organo che deve gestire l’accusa di divenire soggetto consapevole anche dell’azione investigativa che di quella è il presupposto, senza subire passivamente iniziative della Polizia; ed anzi orientandola proprio al fine di colmare – con la consapevolezza che gli può derivare dai ritorni giudiziari delle notizie criminis qualificate – le lacune che si possono individuare nel sistema repressivo dello Stato, ed infine garantendo ad una attività delicata quella veste di impartizalità che viene offerta in dote dalla sua appartenenza all’ordine giudiziario” (3). È chiaro che con una simile impostazione riemerge la questione attinente alla maggiore discrezionalità conferita al P.M. (in questo caso il Procuratore nazionale) che comporterebbe un carico di responsabilità tale da renderlo poco compatibile con l’appartenenza all’ordine giudiziario. Ritengo che il rilievo sia privo di fondamento. Il principio da cui partire è l’obbligatorietà dell’azione penale. L’impostazione sopra esposta non solo non contrasta con tale principio ma al contrario è tale da rafforzarlo nella pratica giudiziaria. Quando si afferma inoltre che riconoscere al P.M. La scelta di orientare in una direzione o nell’altra la ricerca della notizia di reato lo renderebbe poco compatibile con l’appartenenza all’ordine giudiziario, si tralascia di considerare che tutta la polizia giudiziaria, come previsto dalla Costituzione, è sempre alle dipendenze funzionali del P.M.. Orbene, inibendo quella attività al P.M., o riducendone sensibilmente i poteri di iniziativa ne deriva inevitabilmente una automatica dilatazione di quegli stessi poteri in favore della Polizia giudiziaria che resterebbe tuttavia vincolata al potere di direzione del P.M.. Anche in questa ipotesi quindi, se di responsabilità si vuol parlare, l’organo giudiziario dovrebbe comunque rispondere dell’operato della Polizia giudiziaria, proprio in relazione alle attività dalla stessa svolte, per la ricerca ed il perseguimento dei reati, in relazione alle quali il P.M. ha il potere-dovere di direzione. Ed infine, appare difficile parlare di incompatibilità, con l’appartenenza all’ordine giudiziario, di un P.M. impegnato comunque, anche se con scelte discrezionali, limitate solo ai tempi e ai modi delle investigazioni, relative a reati già consumati, atteso che tale ricerca rappresenta il contenuto del principio costituzione dell’obbligatorietà dell’azione penale. In costanza di tale principio l’unico vero antidoto ad ipotesi di discrezionalità distorta e soprattutto di quelle che possano facilmente sfociare nell’arbitrio, può risiedere in una sempre più elevata professionalità dei magistrati e nella conseguente responsabilità disciplinare. La conoscenza complessiva ed esauriente del fenomeno mafioso e di tipo mafioso, cui deve tendere la Procura nazionale antimafia, non va pertanto intesa come momento di mera cultura giuridica o sociologica, che altrimenti il legislatore, per soddisfare una istanza di tal genere, bene avrebbe potuto più agevolmente dare vita ad un istituto di ricerca e di studio del fenomeno delle mafie e non già ad un’ufficio di Procura. La conoscenza rappresenta quindi il primo degli obbiettivi, evidentemente di natura strumentale rispetto al conseguimento del risultato finale che costituisce la ragione stessa della creazione dell’Ufficio: assicurare cioè una effettiva e tempestiva “repressione dei reati” che a sua volta costituisce la condizione essenziale per rendere concreto ed operante il principio costituzionale della obbligatorietà dell’azione penale. 6.Coordinamento. La funzione di coordinamento attribuita dalla legge al P.N.A., appare a sua volta ancorata all’attività iniziale di acquisizione di tutti i dati e le informazioni comunque attinenti al fenomeno della criminalità organizzata di tipo mafioso. Abbiamo già detto della natura strumentale della banca dati che acquista un particolare interesse e valore operativo proprio a proposito della funzione di coordinamento. L’attività criminale delle associazioni di tipo mafioso, com’è noto, comprende un numero indefinito di reati ma ve ne sono alcuni che potremmo definire quasi di “appannaggio esclusivo”, come il traffico delle sostanze stupefacenti, il traffico delle armi, le estorsioni organizzate su vaste zone di territorio, l’usura, il riciclaggio e, in alcuni periodi, i sequestri di persona. Le importanti e spesso dolorose esperienze, negli ultimi decenni, del nostro Paese, hanno posto in evidenza la inutilità di risposte, per quanto dure possano essere state, di tipo episodico ed occasionale verso una criminalità organizzata sempre più in grado di programmare non solo la consumazione di crimini anche efferati (basti pensare alle ultime stragi consumate quasi contestualmente in varie città), ma anche di provvedere al reimpiego degli ingenti profitti accumulati, con tecniche e capacità di gestione degne dell’alta finanza che opera ben al di là degli stessi confini nazionali. La natura di tali crimini e la espansione progressiva dei territori di influenza e di operatività delle organizzazioni criminali, hanno reso del tutto inadeguate le risposte repressive lasciate alla spontaneità ed all’episodico esercizio dell’azione penale. La risposta repressiva giudiziaria più efficace è stata sviluppata solo negli ultimi anni sulla base di tecniche nuove, rese certo più incisive dal fenomeno delle collaborazioni, ma anche dalla moderna concezione della circolazione delle notizie che di per sè presuppone una organizzazione che il legislatore ha inteso concretizzare attraverso la creazione delle Procure distrettuali, la Procura nazionale e, per quanto attiene il settore delle polizie, con l’istituzione della Direzione Investigativa Antimafia e dei servizi provinciali e nazionali nell’ambito delle tre Armi. Attraverso il riassetto organizzativo degli uffici del pubblico ministero, in particolare con la legge n. 8 del 1992, si è voluto tentare di superare le gravi carenze più volte riscontrate nel settore del coordinamento delle indagini collegate, quasi sempre affidato alla sensibilità ed iniziativa dei singoli magistrati inquirenti, sia pure sulla base della prima iniziativa di legge introdotta con l’art. 9 del D.Lgs. del 14 gennaio1991, n. 12, previsto dall’art. 118-bis disp. att. c.p.p.. Giova