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Viaggio a San Luca, dove non si vota più per colpa delle cosche . E “il commissario non è così male” La Repubblica, Sabato 4 Giugno 2016 Viaggio a San Luca, dove non si vota più per colpa delle cosche . E “il commissario non è così male” Nel comune della Locride, quattromila anime patria di alcune delle più forti famiglie di ‘ndrangheta, le elezioni sono state rinviate perché non c’erano candidati. L’anno scorso, l’unico candidato non ha ottenuto i voti. Così si va avanti senza politica. “Tanto se ci presentiamo dopo due mesi ci arrestano e non sappiamo nemmeno il perché” di ALESSIA CANDITO SAN LUCA – Schiacciata dall’ombra dei clan, abbandonata dalla politica e dallo Stato, San Luca si prepara con disincanto al weekend che avrebbe potuto darle un sindaco. Invece, per un altro anno ancora, sarà un commissario prefettizio a governare il piccolo paese conosciuto come la “mamma della ‘ndrangheta” e per le faide che ne hanno insanguinato le strade. “Questo è il paese di Corrado Alvaro, non dei delinquenti”, dicono arrabbiati i vecchi in piazza. La mancanza di un’amministrazione eletta invece non fa arrabbiare nessuno. Si accetta come l’avvicendarsi delle stagioni. Ma è da tre anni che le elementari regole della rappresentanza democratica sono sospese. Nel maggio 2013, il Viminale ha decretato lo scioglimento per mafia dell’amministrazione, azzoppata dall’arresto dell’ultimo sindaco eletto, Sebastiano Giorgi. Un tempo simbolo dell’antimafia, Giorgi è stato scoperto dalla Dda di Reggio Calabria in combutta con i clan del paese, cui consegnava appalti e lavori. Non meno rovinosamente è tramontata la stella di Rosy Canale, un tempo volto del “Movimento delle donne di San Luca”, arrestata insieme al sindaco per truffa. Da reggina, aveva deciso di stendere la propria ala protettrice sul paese, ramazzando finanziamenti per dare una prospettiva alle sue donne. O almeno così diceva. In realtà – hanno scoperto i magistrati – quei soldi servivano solo a finanziare acquisti personali di Canale, che per questo è stata condannata a quattro anni di carcere. Un processo cui il paese ha assistito con vago disinteresse, ma che fa ancora masticare amaro. “Non abbiamo bisogno di altre Rosy Canale, quella è venuta a San Luca solo per farsi pubblicità”, dicono i ragazzi in piazza. Ma nessuno di loro ha neanche immaginato di prendere sulle spalle i progetti promessi, per dare loro seguito. Allo stesso modo, il paese sembra rassegnato a lasciarsi amministrare. Un anno fa, a commissariamento concluso, un’unica lista civica con a capo Giuseppe Trimboli ha provato a proporsi ai sanluchesi, ma in troppi l’hanno snobbata. Sui 3.446 aventi diritto al voto, solo 1.485 cittadini si sono recati alle urne. Il quorum obbligatorio è stato mancato e il paese si è arreso al commissariamento. Oggi, la partita non si gioca neanche. Mentre altrove si assestano le ultime stoccate di campagna elettorale, San Luca inganna il pomeriggio di un’estate che non vuole arrivare nella piazza principale del paese. Anziani e giovani se la dividono equamente, insieme ai due bar e alla sala slot che su di essa affacciano. Il circolo no, quello è solo dei ragazzi. E lì non si entra. Di donne in giro neanche l’ombra. “Sono a casa, si riposano”, dice un ventiquattrenne che di politica non vuol sentire parlare: “Tanto qui chi si candida viene subito arrestato”. Un’affermazione che a San Luca sembra quasi un dogma. “Volete sapere perché non si fa una lista? – dice uno degli anziani seduti in piazza – Perché ci fanno stare due mesi e poi ci sciolgono. Anzi, ci arrestano e non sappiamo neanche perché”. Tra le quattromila anime di San Luca, per i magistrati ci sono gli uomini di almeno tre fra i più potenti clan della Locride, senza contare la decina di famiglie di ‘ndrangheta che ruotano loro attorno. I Nirta “La maggiore”, i Romeo “Staccu” e i Mammoliti hanno scritto di proprio pugno la storia della ‘ndragheta e continuano a determinarne il presente, nonostante arresti e faide ne abbiano nel tempo assottigliato i ranghi. L’ultima tregua è stata firmata solo qualche anno fa, dopo la strage che il 15 agosto 2006 ha fatto scoprire alla Germania la ferocia della ‘ndrangheta. Ma di questo a San Luca non si parla. Per il paese, la ‘ndrangheta non esiste. Solo alcuni – e a malincuore – ammettono “qui c’è la mafia, ma non è il paese della mafia”. A parlare è Filippo Giorgi, sindacalista della Cgil, che con impegno e dedizione sta cercando di ritessere il filo di una tradizione antica, ormai quasi perduta. Un tempo a San Luca c’era la politica e c’era il sindacato. Sono stati i lavoratori a tirare su con le proprie mani la camera del lavoro. Negli anni Settanta, quando la Locride era “l’Emilia rossa di Calabria” erano in tanti ad affollarne i locali, come la sede del vecchio Pci. Adesso, quelle stanze ospitano il Partito democratico. “Ma è sempre chiuso, qui il partito non sta funzionando bene”, ammette Giorgi. “Sono bravi quelli, si presentano solo sotto elezioni. Tutti qua a chiedere voti, ma non hanno più neanche lavoro da dare”. E a San Luca, il lavoro è merce rara e bene prezioso. “Qui erano quasi tutti erano forestali, qui ce n’erano quasi mille”, spiega Giorgi, ricordando come in molti casi quell’impiego pubblico passasse di padre in figlio, in omaggio a quel tacito accordo che per anni ha convertito la Forestale nel più grande ammortizzatore sociale della zona. Poi anche quello ha dovuto fare i conti con i tagli, e San Luca e i paesi del comprensorio con la disoccupazione. E – di nuovo – con l’emigrazione. Come i loro nonni prima di loro, i giovani hanno ricominciato ad andare via in massa. Chi resta, aspetta solo di avere la possibilità di scappare da un paese in cui non c’è un cinema, una biblioteca, una palestra, una pizzeria. Non c’è neanche un campetto in grado di ospitare la squadra di calcio, che prima di naufragare fra i debiti era riuscita ad aggiudicarsi la Coppa Calabria. “Piano piano stiamo cercando di avviare dei progetti per coinvolgere le donne del paese, dare loro una prospettiva, uno sbocco, ma è un lavoro lento ed estremamente difficile”, dice Mimma Pacifici, segretaria della Cgil di Reggio Calabria- Locri. “San Luca – ammette – è un paese in cui bisogna procedere a piccoli passi”. Irrigidito da diffidenza e forse troppi segreti, il paese, affamato di lavoro e progetti, si rassegna amaramente ad aspettare e a lasciarsi governare. “Questo commissario non è male”, finiscono per ammettere un po’ tutti. “Alcune cose, come la sistemazione dell’acquedotto, le sta facendo”. Al domani nessuno ci pensa, perché – afferma un anziano in piazza – “qui ci sono genitori costretti a mantenere i figli. Qui non c’è lavoro, non c’è futuro, non c’è niente”. E lo Stato che fa? “Qui lo Stato lo vediamo solo quando i carabinieri vengono ad arrestare qualcuno”.

