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Un interessante nota della nostra amica Avv. Patrizia Menanno di Cassino sull’impianto della Giustizia nel Basso Lazio e sulle cose che si debbono fare.

Se l’umanità non progredisce nella stessa misura in tutte le parti del mondo la responsabilità non è della scienza, ma dell’ignoranza dei benefici che se ne possono trarre e delle cattive scelte politiche. ( Norberto Bobbio )


Il sacrosanto dibattito che si è acceso, specie tra gli avvocati, in questi giorni, dopo la notizia della soppressione della Sezione distaccata di Gaeta e il suo accorpamento al Tribunale di Cassino e che continua dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 155/2012 sulla nuova organizzazione dei tribunali, lascia perplesso il comune cittadino che magari non ha mai messo piede in un Tribunale e non riesce, quindi, a comprendere né le ragioni di chi è favorevole all’attuata riforma, definita “epocale” dal Ministro Severino, né quelle di chi vi si oppone strenuamente.

Tutti sanno che la struttura geografica del “giudice ordinario” (civile e penale) era composta da Tribunali, a loro volta suddivisi in sezioni distaccate, facenti capo ad un unico distretto di Corte d’Appello (per i più curiosi, sul sito internet del C.S.M. v’è ancora la cartina dell’Italia ove sono evidenziati tutti gli Uffici giudiziari, con le piante organiche e il numero di magistrati addetti, ante riforma). Il precedente assetto risaliva, quindi, alla Legge Rattazzi del 1859 che, semplicemente, conservò le vecchie circoscrizioni incorporando le nuove realtà dello Stato unitario, ma non si curò di effettuare studi demografici, economici o anche statistici (ad es. sul numero degli affari giudiziari trattati).

La distribuzione irrazionale sul territorio nazionale degli uffici era cosa nota a tutti gli operatori del settore. Basti pensare che nel 1996 circa l’85% dei tribunali era sottodimensionato, dato questo che si ridusse al 72% dopo l’abolizione delle Preture e l’istituzione del Giudice Unico, nel 1999.

I “piccoli” tribunali (odio il termine “tribunalini” adottato impietosamente, superficialmente e con una connotazione dispregiativa dagli stessi ministri tecnici), sono purtroppo affetti da notevoli problemi organizzativi che ne comportano l’inefficienza: tra questi, la mancanza di specializzazione dei giudici. Se un giudice deve spaziare dal diritto civile, al diritto penale, al diritto del lavoro, ciò comporta una perdita di tempo maggiore per lo studio delle questioni e un margine di errore più elevato. A ciò si aggiunga che, a causa di una serie di incompatibilità previste per legge, specie nel penale, laddove non vi sia un numero sufficiente di magistrati, si determina una scopertura dell’ufficio che genera ritardi e inefficienze a danno dei cittadini.

Quindi, una riforma della geografia giudiziaria era indispensabile e funzionale all’obiettivo di un miglioramento dell’efficienza della giustizia stessa.

Ma la legge delega 148/11 (Berlusconi-Tremonti), in attuazione della quale il Consiglio dei Ministri ha emanato il dec. lgs. citato, è la solita legge “all’italiana”. Essa, infatti, pone in maniera del tutto incongrua ed immotivata dei paletti dai quali il Ministro Severino non si è potuta discostare e che sono: a) il mantenimento di tutti i tribunali aventi sede nei capoluoghi di provincia (si badi bene, in un momento in cui le province erano già in odore di soppressione!) e b) la c.d. “regola del tre” l’obbligo di mantenere, cioè, almeno tre tribunali per Corte d’ Appello a prescindere dalle dimensioni e quindi, anche se inefficienti, microscopici e vicini al tribunale del capoluogo.

Questi due criteri insieme a quello dell’intangibilità delle Corti d’Appello, hanno generato della aberrazioni: ad esempio, la Regione Sicilia gode di ben 4 Corti d’Appello mentre il Lazio ne ha una soltanto; oppure si è mantenuto il Tribunale di Rovereto che dista solo 29 km da quello di Trento e si è soppresso quello di Sanremo che ha il doppio delle sopravvenienze medie di Imperia che, invece, resta!

Quindi, si è di fatto generata l’impossibilità di sopprimere e accorpare uffici di dimensioni inferiori agli standard individuati, ciò che ha avuto la conseguenza di restringere notevolmente l’ambito di intervento sul totale dei 165 tribunali esistenti in Italia, dei quali sono stati eliminati soltanto 31.

Ognuno di noi riesce a leggere ovviamente dietro questi due assurdi criteri gli interessi difesi questi sì, particolarissimi e localistici!