a tal proposito ricordare che, prima dell’introduzione delle nuove figure della connessione – come prevista dall’art. 12 c.p.p., modif. dall’art. 1 del D.L. 20 novembre 1991 n. 367 – e degli artt. 54-bis e 54-ter c.p.p., che prevedono i criteri per la soluzione dei “contrasti positivi tra uffici del pubblico ministero” e dei “contrasti tra pubblici ministeri in materia di criminalità organizzata”, uno dei più gravi effetti del vecchio sistema consisteva proprio nella parcellizzazione delle indagini preliminari presso ciascuna procura, con la dannosa conseguenza di disperdere i risultati, spesso pregevoli, delle varie investigazioni e dei processi. Sulla base di tali premesse, l’attività di coordinamento assegnata dal legislatore al Procuratore nazionale antimafia, non deve essere tuttavia intesa come mera opera di regolamento del “traffico” degli atti relativi ad indagini collegate in pendenza presso più Uffici del Pubblico ministero. L’organizzazione del crimine – è detto peraltro in modo esplicito, nella stessa relazione alla legge di conversione del decreto istitutivo della Procura nazionale Antimafia – deve essere adeguatamente fronteggiata con una organizzazione delle indagini. È bene a tal proposito chiarire che il coordinamento, in vista del risultato finale sull’esito delle indagini, persegue l’obbiettivo di rendere concreto ed operante il rapporto di cooperazione tra soggetti comprimari, così evitando ogni effetto deleterio ascrivibile alla sua mancanza, ma senza mai spingersi al punto di condizionare il merito delle singole indagini. Ferma restando quindi la più assoluta autonomia del singolo pubblico ministero, di esercitare l’azione penale e di valutare autonomamente strategie d’intervento, non può esservi dubbio che, in presenza di indagini che risultino anche solo potenzialmente collegate, v’è l’obbligo di conferire ogni informazione, in tempi reali, al Procuratore nazionale per consentirgli la conoscenza di ogni elemento utile e necessario alla valutazione complessiva del quadro delle indagini. Via via che il patrimonio conoscitivo (informatizzato) della Procura nazionale avrà raggiunto livelli apprezzabili, l’attività di coordinamento potrà essere più efficacemente svolta, così da assumere concretamente quel carattere di centrale del coordinamento investigativo voluto espressamente dal legislatore. Giova ricordare che dall’anno della sua costituzione ad oggi la Procura nazionale antimafia ha curato più di 180 coordinamenti per indagini collegate, in ogni parte del Paese. Le ipotesi di coordinamento sono varie e tra le più ricorrenti vi sono quelle in cui l’attività investigativa di un pubblico ministero si intrecci con fatti che costituiscono oggetto di indagini in pendenza presso un diverso Ufficio di Procura. In tali casi è elevata la possibilità di sovrapposizioni delle varie attività o, peggio, il pericolo che l’azione di uno dei due o più inquirenti operanti possa pregiudicare l’indagine dell’altro. Si pensi alle ipotesi di intercettazioni telefoniche non comunicate ai P.M. che precedono separatamente, i cui contenuti possono essere risolutivi per altre indagini o quanto meno utili a determinare i tempi di intervento per evitare inconvenienti su tutte le attività investigative collegate in atto. L’attività di coordinamento non presuppone un rapporto autoritativo fondato su una sorta di supremazia gerarchica del P.N.A. nei confronti di singoli Procuratori distrettuali, ma non può neppure limitarsi – in ogni caso – ad una mera attività di registrazione o presa d’atto circa l’esistenza dei collegamenti reali o potenziali tra più indagini, che altrimenti il legislatore bene avrebbe potuto limitarsi a sancire il mero obbligo di informativa reciproca in ordine agli atti relativi ed a tutte le attività di indagini collegate. L’intervento del legislatore non è stato questo, se è vero che il Procuratore nazionale è investito altresì della funzione di impulso che, non di rado, si rende necessaria proprio nell’ambito dell’attività di coordinamento. 7. Coordinamento delle investigazioni. Com’è già stato accennato in precedenza, l’attività di coordinamento non è limitata all’ambito delle attività di indagine in senso stretto, ben potendosi estendere, anche al settore delle investigazioni della polizia giudiziaria, soprattutto là dove vi sia la necessità “di garantire la funzionalità dell’impiego della polizia giudiziaria nelle sue diverse articolazioni”. Per il perseguimento di tale finalità, tuttavia il legislatore ha previsto che il coordinamento avvenga previa “intesa con i procuratori distrettuali interessati”, allo scopo evidente di evitare dannose sovrapposizioni nella emanazione di direttive da impartire alle polizie e quindi fare in modo che le iniziative dirette a realizzare il collegamento investigativo consentano il conseguimento dello scopo di “assicurare la completezza e la tempestività delle investigazioni”. Si può ritenere che l’espressione usata a tal punto dal legislatore debba comprendere sia l’attività di indagine (delegata) sviluppata dalla polizia sulla base di una esplicita richiesta del P.M., sia quella posta in essere su iniziativa dalla polizia giudiziaria, ancor prima che il pubblico ministero abbia assunto la responsabilità e direzione delle indagini. A tal proposito sorge la necessità di chiarire in modo esauriente in che modo ed entro quali limiti debba essere assicurato il collegamento investigativo. La necessità di dover garantire da parte del P.N.A. un coordinamento, anche nella fase delle investigazioni vere e proprie, trova un indubbio fondamento sistematico e normativo, nel fatto che il legislatore, come abbiamo in precedenza ricordato, ha previsto da tempo forme e momenti di incontro tra le tre forze di polizia e più di recente, con la istituzione della D.I.A., una concreta esigenza di coordinamento investigativo interforze. Ciò posto, non può sfuggire la circostanza che l’istituzione della Procura nazionale segue l’entrata in vigore del nuovo codice di p.p. che ha rafforzato in modo più esplicito, il potere del pubblico ministero di dirigere la polizia giudiziaria in ogni momento. Sulla base di un così completo rapporto di dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dal P.M. non è logico ritenere di poter sottrarre al