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Una riflessione di Arturo Gnesi sugli assassini di Falcone e Borsellino e sulla morte a Fondi del Capitano Fedele Conti

Con il cuore a Palermo


Nel 18° anniversario della morte del giudice Paolo Borsellino si celebrano a Palermo delle iniziative tese ad incoraggiare l’accertamento della verità sulla strage di via d’Amelio che ancora in molti vorrebbero fosse taciuta o mistificata.
Nonostante gli ostacoli e le omissioni il fratello del giudice, Salvatore
Borsellino, in questi anni ha cercato assieme alla sorella Rita di rompere il muro dell’indifferenza e dell’ostilità di quegli apparati dello Stato che maggiormente temono che vengano scoperti fatti imbarazzanti e compromettenti che coinvolgono funzionari e politici.
Non c’è alcun dubbio infatti che durante i processi ci siano stati
depistaggi e negligenze soprattutto per quanto riguarda l’individuazione dei mandanti e la ricostruzione del contesto storico che portò la mafia a dichiarare guerra allo Stato eliminando i giudici che maggiormente cercavano di arginare, limitare e sconfiggere le infiltrazioni e il potere delle cosche mafiose.
Falcone e Borsellino furono vittime della mafia ma probabilmente anche della debolezza di alcuni uomini dello Stato che con la complicità di alcuni settori della politica portarono avanti una trattativa volta a ridefinire nuovi equilibri tra il potere della criminalità organizzata e quello di alcune forze politiche.
E’ su quest’ultimo intricato capitolo che si  sta concentrando l’attenzione dei magistrati perché il giudice Borsellino sapeva che negli ultimi giorni non doveva difendersi solo dall’esplosivo dei mafiosi ma anche dalle trame del Palazzo.
L’anno scorso nessun uomo delle Istituzioni ha partecipato a Palermo alla ricorrenza della strage e temo che nemmeno quest’anno  ci saranno ministri o sottosegretari in via D’Amelio.
Del resto  siamo nell’Italia del trionfo delle varie cricche affaristiche-
massoniche che proliferano nei palazzi del potere senza che nessuno si scandalizzi e dichiari guerra all’indecenza e all’impunità della casta
politica.
Viviamo in un momento politico dove sembra che l’interesse esclusivo dei governanti sia la ricerca dei mezzi necessari  per conservare e rafforzare il potere.
Viviamo in un contesto politico dove anche di fronte ad errori grossolani e a macroscopiche truffe e ruberie non c’è nessuno che alzi la mano e riconosca di aver sbagliato chiedendo scusa agli italiani.
Siamo in un paese dove il sistema  affaristico tra politici e  forze
imprenditoriali controllate dalla mafia, si riproduce dal centro alla
periferia ed è sempre meno improbabile che anche nelle amministrazioni locali si instaurino legami collusivi tra rappresentanti delle istrituzioni, tecnici, funzionari pubblici e imprenditori.
In molti credono che fintanto che non si spara e non ci scappa il morto la mafia non esiste senza sapere che la mafia vera oggi è quella che fa affari in borsa, si propone negli appalti pubblici e con i suoi voti manda a comandare le persone di sua fiducia.
Senza la memoria di questi eventi è difficile difendere i  principi
democratici dello Stato e impedire che la legalità e la giustizia possano sopravvivere alle esigenza di quanti fanno politica solo per tutelare i propri privilegi e salvaguardare la propria impunità.
Con il cuore a Palermo,  mentre a Pastena in silenzio ricorderemo  che anche Fedele Conti, capitano della guardia di Finanza che è stato vittima del sistema criminale generato dagli oscuri interessi  di forze mafiose, politiche e imprenditoriali.
Lo stesso schema in contesti che produce gli stessi effetti: l’eliminazione di persone oneste e di incorruttibili servitori dello Stato.

Pastena, 17 luglio 2010
dott. Gnesi Arturo