La Repubblica, Sabato 4 Giugno 2016

Viaggio a San Luca, dove non si vota più per colpa delle cosche . E “il commissario non è così male”

Nel comune della Locride, quattromila anime patria di alcune delle più forti famiglie di ‘ndrangheta, le elezioni sono state rinviate perché non c’erano candidati. L’anno scorso, l’unico candidato non ha ottenuto i voti. Così si va avanti senza politica. “Tanto se ci presentiamo dopo due mesi ci arrestano e non sappiamo nemmeno il perché”

di ALESSIA CANDITO

SAN LUCA – Schiacciata dall’ombra dei clan, abbandonata dalla politica e dallo Stato, San Luca si prepara con disincanto al weekend che avrebbe potuto darle un sindaco. Invece, per un altro anno ancora, sarà un commissario prefettizio a governare il piccolo paese conosciuto come la “mamma della ‘ndrangheta” e per le faide che ne hanno insanguinato le strade.

“Questo è il paese di Corrado Alvaro, non dei delinquenti”, dicono arrabbiati i vecchi in piazza. La mancanza di un’amministrazione eletta invece non fa arrabbiare nessuno. Si accetta come l’avvicendarsi delle stagioni. Ma è da tre anni che le elementari regole della rappresentanza democratica sono sospese.

