Cerca

Un articolo di legge contro la censura sull’informazione

IL SABATO DEL VILLAGGIO

Un articolo di legge contro la censura sull’informazione

di Giovanni Valentini

sabato 18/05/2019
“La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
(dall’articolo 21 della Costituzione italiana)


C’è una forma subdola e occulta di censura preventiva che incombe tutt’oggi sulla libertà d’informazione, nonostante le garanzie sancite dall’articolo 21 della Costituzione. Subdola perché dissimula sotto false apparenze intenti e obiettivi non sempre lodevoli. Occulta perché in realtà nasconde, dietro motivazioni giuridiche più o meno legittime, un effetto intimidatorio che può valere – per così dire – “erga omnes”.

Parliamo delle richieste di risarcimento civile per danni, reali o presunti, in rapporto a una diffamazione a mezzo stampa. Una tendenza che va diffondendosi sempre di più, a complemento o in alternativa alla denuncia-querela sul piano penale. E viene adottata, spiace rilevarlo, soprattutto da parte di magistrati che si ritengono offesi nel loro onore o nella loro reputazione e perciò si affidano alla benevolenza dei colleghi giudici, godendo generalmente di una “corsia preferenziale” e spesso di generosi risarcimenti.

Si tratta di una forma di censura preventiva che scatta automaticamente non solo nei confronti del soggetto direttamente interessato, bensì di una pluralità di altri potenziali soggetti: cioè di tanti giornalisti, magari più giovani e meno tutelati, che possono sentirsi intimiditi da un’azione intentata contro un professionista più noto e protetto, con un grande editore alle spalle chiamato a rispondere in solido.

Secondo una stima di “Ossigeno”, l’associazione che fa capo ad Alberto Spampinato e Giuseppe Federico Mennella, al momento il “monte” complessivo delle richieste ammonta a 45,6 milioni di euro. Una spada di Damocle che pende sulla testa dei giornalisti, delle aziende editoriali e soprattutto dei cittadini che sono i veri titolari del diritto d’informazione.

A questo pericolo incombente, punta ora a porre rimedio il disegno di legge presentato al Senato da Primo Di Nicola, insieme ad altri parlamentari del Movimento 5 Stelle, in materia di “lite temeraria”: quella intentata cioè “con malafede o colpa grave”, ossia con la consapevolezza del proprio torto o con intenti dilatori o defatigatori. Al di là del pregio di essere costituita da un solo articolo, appena 16 righe, la proposta introduce una norma tanto chiara quanto drastica: nel caso in cui il ricorrente abbia torto in giudizio, viene condannato – oltre che al pagamento delle spese processuali – “a una somma, determinata in via equitativa, non inferiore alla metà della somma oggetto della domanda risarcitoria”.

Per fare un esempio personale: querelato a suo tempo da Mediaset per diffamazione (archiviato) e poi richiesto di un risarcimento di 50 milioni di euro per un’inchiesta sul mercato della pubblicità televisiva apparsa su Repubblica, con questa legge – dopo aver aspettato undici anni per essere definitivamente prosciolto – magari mi sarei arricchito e avrei potuto elargire anche una lauta beneficenza.

Non basta naturalmente la proposta del senatore Di Nicola per sottrarre la libertà d’informazione a tutti i rischi e i condizionamenti a cui è sottoposta. Ma è un primo passo concreto e può diventare un deterrente nei confronti di tanti faccendieri, speculatori, corrotti e corruttori che brandiscono come una clava querele e richieste di risarcimento nel tentativo di difendere la propria impunità. Non sempre per fortuna vi riescono, se è vero che – in base ai dati di “Ossigeno” – il 92% delle azioni giudiziarie finisce poi in archiviazioni o assoluzioni. A ogni modo, è meglio premunirsi per disinnescare la mina delle “liti temerarie” contro l’esercizio della libertà d’informazione.

2019 Editoriale il Fatto