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Veneto, la grande invasione mafiosa

Veneto, la grande invasione mafiosa

Domenica 11 Giugno 2017

di Francesco Trotta

Quando arrivano in Veneto, mandati in soggiorno obbligato, i mafiosi sono tutti persone “normali”. Erano – per chi li avrebbe poi conosciuti, chiacchierando al bar la mattina – “bravi uomini”, sempre disponibili a scambiare qualche battuta. Salvo poi scoprire dalle cronache giornalistiche che si trattava di criminali e assassini. «Ma davvero? Non ne sapevo nulla, sapevo solo che proveniva dal Sud». Lo stupore degli intervistati nel corso degli anni non sarebbe mai cambiato.
I primi mafiosi di un certo peso arrivarono alla fine degli Anni Cinquanta. Domenico Albano e Giovanni Sacco detto “Vanni”. Il primo, che fu inviato a Lastebasse (provincia di Vicenza), era il capomafia di Borgetto che negli anni nel secondo dopoguerra protesse il bandito Salvatore Giuliano e cercò per lui una mediazione politica dopo la strage di Portella della Ginestra. Sacco, invece, era capomafia di Camporeale e tra i più importanti mafiosi del  tempo perché aveva intuito l’importanza di stringere patti con la politica. Per questo aveva cercato di entrare nella corrente democristiana di Giovanni Gioia, ma fu osteggiato dal sindaco di Camporeale, Domenico Almerico, che una volta costretto alle dimissioni, fu assassinato il 27 marzo 1957.
Sacco processato in qualità di mandante ma prosciolto per insufficienza di prove, fu inviato al confino a Posina, in provincia di Vicenza. Poi, nel decennio successivo, arrivarono in Veneto 143 criminali e mafiosi.
Tra questi Giuseppe Palmeri, narcotrafficante che a Cittadella (Padova) costituì la sua base operativa insieme a Leonardo Crimi, inviato in soggiorno obbligato a Conegliano (Treviso), e il mafioso Giuseppe Sirchia a Castelfranco Veneto (Treviso), che nel 1970 scampò ad un agguato organizzato da Gaetano Fidanzati, arrestato proprio nella comune della Marca insieme ad altri due mafiosi. Lo volevano eliminare perché “accusato” di aver preso parte alla strage di Viale Lazio. E anche Fidanzati sarebbe stato confinato nel 1981 a Monselice (Padova).
Infatti tra gli Anni Settanta e Ottanta giunsero altri mafiosi di un certo spessore, come Salvatore Badalamenti, nipote di quel Gaetano capomafia di Cinisi e mandante dell’omicidio di Peppino Impastato; Giuseppe Piromalli, a capo dell’omonima ‘ndrina e giunto a Bardolino (Verona); Antonino Galasso, del clan camorrista Alfieri e inviato a Sanguinetto (Verona). E sempre nel veronese è arrivato Vincenzo Casillo, braccio destro di Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata. Sulla Riviera del Brenta  sono stati spediti Salvatore “Totuccio” Contorno (che poi si sarebbe pentito) e Antonino Duca che qui, d’accordo anche con Gaetano Fidanzati, si è alleato e ha “allevato” Felice Maniero e la sua Mala, facendole poi fare il salto di qualità a Mafia del Brenta. Non è un caso che in quegli anni aumentino vertiginosamente i volumi di rapine, sequestri di persona, omicidi, narcotraffico e spaccio di droga. E, di conseguenza, anche il numero di ragazzi tossicodipendenti o morti per overdose.
Negli Anni Novanta si segnalano Leonardo Greco di Bagheria, che si trasferì a Mestre (Venezia) e Anna Mazza, conosciuta come la “vedova nera della Camorra”, reggente del Clan Moccia dopo la morte del marito e inviata a Codognè (Treviso) nel 1993.
L’ultimo soggiornante mafioso illustre non è una persona qualsiasi. Si tratta di Salvatore Riina Jr, figlio di Zu’ Totò, che ha scelto di trasferirsi a Padova. Eppure legare i mafiosi confinati alla presenza delle mafie in Veneto è un errore. Fu certamente una concausa, ma non quella determinante per lo sviluppo criminale della regione.
Il Veneto ha acolto anche i latitanti. Fra i più importanti Giuseppe “Piddu” Madonia, braccio destro di Totò Riina, arrestato nel 1992 a Longare (Vicenza). Ma soprattutto ci sono gli affari. Il senatore democristiano Graziano Verzotto, di Santa Giustina in Colle (Padova), latitante dal 1976 al 1991, trasferitosi in Sicilia, fu testimone di nozze del capomafia Giuseppe Di Cristina e il suo nome è stato sfiorato dalle indagini sulla scomparsa del Presidente dell’Eni Enrico Mattei, di cui era collaboratore, e del giornalista Mauro De Mauro rapito a Palermo il 16 settembre del 1970 Poi, negli Anni Ottanta, aprì a Borgoricco (Padova) lo stabilimento Bertolino, dell’omonima famiglia di Partinico. Il fondatore, Giuseppe, fu arrestato prima nell’inchiesta dei cosiddetti  “114” e successivamente chiamato in causa da Tommaso Buscetta. Sempre assolto, il suo cognome si lega ad un altro mafioso, Angelo Siino, soprannominato il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra e oggi pentito, genero di Giuseppe per averne sposato la figlia Carmela. Ma questa è un’altra storia.

fonte:mafie.blogautore.repubblica.it/

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