Nel maggio 2013, il Viminale ha decretato lo scioglimento per mafia dell’amministrazione, azzoppata dall’arresto dell’ultimo sindaco eletto, Sebastiano Giorgi. Un tempo simbolo dell’antimafia, Giorgi è stato scoperto dalla Dda di Reggio Calabria in combutta con i clan del paese, cui consegnava appalti e lavori.

Non meno rovinosamente è tramontata la stella di Rosy Canale, un tempo volto del “Movimento delle donne di San Luca”, arrestata insieme al sindaco per truffa. Da reggina, aveva deciso di stendere la propria ala protettrice sul paese, ramazzando finanziamenti per dare una prospettiva alle sue donne. O almeno così diceva. In realtà – hanno scoperto i magistrati – quei soldi servivano solo a finanziare acquisti personali di Canale, che per questo è stata condannata a quattro anni di carcere.

Un processo cui il paese ha assistito con vago disinteresse, ma che fa ancora masticare amaro. “Non abbiamo bisogno di altre Rosy Canale, quella è venuta a San Luca solo per farsi pubblicità”, dicono i ragazzi in piazza. Ma nessuno di loro ha neanche immaginato di prendere sulle spalle i progetti promessi, per dare loro seguito. Allo stesso modo, il paese sembra rassegnato a lasciarsi amministrare.

Un anno fa, a commissariamento concluso, un’unica lista civica con a capo Giuseppe Trimboli ha provato a proporsi ai sanluchesi, ma in troppi l’hanno snobbata. Sui 3.446 aventi diritto al voto, solo 1.485 cittadini si sono recati alle urne. Il quorum obbligatorio è stato mancato e il paese si è arreso al commissariamento. Oggi, la partita non si gioca neanche.

Mentre altrove si assestano le ultime stoccate di campagna elettorale, San Luca inganna il pomeriggio di un’estate che non vuole arrivare nella piazza principale del paese. Anziani e giovani se la dividono equamente, insieme ai due bar e alla sala slot che su di essa affacciano. Il circolo no, quello è solo dei ragazzi. E lì non si entra. Di donne in giro neanche l’ombra. “Sono a casa, si riposano”, dice un ventiquattrenne che di politica non vuol sentire parlare: “Tanto qui chi si candida viene subito arrestato”.

Un’affermazione che a San Luca sembra quasi un dogma. “Volete sapere perché non si fa una lista? – dice uno degli anziani seduti in piazza – Perché ci fanno stare due mesi e poi ci sciolgono. Anzi, ci arrestano e non sappiamo neanche perché”.

Tra le quattromila anime di San Luca, per i magistrati ci sono gli uomini di almeno tre fra i più potenti clan della Locride, senza contare la decina di famiglie di ‘ndrangheta che ruotano loro attorno. I Nirta “La maggiore”, i Romeo “Staccu” e i Mammoliti hanno scritto di proprio pugno la storia della ‘ndragheta e continuano a determinarne il presente, nonostante arresti e faide ne abbiano nel tempo assottigliato i ranghi. L’ultima tregua è stata firmata solo qualche anno fa, dopo la strage che il 15 agosto 2006 ha fatto scoprire alla Germania la ferocia della ‘ndrangheta. Ma di questo a San Luca non si parla.

Per il paese, la ‘ndrangheta non esiste. Solo alcuni – e a malincuore –  ammettono “qui c’è la mafia, ma non è il paese della mafia”. A parlare è Filippo Giorgi, sindacalista della Cgil, che con impegno e dedizione sta cercando di ritessere il filo di una tradizione antica, ormai quasi perduta. Un tempo a San Luca c’era la politica e c’era il sindacato. Sono stati i lavoratori a tirare su con le proprie mani la camera del lavoro. Negli anni Settanta, quando la Locride era “l’Emilia rossa di Calabria” erano in tanti ad affollarne i locali, come la sede del vecchio Pci.

Adesso, quelle stanze ospitano il Partito democratico. “Ma è sempre chiuso, qui il partito non sta funzionando bene”, ammette Giorgi. “Sono bravi quelli, si presentano solo sotto elezioni. Tutti qua a chiedere voti, ma non hanno più neanche lavoro da dare”. E a San Luca, il lavoro è merce rara e bene prezioso. “Qui erano quasi tutti erano forestali, qui ce n’erano quasi mille”, spiega Giorgi, ricordando come in molti casi quell’impiego pubblico passasse di padre in figlio, in omaggio a quel tacito accordo che per anni ha convertito la Forestale nel più grande ammortizzatore sociale della zona.