P.N.A. il coordinamento investigativo, tanto più che egli è chiamato a garantire la complessiva funzionalità dell’impiego delle polizie giudiziarie e ad assicurare la completezza e tempestività delle investigazioni. L’espressione “collegamento investigativo”, va pertanto intesa nel suo significato lessicale, e cioè riferita alla fase di ricerca delle fonti di prova ed alla ricostruzione della dinamica dei reati, ancora prima che il P.M. competente abbia assunto la direzione delle indagini. È ben vero che viene altresì riconosciuto alla polizia giudiziaria la possibilità di porre in essere autonomamente attività investigativa, anche dopo che del fatto sia stata informata l’autorità giudiziaria, ma non può dubitarsi che tale “autonomia investigativa” ha solo lo scopo di non limitare le potenzialità e la professionalità della polizia giudiziaria. Essa pertanto, non può essere intesa come attenuazione della titolarità e responsabilità del P.M., in ogni fase delle indagini, nè tanto meno come indipendenza assoluta della polizia giudiziaria nella fase che precede l’informativa al P.M.. L’ipotesi sulla quale giova soffermarsi a tal proposito è quella per cui, in presenza di fatti reato, i cui effetti determinino la competenza di più distretti giudiziari, e quindi il coinvolgimento di più polizie, siano state iniziate investigazioni autonome che naturalmente saranno suscettibili di determinare autonome informative ai rispettivi procuratori della Repubblica competenti. Situazioni di tal genere non di rado hanno provocato, anche per reati assai gravi, duplicazioni inutili e dannose di attività investigative, ritardi nella individuazione di decisive fonti di prova e spesso l’impossibilità di pervenire in tempo ragionevole alla ricostruzione corretta dei reati, delle strategie o delle stesse organizzazioni criminali operanti. Il “collegamento investigativo” pertanto, nel settore dei reati comunque collegati alla criminalità organizzata, è una esigenza reale tutt’altro che marginale e necessita di un tempestivo coordinamento che non può che fare capo al Procuratore nazionale antimafia. Ed è per tale funzione che va rispettato il dovere di informativa, sulle investigazioni più di rilievo cui la D.I.A. o i servizi centrali delle tre Armi abbiano avviato di propria iniziativa. Solo in tal modo si potrà utilmente ottenere il collegamento ed il coordinamento investigativo da tempo e da ogni parte invocato ma praticamente disatteso, per via di una cultura fondata su un malinteso spirito di corpo o sull’esasperato individualismo degli inquirenti. L’iniziativa ed il ruolo del P.N.A., in tale settore, presenta un duplice vantaggio, in quanto, riconoscendo al magistrato il compito di coordinare forze di polizia, da sempre in forte competizione, si può sperare di superare le persistenti e deleterie resistenze ad un reale impegno comune; ed inoltre perché, sulla base della conoscenza complessiva del quadro delle indagini in atto, il Procuratore nazionale dovrebbe poter sviluppare, sin dai primi momenti, il potere di impulso in funzione delle maggiori esigenze di giustizia del momento. 8.Coordinamento delle indagini. Il coordinamento relativo ad attività di indagini compiute dal P.M. o dallo stesso delegate, trova il suo fondamento normativo negli artt. 371 e 371-bis del c.p.p.. La prima delle norme prevede l’ipotesi di indagini collegate – delle quali offre peraltro una tassativa elencazione – in presenza delle quali i pubblici ministeri hanno l’obbligo di coordinarsi per la “speditezza, economia ed efficacia delle indagini medesime”; ed a tal fine devono provvedere a scambiarsi gli atti e le informazioni nonché comunicarsi “le direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria”. Trattasi evidentemente di ipotesi di autocoordinamento tra pubblici ministeri che siano compiutamente informati della esistenza di collegamenti tra le indagini e che, senza indugio, provvedono a scambiarsi ogni atto utile nonché a comunicarsi le strategie del lavoro deducibili dalle direttive o deleghe impartite ai rispettivi organi di polizia. La previsione di legge che mira senza dubbio a soddisfare una necessità di coordinamento rimasta per lungo tempo insoddisfatta, si è mostrata tuttavia ben presto inidonea a risolvere il problema, tanto è vero che ad essa ha fatto seguito il successivo art. 371-bis in cui al Procuratore nazionale viene conferito tra l’altro, il compito del coordinamento non solo delle indagini vere e proprie ma anche delle investigazioni. È questo infatti il senso della previsione per cui il Procuratore nazionale – che dispone della Direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali ed interprovinciali delle forze di polizia – esercita funzioni di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali “al fine di rendere effettivo il coordinamento delle attività di indagine e di garantire la funzionalità dell’impiego della polizia giudiziaria nelle sue diverse articolazioni e di assicurare la completezza e tempestività delle investigazioni”. Sembra pertanto che al collegamento investigativo di cui si fa cenno nell’art. 371-bis c.p.p. è data una nozione più ampia di quella contenuta nella espressione “indagini collegate”. A sorreggere tale interpretazione v’è la stessa previsione normativa nella parte in cui è previsto che il collegamento (delle indagini e delle investigazioni), può essere assicurato direttamente dal Procuratore nazionale o per mezzo dei magistrati della Direzione nazionale antimafia, inviati in missione presso le direzioni distrettuali antimafia. Le necessità di intervento del Procuratore nazionale per assicurare il collegamento investigativo può verificarsi in due casi: quando l’esistenza del collegamento è nota ai pubblici ministeri che procedono e quando invece il collegamento non è conosciuto dagli stessi. Non è fuor di luogo a tal proposito ribadire che ai fini di un corretto espletamento della funzione di coordinamento, comprensiva come abbiamo visto sopra delle ipotesi sia delle indagini che delle investigazioni collegate, è indispensabile che il Procuratore nazionale sia costantemente e tempestivamente informato dell’intero quadro delle indagini e delle investigazioni in pendenza su tutto il territorio nazionale, oltre che dei processi in corso, per quanto