Ma trattiamo delle sezioni distaccate, riferendo i numeri statistici sinora non sufficientemente divulgati che danno ragione della riforma.

Gaeta, con una popolazione di 100.185 abitanti, un tasso di litigiosità pari al 3,6% aveva sopravvenienze medie (2006-2010) pari a 3.589, il che faceva di Gaeta una sezione distaccata di tutto riguardo.

Certamente, nel panorama nazionale, tra le sezioni distaccate soppresse ve ne erano molte con dati più significativi come Aversa con una popolazione di 241.657, un tasso di litigiosità pari 3,7% e 8.945 sopravvenienze, oppure Eboli con una popolazione di 200.566 abitanti, un tasso di litigiosità del 5,6% e 11.140 sopravvenienze o ancora Viareggio con 160.783 abitanti, 5.009 sopravvenienze e un tasso di litigiosità del 3,1%.

Ma a fronte di queste, tuttavia, ve ne erano di talmente microscopiche da non giustificare il mantenimento di un presidio e parlo, ad esempio, di Sapri con 428 sopravvenienze, Sorgono 274, Cavalese, Cervinara, Amalfi, Acri e decine ancora con sopravvenienze nel quinquennio esaminato tutte al di sotto delle 1000 cause!

Si può dire, quindi che, nell’ottica ministeriale e ragionieristica adottata, l’abolizione lineare di tutte le sezioni distaccate d’Italia, risponde a una ratio precisa, è stata equa e non può scontentare nessuno.

Senz’altro la riforma poteva essere “migliore”, più oggettiva e l’avvocatura avrebbe dovuto essere ascoltata. Ma, si sa, non c’è professione più individualista della nostra, sempre l’un contro l’altro armati ragion per cui molto a torto si parla di difesa di casta o di corporazione.

Ora, però, la felice riuscita della riforma poggia sull’intelligenza e sullo spirito di servizio di tre soggetti parte integrante della riforma stessa: magistrati, avvocati e politici del territorio. Dalla coesione e dalla unità di intenti di questi tre soggetti DEVE scaturire la possibilità di realizzare un sistema realmente efficiente che, imprescindibilmente, fonda sulla capacità di agevolare al massimo la capacità di ricezione del Tribunale di Cassino, sia dal punto di vista strutturale che dell’organizzazione e che consenta agli avvocati della soppressa sezione di Gaeta di poter adempiere al loro dovere nel migliore dei modi senza ulteriori oneri e disagi nell’interesse superiore e collettivo di una giustizia più vera e più immediata.

A questo punto, sono proprio i colleghi a doversi fare carico di individuare le condizioni che consentano loro di esprimere al meglio il loro mandato e proporre le soluzioni migliori perché ciò possa realizzarsi pienamente. Tutti gli avvocati del circondario devono sentirsi investiti dell’onere di costruire insieme una realtà sia sociale che giuridica migliore: essi non sono “ospiti” e dovranno sentirsi padroni in casa propria.

Molte sono le cose da fare e tra le prime ritengo doveroso che la classe forense del nuovo assetto territoriale, immediatamente impegni magistratura e politici ad occuparsi della lotta alla criminalità, avendo lo stesso Procuratore Generale riconosciuto il Basso Lazio, territorio ad altissima densità mafiosa. Occorre, quindi, l’impegno di tutti al fine di “potenziare” la Procura di Cassino, oggi asservita anche al sud pontino, affinché possa avere in coassegnazione, congiuntamente al PM delle DDA, o codelegate le inchieste in materia mafiosa, utilizzando ogni presidio di polizia provinciale e locale esistenti.

La modernità ci ha lanciato una sfida e ove non dovessimo cogliere questo dato storico non solo saremo tutti condannati a restare, nella migliore delle ipotesi, un piccolo aggregato di provincia al di fuori della realtà ma tradiremo anche il mandato costituzionale che è stato conferito alla nostra categoria, che non può ridursi semplicemente a svolgere correttamente la nostra attività di operatori della giustizia.

E’ questa, a mio avviso, la condizione imprescindibile per dare un senso all’accorpamento della sezione distaccata di Gaeta al Tribunale di Cassino. Ove ciò non avvenisse sarebbe sì snaturato il senso e la finalità della riforma ma significherebbe anche aver perso ancora una volta l’occasione giusta per “rilanciare” i nostri territori, garantendo l’attuazione dei principi di legalità e di pacifica convivenza.

Se è vero che l’Italia è la nazione dei mille campanili è, forse, il caso di fare un salto di qualità acquisendo l’idea di globalizzazione che nell’accezione migliore implica l’abbattimento di falsi confini e della stessa idea di alterità fra cittadino e cittadino.