Poi anche quello ha dovuto fare i conti con i tagli, e San Luca e i paesi del comprensorio con la disoccupazione. E – di nuovo – con l’emigrazione. Come i loro nonni prima di loro, i giovani hanno ricominciato ad andare via in massa. Chi resta, aspetta solo di avere la possibilità di scappare da un paese in cui non c’è un cinema, una biblioteca, una palestra, una pizzeria. Non c’è neanche un campetto in grado di ospitare la squadra di calcio, che prima di naufragare fra i debiti era riuscita ad aggiudicarsi la Coppa Calabria.

“Piano piano stiamo cercando di avviare dei progetti per coinvolgere le donne del paese, dare loro una prospettiva, uno sbocco, ma è un lavoro lento ed estremamente difficile”, dice Mimma Pacifici, segretaria della Cgil di Reggio Calabria- Locri. “San Luca – ammette – è un paese in cui bisogna procedere a piccoli passi”.

Irrigidito da diffidenza e forse troppi segreti, il paese, affamato di lavoro e progetti, si rassegna amaramente ad aspettare e a lasciarsi governare. “Questo commissario non è male”, finiscono per ammettere un po’ tutti. “Alcune cose, come la sistemazione dell’acquedotto, le sta facendo”. Al domani nessuno ci pensa, perché – afferma un anziano in piazza – “qui ci sono genitori costretti a mantenere i figli. Qui non c’è lavoro, non c’è futuro, non c’è niente”. E lo Stato che fa? “Qui lo Stato lo vediamo solo quando i carabinieri vengono ad arrestare qualcuno”.

La Repubblica, Sabato 4 Giugno 2016

Viaggio a San Luca, dove non si vota più per colpa delle cosche . E “il commissario non è così male”

Nel comune della Locride, quattromila anime patria di alcune delle più forti famiglie di ‘ndrangheta, le elezioni sono state rinviate perché non c’erano candidati. L’anno scorso, l’unico candidato non ha ottenuto i voti. Così si va avanti senza politica. “Tanto se ci presentiamo dopo due mesi ci arrestano e non sappiamo nemmeno il perché”

di ALESSIA CANDITO

SAN LUCA – Schiacciata dall’ombra dei clan, abbandonata dalla politica e dallo Stato, San Luca si prepara con disincanto al weekend che avrebbe potuto darle un sindaco. Invece, per un altro anno ancora, sarà un commissario prefettizio a governare il piccolo paese conosciuto come la “mamma della ‘ndrangheta” e per le faide che ne hanno insanguinato le strade.

“Questo è il paese di Corrado Alvaro, non dei delinquenti”, dicono arrabbiati i vecchi in piazza. La mancanza di un’amministrazione eletta invece non fa arrabbiare nessuno. Si accetta come l’avvicendarsi delle stagioni. Ma è da tre anni che le elementari regole della rappresentanza democratica sono sospese.

Nel maggio 2013, il Viminale ha decretato lo scioglimento per mafia dell’amministrazione, azzoppata dall’arresto dell’ultimo sindaco eletto, Sebastiano Giorgi. Un tempo simbolo dell’antimafia, Giorgi è stato scoperto dalla Dda di Reggio Calabria in combutta con i clan del paese, cui consegnava appalti e lavori.

Non meno rovinosamente è tramontata la stella di Rosy Canale, un tempo volto del “Movimento delle donne di San Luca”, arrestata insieme al sindaco per truffa. Da reggina, aveva deciso di stendere la propria ala protettrice sul paese, ramazzando finanziamenti per dare una prospettiva alle sue donne. O almeno così diceva. In realtà – hanno scoperto i magistrati – quei soldi servivano solo a finanziare acquisti personali di Canale, che per questo è stata condannata a quattro anni di carcere.

Un processo cui il paese ha assistito con vago disinteresse, ma che fa ancora masticare amaro. “Non abbiamo bisogno di altre Rosy Canale, quella è venuta a San Luca solo per farsi pubblicità”, dicono i ragazzi in piazza. Ma nessuno di loro ha neanche immaginato di prendere sulle spalle i progetti promessi, per dare loro seguito. Allo stesso modo, il paese sembra rassegnato a lasciarsi amministrare.

Un anno fa, a commissariamento concluso, un’unica lista civica con a capo Giuseppe Trimboli ha provato a proporsi ai sanluchesi, ma in troppi l’hanno snobbata. Sui 3.446 aventi diritto al voto, solo 1.485 cittadini si sono recati alle urne. Il quorum obbligatorio è stato mancato e il paese si è arreso al commissariamento. Oggi, la partita non si gioca neanche.