attiene – s’intende – ai reati di cui all’art. 513-bis c.p.p.. 9. Impulso. Appare utile a tal punto delineare per sommi capi anche la funzione di impulso che viene attribuita al P.N.A. dall’art. 371-bis, atteso che, per le ragioni che vedremo essa appare intimamente connessa con quella del coordinamento. La figura dell’impulso è del tutto nuova nell’ambito del diritto processuale penale, trovando le sue radici nel diritto amministrativo. Letteralmente la parola impulso, dal latino “impellere”, conferisce l’idea dell’attivazione, della messa in moto di un quid per ragioni di varia natura, stenta a muoversi. Il concetto risulta peraltro aderente a quello che la figura riveste nell’ambito del diritto amministrativo, laddove la nozione giuridica di impulso è compresa nel potere di direzione e non già insito nella posizione di superiorità nel rapporto gerarchico tra uffici in tal modo strutturati. Il potere di direzione infatti comprende l’impulso, il coordinamento, le direttive, il controllo, che son meno incisivi e vincolanti rispetto al potere di supremazia gerarchica. Il potere di direzione si manifesta quindi attraverso la emanazione di direttive che rientrano nelle prerogative del Procuratore Nazionale Antimafia. Esse tuttavia, a differenza degli ordini, che non lasciano alcuno spazio di alternativa a chi li riceve, consentono al destinatario di optare per soluzioni diverse, sempre che queste rendano possibile comunque la realizzazione dell’obbiettivo da perseguire. In concreto, sulla scorta di tali precisazioni, il Procuratore Nazionale, nell’ambito del potere di impulso, potrà invitare i Procuratori della Repubblica a compiere un atto di indagine che risulti utile, se non indispensabile, al corretto e tempestivo esercizio dell’azione penale. Il Procuratore destinatario dell’atto di impulso potrà comunque, in ipotesi di dissenso, motivare la inutilità o inopportunità dell’atto; ma, al di fuori di tale ipotesi, il destinatario dell’impulso non potrà sottrarsi al compimento dell’atto in relazione al quale abbia ricevuto l’impulso in quanto, rientrando nei suoi doveri di ufficio compiere tutto ciò che renda effettivo l’esercizio dell’azione penale, in caso di inerzia, per di più in costanza di una formale sollecitazione da parte del P.N.A., il suo sarebbe indubbiamente un comportamento censurabile, quanto meno sul piano disciplinare. La mancata previsione nella norma di una espressa sanzione, in caso di osservanza delle indicazioni contenute nell’atto di impulso, non deve far ritenere la funzione priva di rilevanza giuridica e di efficacia. La scelta del legislatore, anche in questo caso, deve essere correttamente intesa nel senso di uno sforzo diretto a caratterizzare una nuova figura di Procuratore con competenza nazionale, con funzioni sovraordinate ma non fondate sul potere gerarchico rispetto ai Procuratori distrettuali. Il limite conferito alla funzione di impulso dipende quindi dalla particolare natura dell’organo propulsivo che resta estraneo ad un rapporto gerarchico rispetto all’organo compulsato; in tal modo l’atto di impulso non potrà mai sfociare in un atto sostitutivo da parte del P.N.A. ma al più, nei casi espressamente previsti, si potrà dare luogo alla applicazione sostitutiva che tuttavia non potrà certo inerire il compimento di un solo atto, bensì lo sviluppo di tutte le indagini preliminari o di parte di esse. In sostanza se gli effetti dell’atto di impulso non possono considerarsi obbligatori, non per questo possono essere considerati giuridicamente irrilevanti. Il coordinamento propulsivo deve quindi riguardare il complesso delle attività di indagini collegate o potenzialmente collegate e comporta oltre l’esame congiunto degli atti di investigazione e di indagine che presentino maggior rilievo, soprattutto una approfondita verifica della valenza probatoria delle attivit� svolte dai singoli inquirenti e quindi, se necessario, l’invito (impulso) del Procuratore nazionale a rispettare le modalità e i tempi in cui le attività concordate dovranno essere svolte. Nel corso di questa delicata fase saranno certamente l’accordo, la professionalità ed il buon senso dei magistrati procedenti che dovranno guidare ogni decisione, nel rispetto, beninteso, delle regole che disciplinano la competenza. L’attività di coordinamento è certamente finalizzata ad evitare ogni inutile e dannosa duplicazione di attività di indagine o sovrapposizione di interventi, che si risolvono il più delle volte in un fallimento dell’intera indagine o quanto meno nella riduzione dei risultati utili. Si tratta in sostanza di tendere complessivamente al superamento della episodicità e parzialità della risposta repressiva, nei confronti di una criminalità organizzata che ha dato ampia prova di elevate capacità, non solo sul piano rigenerativo ma soprattutto su quello delle strategie e della forza di penetrazione nel tessuto sociale e istituzionale, con modalità e “professionalità di livello assai elevato e preoccupante. Sulla base di tali premesse non è ragionevole ritenere che il legislatore abbia inteso modificare l’assetto organizzativo del pubblico ministero, dotandolo di un Ufficio in grado di acquisire organicamente e scientificamente la conoscenza complessiva ed attuale dei fenomeni di criminalità organizzata e soprattutto delle indagini preliminari che attengono alle relative manifestazioni, limitando nel contempo le possibilità dell’intervento di quell’organo alla mera raccolta dei dati e ad una funzione di coordinamento inteso come luogo di incontro e di semplice scambio di informazioni. Al coordinamento va data quindi una valenza propulsiva che tenga debitamente in considerazione le ragioni e le finalità che hanno guidato il legislatore nella riforma del 1991 e che possono essere così sintetizzate. La conoscenza complessiva e soprattutto l’elaborazione dei dati relativi a tutte le indagini in corso, devono costituire lo strumento più idoneo a rendere la risposta repressiva giudiziaria in grado di disarticolare la forte e diffusa rete di relazioni, convivenze e di interessi, che hanno già raggiunto livelli preoccupanti per l’assetto sociale ed istituzionale del Paese. La Procura nazionale antimafia deve comunque restare organo essenzialmente giudiziario con compiti di organizzazione e potenziamento della risposta repressiva e, laddove sussista la necessità, di predisporre le condizioni più favorevoli all’esercizio effettivo dell’azione penale, pur senza minimamente intaccare l’indipendenza di ciascun procuratore della Repubblica. La salvaguardia di tale valore con l’esigenza del coordinamento e della massima tempestività ed efficacia dell’azione giudiziaria sono tutt’altro che incompatibili. