Presentato a Roma il VII Rapporto dell’Osservatorio Rizzotto della Flai Cgil. «Dal crotonese al reggino le attività agricole nel mirino dei clan»
Pubblicato il: 04/12/2024 – 17:49
di Mariateresa Ripolo
ROMA La Calabria la regione con il maggior numero di lavoratori e lavoratrici irregolari, condizione propedeutica a quella di sfruttamento e alle pratiche di lavoro servile. E’ quanto emerge dal Rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, giunto alla sua settima edizione e presentato oggi a Roma al Centro Congressi Frentani. Sono tra gli 8mila e i 10mila in Piemonte, oltre 6mila in Trentino, più di 10mila in Basilicata, circa 12mila in Calabria, e in tutto il Paese arrivano a 200mila i lavoratori irregolari nell’agricoltura italiana. Sul dato calabrese, relativamente al territorio crotonese, oggetto dell’indagine, si stima che un numero oscillante tra le 11mila e le 12mila unità sia impiegato in modo non standard (lavoro nero o grigio). In questa cifra sono inclusi anche circa 4/5 mila lavoratori e lavoratrici stranieri che ogni anno vi giungono in occasione di fasi di lavorazione che richiedono picchi di forza lavoro, come ad esempio le raccolte.
Lo studio
L’emergenza del lavoro povero nel settore e il collegamento fra precarietà e lavoro nero, la vulnerabilità delle lavoratrici agricole e il legame tra sfruttamento e violenza di genere. Questi i temi a cui dedica particolare attenzione il VII Rapporto Agromafie e caporalato, con focus complessivi riguardanti il Piemonte, la Basilicata, la Calabria e il Trentino. Lo studio disvela la strutturalità dei fenomeni di sfruttamento che non investono solo il Meridione del Paese, ma anche le regioni del Centro e del Nord, fenomeni che si intrecciano con l’inquinamento del settore da parte della criminalità organizzata.
I dati
Su un totale di 3.529 controlli nel settore agricolo conclusi dall’ispettorato nazionale del lavoro lo scorso anno, 2.090 hanno rilevato irregolarità, pari al 59.2%. Sono ancora insufficienti le ispezioni. Solamente nei controlli successivi all’ omicidio dell’operaio agricolo Satnam Singh – compiuti il 3 luglio, 25 luglio e nei primi 10 giorni di agosto 2024 – sono state ispezionate 1.377 aziende agricole. Poco meno della metà di quelle compiute in tutto il 2023. Nel complesso del settore agroalimentare italiano, reati e illeciti amministrativi sono aumentati del 9,1%. E poi c’è il dramma del lavoro povero, di chi lavora per vivere, ma ha paghe da fame. Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Placido Rizzotto, è di circa 6mila euro la retribuzione media lorda annuale dei dipendenti agricoli in Italia, e di 7.500 euro quella media.
L’allarme
Un quadro preoccupante su cui la Flai Cgil lancia l’allarme: «I dati – afferma il segretario generale Flai Giovanni Mininni – ci dicono che irregolarità e sfruttamento continuano a pesare molto sul modello produttivo del nostro sistema agricolo. Redditi clamorosamente insufficienti e condizioni di lavoro, e quindi vita, insostenibili sono caratteristiche ancora profondamente radicate, ben più di quanto dicono i numeri ufficiali, censiti dall’Istat o emersi nelle poche ispezioni dell’ Ispettorato del lavoro». «E in un quadro del genere si infiltra troppo facilmente la criminalità delle agromafie alimentando la concorrenza sleale tra le imprese – prosegue Mininni -. Per noi, battersi per la legalità è battersi anche per la giustizia sociale. Ecco perché continuiamo a chiedere l’abolizione della legge Bossi-Fini e un’applicazione completa di quella contro il caporalato, per una società e un modello di sviluppo che tutelino lavoro e ambiente». «Bisogna smettere di nascondere la polvere sotto il tappeto per salvaguardare il buon nome del Made in Italy – ha dichiarato Francesca Re David, segretaria nazionale Cgil, a margine della presentazione -. Vanno messl in campo tutti gli strumenti idonei a sradicare finalmente questo odioso fenomeno a partire dalla programmazione continua e capillare dei controlli».
«L’istantanea che emerge dal Rapporto – ha detto Jean René Bilongo, presidente dell’osservatorio Placido Rizzotto – verte sulla spersonalizzazione dell’intermediazione lavorativa che è una questione antica del Paese, che riemerge da qualche anno con grande forza. Si tratta di uno schema losco e poco visibile sul quale abbiamo il dovere di mantenere alta l’attenzione, per contrastarlo efficacemente. Il Rapporto riporta analisi territoriali tra Nord e Sud, dalle quali emerge una situazione di grave allarme sociale per tante compagini di donne e uomini impegnati nella filiera agroalimentare. Il bacino complessivo di disagio occupazionale si assesta sulle 200mila persone, di cui oltre 50mila donne, autoctoni e stranieri, nell’interesse dei quali noi dobbiamo contrastare le insidie dello sfruttamento e del caporalato».
Alla presentazione del Rapporto era presente per il ministero dell’Agricoltura il sottosegretario Patrizio La Pietra: «Vogliamo dare il segnale – ha spiegato – che questo Governo è impegnato, insieme alle associazioni datoriali e sindacali, alla lotta al caporalato e allo sfruttamento dei lavoratori. Abbiamo tutti lo stesso obiettivo: rendere un sistema Paese che sia equo e solidale».
Il caso Calabria. Vaiti: «Un fenomeno diffuso in tutta la regione»
E la Calabria è uno dei casi studio contenuti nel Rapporto, nella regione il fenomeno è acuito dalla presenza della ‘ndrangheta che nel settore «trova terreno fertile per gli affari», ha detto ai nostri microfoni Caterina Vaiti, segretaria generale Flai Cgil Calabria. Nelle pagine del Rapporto dedicate alla situazione calabrese, infatti, viene rilevato che il sistema agricolo è «interessato da dinamiche di natura esterna che ne segnano pesantemente le possibilità di sviluppo e di crescita». Le indagini delle Direzioni Distrettuali Antimafia di Reggio e Catanzaro delineano «un quadro in cui il controllo del territorio da parte delle cosche di ‘ndrangheta passa anche attraverso il controllo della terra. In tutta la regione, dal crotonese al reggino, le attività agricole sono nel mirino dei clan territoriali». Il fenomeno del caporalato in Calabria è tutt’altro che in diminuzione, «è una questione molto ampia rispetto al passato, – ha aggiunto Vaiti – mentre prima caporalato voleva dire Gioia Tauro e San Ferdinando, adesso ci siamo spostati in comunità abbastanza ampie e importanti come sulla Piana di Sibari, così come sulla Piana di Lamezia Terme, ma anche nella zona di Riace e Camini, è un fenomeno abbastanza diffuso su tutta la regione».
E allo sfruttamento, ha spiegato infine Vaiti, «sono strettamente collegate due questioni: quello dei trasporti e dell’abitare. Due questioni su cui stiamo cercando di capire come intervenire». (m.ripolo@corrierecal.it)