Mentre altrove si assestano le ultime stoccate di campagna elettorale, San Luca inganna il pomeriggio di un’estate che non vuole arrivare nella piazza principale del paese. Anziani e giovani se la dividono equamente, insieme ai due bar e alla sala slot che su di essa affacciano. Il circolo no, quello è solo dei ragazzi. E lì non si entra. Di donne in giro neanche l’ombra. “Sono a casa, si riposano”, dice un ventiquattrenne che di politica non vuol sentire parlare: “Tanto qui chi si candida viene subito arrestato”.

Un’affermazione che a San Luca sembra quasi un dogma. “Volete sapere perché non si fa una lista? – dice uno degli anziani seduti in piazza – Perché ci fanno stare due mesi e poi ci sciolgono. Anzi, ci arrestano e non sappiamo neanche perché”.

Tra le quattromila anime di San Luca, per i magistrati ci sono gli uomini di almeno tre fra i più potenti clan della Locride, senza contare la decina di famiglie di ‘ndrangheta che ruotano loro attorno. I Nirta “La maggiore”, i Romeo “Staccu” e i Mammoliti hanno scritto di proprio pugno la storia della ‘ndragheta e continuano a determinarne il presente, nonostante arresti e faide ne abbiano nel tempo assottigliato i ranghi. L’ultima tregua è stata firmata solo qualche anno fa, dopo la strage che il 15 agosto 2006 ha fatto scoprire alla Germania la ferocia della ‘ndrangheta. Ma di questo a San Luca non si parla.

Per il paese, la ‘ndrangheta non esiste. Solo alcuni – e a malincuore –  ammettono “qui c’è la mafia, ma non è il paese della mafia”. A parlare è Filippo Giorgi, sindacalista della Cgil, che con impegno e dedizione sta cercando di ritessere il filo di una tradizione antica, ormai quasi perduta. Un tempo a San Luca c’era la politica e c’era il sindacato. Sono stati i lavoratori a tirare su con le proprie mani la camera del lavoro. Negli anni Settanta, quando la Locride era “l’Emilia rossa di Calabria” erano in tanti ad affollarne i locali, come la sede del vecchio Pci.

Adesso, quelle stanze ospitano il Partito democratico. “Ma è sempre chiuso, qui il partito non sta funzionando bene”, ammette Giorgi. “Sono bravi quelli, si presentano solo sotto elezioni. Tutti qua a chiedere voti, ma non hanno più neanche lavoro da dare”. E a San Luca, il lavoro è merce rara e bene prezioso. “Qui erano quasi tutti erano forestali, qui ce n’erano quasi mille”, spiega Giorgi, ricordando come in molti casi quell’impiego pubblico passasse di padre in figlio, in omaggio a quel tacito accordo che per anni ha convertito la Forestale nel più grande ammortizzatore sociale della zona.

Poi anche quello ha dovuto fare i conti con i tagli, e San Luca e i paesi del comprensorio con la disoccupazione. E – di nuovo – con l’emigrazione. Come i loro nonni prima di loro, i giovani hanno ricominciato ad andare via in massa. Chi resta, aspetta solo di avere la possibilità di scappare da un paese in cui non c’è un cinema, una biblioteca, una palestra, una pizzeria. Non c’è neanche un campetto in grado di ospitare la squadra di calcio, che prima di naufragare fra i debiti era riuscita ad aggiudicarsi la Coppa Calabria.

“Piano piano stiamo cercando di avviare dei progetti per coinvolgere le donne del paese, dare loro una prospettiva, uno sbocco, ma è un lavoro lento ed estremamente difficile”, dice Mimma Pacifici, segretaria della Cgil di Reggio Calabria- Locri. “San Luca – ammette – è un paese in cui bisogna procedere a piccoli passi”.

Irrigidito da diffidenza e forse troppi segreti, il paese, affamato di lavoro e progetti, si rassegna amaramente ad aspettare e a lasciarsi governare. “Questo commissario non è male”, finiscono per ammettere un po’ tutti. “Alcune cose, come la sistemazione dell’acquedotto, le sta facendo”. Al domani nessuno ci pensa, perché – afferma un anziano in piazza – “qui ci sono genitori costretti a mantenere i figli. Qui non c’è lavoro, non c’è futuro, non c’è niente”. E lo Stato che fa? “Qui lo Stato lo vediamo solo quando i carabinieri vengono ad arrestare qualcuno”.