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura – e nel caso di specie quelle dei pubblici ministeri –, trattandosi di garanzie di natura strumentale, devono infatti restare ancorati e resi compatibili con il perseguimento degli interessi e dei valori, in relazione alla soddisfazione dei quali quelle garanzie vengono riconosciute e garantite. L’obbiettivo principale che deve assicurare il pubblico ministero è quello di garantire il rispetto delle leggi mediante l’esercizio dell’azione penale, nei modi prescritti dalla legge. Il principio costituzionale della obbligatorietà dell’azione penale che, con il nuovo assetto del pubblico ministero, può trovare una attuazione pratica più incisiva e certo meno enunciativa rispetto al passato, giustifica quindi l’intervento propulsivo del Procuratore nazionale in quanto finalizzato allo espletamento di ogni possibile attività di indagine necessaria o utile al raggiungimento dell’obbiettivo finale di giustizia. Sulla base di tali considerazioni è possibile mettere da parte ogni residua riserva secondo cui l’intervento propulsivo del Procuratore Nazionale, anche nell’ambito delle attività di indagini, si sostanzierebbe in una ingerenza nell’autonomia del singolo Procuratore, con la grave conseguenza di dar vita ad una nuova figura di magistrato che, sotto l’apparente innocuo ruolo del coordinamento, finirebbe per sostanziare una verticalizzazione gerarchica dell’organizzazione del Pubblico ministero. Secondo la critica, le conseguenze di un simile cambiamento porterebbero poi facilmente a fare assumere al Procuratore nazionale l’onere di una responsabilità che, attesa la dimensione del potere conferitogli, finirebbe inevitabilmente per assumere natura politica. In sostanza l’obiezione sarebbe fondata sul pericolo che correrebbe, a cagione di questa riforma, il valore della indipendenza e dell’autonomia del Pubblico ministero. I rilievi critici che hanno animato l’opposizione di molti di noi, ancor prima che la riforma fosse varata, alla luce dell’odierno assetto dell’ufficio del Procuratore nazionale e soprattutto della interpretazione che delle norme in materia è stata fornita “ab imis” dall’Ufficio stesso, non giustificano il perdurare di inutili e dannose diffidenze, né timori per un equivoco esercizio delle funzioni conferite al P.N.. Il coordinamento propulsivo infatti, sulla base di quanto è stato innanzi precisato, non potrà mai concretizzarsi in un atto del Procuratore nazionale diretto ad impedire o ritardare attività di indagine o quant’altro possa servire al corretto e completo esercizio dell’azione penale. Esso piuttosto sarà funzionale al compimento di attività di indagine o alla individuazione di nuove fonti di prova atte a rendere reale ed efficace l’esercizio obbligatorio dell’azione penale. Le stesse considerazioni valgono a proposito del coordinamento delle investigazioni attraverso il quale il Procuratore nazionale d’intesa con i Procuratori distrettuali interessati, deve tendere a garantire che l’attività della polizia giudiziaria, quando è diretta a perseguire o individuare organizzazioni criminali dislocate ed attive in vari distretti, si dispieghi in modo organico, tenendo in debito conto, non solo i precedenti investigativi quanto gli effetti che le attività da svolgere potranno avere sulle successive indagini da instaurare presso uno o più uffici di Procura. I pericoli prospettati avrebbero avuto un reale fondamento, solo nella ipotesi in cui al Procuratore nazionale fosse stato conferito un potere diretto e generale di intervento nelle indagini preliminari pendenti, con la possibilità di impartire ordini ai Procuratori della Repubblica o disposizioni idonee ad impedire il compimento di uno o più atti. 10. Coordinamento informativo ed operativo tra la Procura nazionale Antimafia e la Procura distrettuale, nonché tra quest’ultima e le Procure ordinarie, in materia di criminalità organizzata. Al fine di rendere il più possibile proficue e tempestive le indagini in materia di criminalità organizzata, il Procuratore nazionale sta inoltre favorendo una attività di coordinamento, attraverso il coinvolgimento non solo dei Procuratori distrettuali ma anche di quelli Ordinari. A tal fine è stato redatto uno schema di accordo (“protocollo organizzativo”) da sottoscrivere da parte del Procuratore Generale, del Procuratore distrettuale, i Procuratori ordinari ed il Procuratore nazionale. Il “protocollo” ha lo scopo di favorire i problemi che nascono dalle esigenze di affrontare in modo organico le indagini in materia di criminalità organizzata attraverso un più efficace coordinamento ed una razionale utilizzazione della P.G.. A tal fine prevede l’opportunità di uno scambio immediato di informazioni, tra il Sostituto di turno esterno delle Procure ordinarie con il Sostituto di turno della Direzione distrettuale, in relazione a tutti i fatti separati dalla P.G. che, per i soggetti interessati, per le modalità o per la tipologia dei reati, possano essere riferiti – sia pure per ipotesi – a fenomeni o manifestazioni di criminalità organizzata. Prevede inoltre che siano inviati, per conoscenza, alla Direzione distrettuale le informative per i reati diversi da quelli indicati nell’art. 51 3° comma bis c.p.p. che potenzialmente riguardino la criminalità organizzata. Sono considerati reati che potenzialmente riguardano la criminalità organizzata: – le associazioni per delinquere; – gli omicidi ed i tentati omicidi di personaggi appartenenti alla malavita, per i quali vi sono elementi per presumere che si ineriscano in contesti di criminalità organizzata; – i delitti in materia di stupefacenti per i quali sono concretamente ipotizzabili sviluppi investigativi in direzione associativa ; – i delitti di riciclaggio (artt. 648-bis e ter c.p.); – i delitti di usura (artt. 644, 644-bis c.p.) – il trasferimento fraudolento