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Borsellino e la palude dell’Antimafia

Attilio Bolzoni 01 Luglio 2025

La memoria e i giochi di potere. Una borsa già vista. L’Antimafia tradita dai giochi di potere

Ma che cosa sta succedendo in questa vigilia di anniversario della strage di via Mariano D’Amelio? Quante informazioni vere o verosimili o farlocche si stanno incrociando fra la Sicilia e Roma in attesa di un’altra celebrazione, di un altro rito, di un’altra ridondante sfilata? Da cosa è stata fatta prigioniera l’antimafia ufficiale in Italia? Dalle menzogne? Dalle paure?
A pochi giorni dalla liturgia della trentatreesima commemorazione dell’uccisione di 
Paolo Borsellino intanto non è proprio il massimo, per chi dice di essere cresciuto nel suo mito e aver iniziato a far politica subito dopo quell’autobomba, ritrovarsi contro i familiari di tutte le vittime dei massacri italiani (da Capaci a Piazza della Loggia, dai Georgofili al treno Italicus) che chiedono in pratica un nuovo vertice dell’Antimafia “in quanto questo organo ha perso la sua credibilità, perché è ormai totalmente svilito, depotenziato”.
Non era mai accaduto da quando la commissione parlamentare esiste, dall’inizio del 1963, che dall’esterno venisse chiesto l’azzeramento della sua presidenza. Un passo clamoroso ma inevitabile visto le scorribande di una commissione d’inchiesta che non ha svolto alcuna inchiesta, ma ha scelto di indagare solo su un’ipotesi – il dossier Mafia e Appalti – per ricercare il movente della morte del procuratore Borsellino. Un’indagine a senso unico. Chissà se in queste ore se ne stanno rendendo conto sino in fondo la presidente della commissione parlamentare antimafia 
Chiara Colosimo e la premier Giorgia Meloni, che quella sua amica l’ha voluta a tutti i costi lì, di guardia ai segreti delle bombe siciliane.
Perché adesso, dopo le prepotenti scorribande in aula e le audizioni mirate, la commissione antimafia è rotolata in una palude dalla quale sarà molto difficile riemergere. Un po’ per colpa del generale dei carabinieri 
Mario Mori che l’ha spinta – e oltre ogni limite-su una pista che porta fuori pista e un po’ per colpa della stessa Colosimo (in coppia con la sua amica premier) che si è fatta dolcemente trascinare nel vicolo cieco che tanto amano gli ex ufficiali dei carabinieri ispiratori della linea dell’Antimafia.
Il goffo tentativo di buttare fuori dalla commissione parlamentare il senatore 
Roberto Scarpinato, la spericolata querela di Chiara Colosimo contro il giornalista Saverio Lodato che commentava la foto con lei mano nella mano con il terrorista nero Luigi Ciavardini, l’ostinazione di staccare la strage Borsellino dall’attentato contro Giovanni Falcone e dalle bombe della primavera del 1993 in Continente, sono tutti segnali di un’Antimafia maldisposta a indagare sul serio, schiacciata su tesi precostituite.
Ma, se a Roma c’è confusione, in Sicilia tutto sembra avviluppato, in particolare alla procura di Caltanissetta che per competenza indaga su Capaci e via D’Amelio. Dopo avere messo sotto accusa tre famosi magistrati per favoreggiamento alla mafia, ieri l’altro i magistrati hanno spedito i carabinieri in tre abitazioni in possesso degli eredi di 
Gianni Tinebra, il procuratore capo della repubblica di Caltanissetta al tempo delle stragi. Cercavano tracce della famosa agenda rossa di Borsellino. E le cercavano, più di un quarto di secolo dopo, attraverso il vago appunto di un morto (l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera) e nella cassaforte di un altro morto (per l’appunto Tinebra). Non credo che, così, troveremo mai agende, né rosse né nere.
I giornali hanno dato poi gran risalto, come se fosse una notizia sensazionale, dell’appartenenza del procuratore Tinebra a una loggia massonica forse coperta. Noi giornalisti che frequentavano più di trent’anni fa il Palazzo di Giustizia di Caltanissetta eravamo al corrente dell’appartenenza di Tinebra a una loggia, qualcuno lo indicava scherzosamente come “il capuccione della magistratura siciliana”. Dunque, niente di nuovo sotto il sole.
Nemmeno per quanto riguarda lo “scoop” del Tg1 della prima esposizione a Montecitorio della borsa che il giudice aveva con sé il giorno della strage, con tutte le più alte cariche dello Stato presenti alla cerimonia. Borsa vista e rivista. Almeno dal 29 settembre del 2012 quando lo scrittore 
Aldo Sarullo l’ha ritrovata e dedicato alla sua scoperta sette pagine sul settimanale siciliano “S”. Un lungo articolo accompagnato da una bellissima foto firmata da Luigi Sarullo, il figlio, un nostro collega giornalista. È una foto della stessa borsa “mostrata oggi per la prima volta”. Tanti e misteriosi sono ormai i cortocircuiti dell’Antimafia.

Tratto da: Domani 

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fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/309-topnews/105538-borsellino-e-la-palude-dell-antimafia.html