di valori (12-quinquies L. 356/92); – qualunque altro delitto i cui autori oppure le cui circostanze di fatto fanno ritenere che siano inquadrabili in contesti di criminalità organizzata. S’intende per contesto di criminalità organizzata quello caratterizzato da una logica di profitto e da una struttura organizzativa complessa che non si risolva semplicemente nella somma di contributi individuali. È previsto inoltre che i soggetti legittimati a proporre misure di prevenzione, ai sensi della legge antimafia le trasmettano per conoscenza anche alla Procura distrettuale e che i servizi interprovinciali della P.G. e della D.I.A. vengano delegati per le indagini previa intesa tra la Procura distrettuale e le Procure ordinarie. È stato altresì ritenuto utile prevedere che le richieste di rinvio a giudizio di imputati per i reati di cui all’art. 51 3° comma bis c.p.p. e per i reati di criminalità organizzata siano comunicate anche agli uffici delle Procure ordinarie. Si provvederà quindi ad organizzare presso ciascun ufficio di Procura una segreteria incaricata di curare, su supporto informatico, la raccolta di atti e documenti da inserire nella banca dati della Direzione distrettuale antimafia (S.I.D.D.A.). È previsto inoltre che nell’ambito di ciascuna Procura ordinaria, dovranno essere individuati uno o più sostituti da designare per la trattazione dei procedimenti per fatti collegati alla criminalità organizzata, in modo da costituire un gruppo di lavoro per tali tipi di reati comprendente magistrati presenti sul distretto. Sarà pertanto necessario ed utile organizzare riunioni periodiche tra i magistrati della Procura distrettuale ed i magistrati che presso le Procure ordinarie occupano dei procedimenti per i reati collegati alla criminalità organizzata, per lo scambio di dati, notizie ed informazioni. Tutto ciò comporta naturalmente l’intervento del Procuratore Generale presso la Corte di Appello il quale provvederà ad applicare presso la Procura distrettuale – ai sensi dell’art. 110-bis dell’Ordinamento Giudiziario – un Sostituto, tra quelli designati per la trattazione dei procedimenti di criminalità organizzata, in relazione a quei procedimenti di cui all’art. 51 3° comma bis c.p.p. la cui dimensione territoriale riveste carattere più propriamente circondariale. L’adozione di tale accordo che si spera di adottare presso tutte le Procure distrettuali maggiormente interessate al problema, consentirà di recuperare alle Procure ordinarie una completa conoscenza dei fenomeni criminali sul territorio e nel contempo di favorire la diffusione di una più elevata professionalità investigativa in ambito circondariale, favorendo contatti tra la Polizia giudiziaria territoriale e l’autorità giudiziaria. Sarà infine possibile in tal modo alleviare il carico di lavoro della Procura distrettuale, attraverso la disponibilità di Pubblici Ministeri in grado di sostenere meglio l’accusa in dibattimento presso i Tribunali circondariali, mediante le applicazioni previste dall’art. 51 3° comma ter c.p.p.. Protocolli d’intesa in tal senso sono già stati sottoscritti e comunicati formalmente al Consiglio Superiore della Magistratura presso le Procure distrettuali di Cagliari e di Salerno e sono in via di definizione presso altri distretti. 11.Direttive. Non è raro il caso in cui, in presenza di indagini collegate il coordinamento, soprattutto nelle fasi iniziali, ad onta di un apparente accordo tra i vari Procuratori interessati, venga attuato unicamente sul piano formale, nel senso che gli uffici di procura interessati, dopo avere preso i contatti del caso, per il conseguimento di comuni obbiettivi investigativi e processuali, in pratica disattendano il coordinamento, procedendo ciascuno per proprio conto nell’esclusivo interesse delle rispettive indagini. Per evitare simili incongruenze l’art. 371-bis comma 3 lett. f) g) h) c.p.p. ha previsto poteri di intervento del Procuratore nazionale per “prevenire o risolvere contrasti riguardanti le modalità secondo le quali realizzare il coordinamento nelle attività di indagine”. A tale scopo il Procuratore nazionale provvede indicendo riunioni dei procuratori interessati ed emanando direttive. Nella maggior parte dei casi nell’ambito delle riunioni i procuratori della repubblica procedenti, in esito all’esame congiunto delle questioni più rilevanti che attengono le indagini collegate ed allo eventuale scambio di copie di atti, raggiungono intese operative. Non di rado tuttavia, pur in assenza di vere e proprie divergenze o di conflitti tra le parti, sorge la necessità di impartire direttive in relazione ai tempi e modi del compimento delle ulteriori attività di indagine, al momento della discovery, all’impiego di una o più forze di polizia, allo scopo di privilegiare uno anziché un altro filone di indagine, di particolare rilevanza per i vari uffici interessati in quel dato momento delle indagini. La ragione delle direttive risiede quindi nella necessità che il coordinamento sia reale e non meramente formale e che soprattutto l’attività delle indagini proceda con speditezza, senza inerzie, nonché organizzata e finalizzata al perseguimento dell’interesse comune a tutte le indagini collegate in atto. Trattasi di atti che, sebbene provenienti da un organo sovraordinato e quindi estraneo all’ufficio procedente, non possono determinare alcuna ingerenza nell’autonomia di ciascun magistrato inquirente coordinato, atteso che – com’è già stato chiarito innanzi – l’intervento del Procuratore nazionale è limitato solo a garantire che le attività di investigazione e di indagine siano idonee ad assicurare la effettività e la compiutezza dell’azione penale, nel rispetto del principio contenuto nell’art. 112 della Costituzione. Le scelte del legislatore pertanto, sulla base di una simile impostazione, possono essere condivise e praticate senza riserve rispetto ai paventati pericoli di una verticalizzazione del sistema organizzativo degli uffici del pubblico ministero che, al contrario, pur restando immutato quanto alla sua struttura e funzionalità di organo monocratico, nella parte che riguarda le Procure distrettuali in rapporto alla Procura nazionale, viene ad essere arricchito da una nuova “cultura” che postula una sorta di “socializzazione del sapere” e di una conseguente “organizzazione delle investigazioni e delle indagini”. Il rispetto del nuovo iter è garantito innanzitutto dal dovere di collaborazione istituzionale che sovrintende a tutte le attività dello Stato e a quelle giudiziarie in particolare; lo sviluppo di tale procedura può normalmente essere caratterizzato da momenti di confronto dialettico, in particolare nell’ambito dei primi contatti tra i magistrati che conducono le indagini collegate e quindi nelle riunioni che il Procuratore nazionale indice allo scopo. Nelle rare ipotesi di persistente continualità sulle decisioni da adottare congiuntamente, toccherà al Procuratore nazionale impartire le necessarie direttive, e nelle ipotesi di perdurante ed ingiustificata inerzia nelle attività di indagine ovvero di ingiustificata e reiterata violazione dei doveri sanciti dall’art. 371-bis c.p.p., ai fini del coordinamento delle indagini, come ultimo rimedio è previsto l’istituto della avocazione delle indagini da parte del Procuratore nazionale. Disciplinata in tal modo, l’avocazione deve restare una soluzione del tutto eccezionale, di eventuali conflitti tra i magistrati che procedono in indagini collegate, giustificata da violazioni di doveri – rispetto alle direttive impartite dal P.N. – tali da integrare gli estremi di illeciti disciplinari o penali da parte dei procuratori procedenti. Che si tratti di un potere del tutto eccezionale lo si può dedurre oltre che dalla sua impostazione normativa, dal dato obbiettivo che dopo ben tre anni e mezzo di attività della Procura nazionale, l’istituto non ha mai trovato attuazione. La circostanza assume non poco rilievo se si tiene conto del numero elevatissimo di coordinamenti curati dalla D.N.A. dal dì della sua costituzione, anche in settori e per reati di eccezionale gravità. 12. Casi rilevanti di coordinamento. Basti pensare al coordinamento operato nel corso degli anni 1994-95, in ordine alle indagini collegate in materia di stragi, consumate da organizzazioni mafiose nelle città di Milano, Roma e Firenze. L’attività del Procuratore nazionale in merito ebbe inizio subito dopo la consumazione delle stragi nelle suddette città, ed ancor prima che fossero state acquisite le prove della unicità del disegno criminoso concepito e portato innanzi dalla mafia. Dopo aver nominato all’interno dell’Ufficio un gruppo di lavoro incaricato di esaminare in modo organico ed approfondito gli atti relativi alle singole indagini preliminari in pendenza sulle stragi, il Procuratore nazionale convocò una serie di riunioni con tutti i magistrati procedenti. In quella sede furono affrontati i problemi relativi ai tempi ed ai modi di sviluppo di ciascuna delle indagini in corso, nonché il più utile impiego delle forze di polizia utilizzate da ciascun Procuratore procedente. Per rendere più spedito ed organico lo scambio delle informazioni, tutte le copie degli atti, di ciascuna indagine preliminare, confluirono nella banca dati della D.N.A. dove furono sottoposte a monitoraggio e, per gli atti più importanti, ad analisi, a disposizione di tutti i magistrati interessati. Non può negarsi il rilevante contributo che ne è derivato, da tale organizzazione del lavoro investigativo, alle singole indagini preliminari ed alla conoscenza complessiva degli avvenimenti consentendo, quanto meno in termini assai più ristretti, di individuare gli autori materiali e quindi di svelare la unicità della strategia dell’aggressione criminale ideata e posta in essere da “Cosa Nostra”. Nel corso delle numerose e proficue riunioni tenutesi presso la sede della D.N.A., furono discussi tempi e modi dello ulteriore sviluppo delle indagini, regolando e definendo i settori dell’intervento assegnati alle diverse forze di polizia coinvolte nelle indagini; pervenendo infine, sull’accordo di tutti i magistrati procedenti, a rimettere gli atti relativi a ciascuna indagine al Procuratore distrettuale di Firenze, risultato magistrato competente a procedere, in ordine a tutti i fatti di strage consumati nelle varie città. I numerosi ulteriori casi di coordinamento, trattati dalla Procura Nazionale hanno riguardato in buona parte le procure distrettuali di Milano, Torino, Bologna e Firenze, con procure distrettuali della Puglia, Calabria e Sicilia. Un particolare interesse riteniamo che rivesta il coordinamento (anomalo) cui è stato dato vita, tra le numerose indagini pendenti presso procure della repubblica ordinarie, circondariali e distrettuali, in materia di reati connessi al traffico di rifiuti di ogni genere, anche o con il concorso della criminalità organizzata dislocata in più regioni. In tal caso può parlarsi più correttamente di coordinamento, per quanto attiene alle Procure distrettuali interessate, e di collegamento in relazione alle Procure ordinarie. Un simile caso non è in vero contemplato dall’art. 371-bis c.p.p. ma, a nostro avviso, non può restare del tutto estraneo alla disciplina del coordinamento. In presenza di una serie di avvenimenti e delle relative notizie di stampa, in merito al traffico di rifiuti solidi urbani, nocivi, nucleari e radioattivi, in molte regioni del Paese e soprattutto in costanza di indagini preliminari pendenti presso altre procure distrettuali, in cui emergeva con chiarezza il coinvolgimento o “l’interesse” della criminalità organizzata per il lucroso settore, il Procuratore nazionale non ritenne di restare inerte. La decisione di dare vita ad un coordinamento nazionale delle numerose indagini pendenti presso Procure aventi diverse competenze per materia, in vero fu favorita da sollecitazioni pervenute al Procuratore nazionale da parte di alcuni Procuratori circondariali. Si provvide pertanto ad individuare tutte le indagini preliminari pendenti aventi ad oggetto reati c.d. ambientali – legati al traffico ed allo smaltimento dei rifiuti di ogni genere – e quindi a riunire i magistrati procedenti per una prima verifica del fenomeno e delle eventuali e potenziali attività di indagine da compiere nel comune interesse. Sono intervenuti, nel corso di successive riunioni, numerosi magistrati appartenenti ai vari Uffici di Procure che hanno riferito in merito alle rispettive attività di indagini, conferendo la conoscenza dei fatti da ciascuno acquisita e le copie degli atti che risultavano rivestire interesse comune a tutte o ad alcuna delle indagini in pendenza presso altri uffici. La Procura nazionale ha quindi provveduto ad ordinare sistematicamente tutta la documentazione fatta pervenire dalle Procure procedenti, provvedendo alla relativa indicizzazione cui ha fatto seguito un completo monitoraggio degli atti, messi a disposizione di ogni magistrato che ne abbia fatto richiesta. Sulla scorta di tutti i dati e le informazioni così acquisite sono stati inoltre incaricati il R.O.S. di Roma ed il N.O.E. dei CC., di acquisire ogni ulteriore ed utile informazione al fine di porre in evidenza se ed in che misura la serie innumerevole di reati consumati in varie zone del Paese, fosse la conseguenza di manifestazioni delittuose autonome di criminali attratti, dai profitti assai elevati che dalle attività di trasporto e smaltimento dei rifiuti ne deriva, ovvero se sussista una bene organizzata strategia di intervento della criminalità organizzata (prevalentemente campana e calabrese), che abbia acquisito, in regime di monopolio e con i tradizionali metodi della violenza e della omertà, le principali attività connesse al lucroso traffico. Appare abbastanza chiaramente che l’attività delegata non consiste affatto nella ricerca di fonti di prova relative a questo o a quel reato, oggetto delle singole attività di indagine in corso, bensì nella elaborazione dei dati complessivamente acquisiti che può concorrere, da un lato al rafforzamento delle singole indagini e dall’altro alla individuazione di filoni investigativi non ancora sfruttati a cagione della loro complessità e dislocazione sul territorio nazionale ed anche oltre. L’esame complessivo di tutte le indagini preliminari in pendenza sull’oggetto o almeno di quelle delle quali l’Ufficio è stato informato, hanno infatti posto in luce la presenza della criminalità organizzata in più regioni del Paese nel settore dei trasporti e dello smaltimento dei rifiuti di ogni genere ed inoltre le tecniche attraverso cui tale presenza si manifesta e si sviluppa nel settore dell’imprenditoria e dei conseguenti investimenti finanziari. L’iniziativa del coordinamento in parola, ha consentito di sperimentare in concreto la funzione di “preinvestigazione”, in una delle due ipotesi innanzi discusse, intesa come attività del Procuratore nazionale diretta ad acquisire dati, notizie ed informazioni sugli illeciti della criminalità organizzata di tipo mafioso, nel settore specifico, ma nel contempo atta a fornire un rilevante contributo e a rendere più incisiva e robusta ognuna delle attività di indagine in corso. I risultati della ricerca delegata ai carabinieri, arricchiti ed elaborati con tutte le ulteriori notizie fornite dai magistrati procedenti, verranno infatti sollecitamente messe a disposizione di tutti i procuratori interessati. 13. Rapporti internazionali. Giova da ultimo ricordare che il Procuratore nazionale antimafia, ai fini di assicurare la più ampia conoscenza dei fenomeni criminali, anche nelle loro più rilevanti manifestazioni fuori dal territorio nazionale, è impegnato ad allacciare rapporti diretti con i vertici delle autorità giudiziarie inquirenti di Stati esteri. Lo sviluppo dei contatti con le Procure della Repubblica degli Stati esteri, avranno ad oggetto non solo le indagini collegate che siano in atto nei rispettivi Paesi, ma anche lo scambio di ogni utile informazione, relativa alle attività della criminalità organizzata. La circostanza appare di non scarso rilievo se si tiene conto che ad esempio, nella Repubblica Federale Tedesca il numero dei cittadini italiani, soprattutto quelli provenienti dalle Regioni del Mezzogiorno d’Italia, è elevatissimo. Particolarmente interessante appare il rapporto stabilito, a tal fine, tra la Procura nazionale e le autorità giudiziarie del Baden-Wurtenberg, dove è stato costituito, in data 5 aprile 1995, a seguito di apposito “protocollo di intesa”, tra il Procuratore nazionale antimafia e il Ministro della Giustizia del Baden, un apposito ufficio di collegamento denominato “Ufficio centrale per la criminalità organizzata”, con il compito di trasmettere e ricevere ogni utile informazione concernente gli appartenenti al crimine organizzato, di origine calabrese dimoranti in Germania. La prima esperienza è stata altamente positiva ed ha consentito proficui rapporti di collaborazione con scambio di informazioni che si sono rivelate di estrema utilità per una complessa indagine, di competenza della D.D.A. di Catanzaro, denominata operazione “Galassia”, nell’ambito della quale è stata emessa una ordinanza di custodia cautelare a carico di 154 in carcere a carico di appartenenti alla criminalità organizzata della Sibaritide, alcuni dei quali operavano, come terminale dei flussi finanziari di illecita provenienza, nel territorio di Stoccarda. I rapporti diretti tra le autorità giudiziarie dei due Stati, tenuti dalla Procura nazionale, hanno premesso inoltre di fare eseguire contestualmente, nei due territori tutte le ordinanze di custodia cautelare emesse e di ottenere, in tempi brevissimi, le relative estradizioni. Il Procuratore Generale di Stoccarda ha invitato ufficialmente il Procuratore nazionale ed il sostituto dott. Emilio LEDONNE, incaricato del settore, a partecipare alla annuale riunione di tutti i Procuratori Generali della Repubblica Federale Tedesca, con la partecipazione del Procuratore Federale, per l’esame congiunto della situazione criminale in quel Paese. Nella riunione si discuterà dei rapporti già in atto tra i due Paesi e si sosterrà la necessità di estendere il “modello Stoccarda” a tutti i Lander tedeschi. Grazie a questo tipo di collegamento con i Paesi anche extraeuropei, sarà più agevole, ferma restando la procedura delle eventuali rogatorie internazionali, l’acquisizione in tempi assai più rapidi, di ogni utile notizia in ordine ai procedimenti pendenti nello Stato estero, a carico di cittadini italiani ed anche provocare eventuali nuove investigazioni da coordinare con quelle in atto sul territorio nazionale. Il Procuratore nazionale ha fino ad oggi instaurato rapporti di tal genere, oltre che con la Repubblica Federale Tedesca, con la Francia, la Bulgaria, la Romania, la Russia e l’Australia, sono in via di definizione rapporti con l’Ungheria ed altri Paesi.