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Trani, la Giustizia umiliata dai magistrati: indagato pure l’ex procuratore Di Maio, le accuse del pm minacciato

Trani, la Giustizia umiliata dai magistrati: indagato pure l’ex procuratore Di Maio, le accuse del pm minacciato

di Manuela Galletta

E’ un buco nero il Palazzo di Giustizia di Trani. Un pozzo della vergogna dove nel corso degli anni diversi magistrati hanno affogato gli interessi della giustizia per arricchire il proprio conto in banca. Carlo Maria Capristo, oggi procuratore di Taranto, è agli arresti domiciliari per fatti che sono accaduti proprio a Trani (dove è stato procuratore sino al 2017), già teatro di un vergognoso giro di corruzione e di addomesticamento di fascicoli giudiziari che ha portato all’arresto, e al processo, dei magistrati (radiati) Antonio Savasta e Michele Nardi.

Sotto accusa è finito anche l’ex capo della procura di Trani, Antonino Di Maio, che lo scorso febbraio ha perso la guida dell’ufficio giudiziario dopo che – a chiusura di una battaglia a colpi di carta bollata durata tre anni – il magistrato Renato Nitti è riuscito ad ottenere l’incarico che gli spettava nel 2007. A seguito della sentenza del Consiglio di Stato del novembre 2019, il plenum del Csm ha infatti dovuto revocare la nomina di Antonino Di Maio (che nell’aprile 2017 subentrò proprio a Capristo) e promuovere Nitti. Antonino Di Mio è indagato a piede libero ed è stato destinatario di un provvedimento di perquisizione: la procura della Repubblica di Potenza, che coordina l’inchiesta, gli ha contestato i reati di abuso d’ufficio e favoreggiamento.

Secondo la ricostruzione della procura potentina, Capristo – nel momento in cui ricopriva il ruolo di procuratore di Taranto – fece pressioni sul pm di Trani Silvia Curione affinché il magistrato perseguisse ingiustamente una persona per usura, allo scopo di aiutare gli imprenditori pugliesi Giuseppe, Cosimo e Gaetano Mancazzo (tutti ai domiciliari), mandanti della oscura trama: per spingere il magistrato ad adeguarsi al suo diktat, le prospetto ritorsioni sul marito, il pm Lanfranco Marazia in forza alla procura di Taranto.

Le pressioni sarebbero state materialmente esercitate da un ispettore di Polizia in servizio alla procura di Taranto, Michele Scivitarro, anche lui sottoposto agli arresti domiciliari. Scivitarro, per inciso, collaborava con Capristo già quando questi era a Trani. «Il 16 aprile 2018 sì è presentato nel mio ufficio Michele Scivittaro, agente della polizia di Stato che a Trani collaborava con il Procuratore dott. Capristo, con cui tuttora collabora presso la Procura di Taranto – è un passaggio della relazione del pm Curione – Io l’ho fatto accomodare proprio perché conosciuto in quanto tale. Dopo avermi cordialmente salutata e dopo avermi chiesto come andassero le cose a Trani, mi ha detto che era stato mandato dal dott. Capristo per la vicenda dei Mancazzo; mi riferiva, in particolare, che il 16 maggio era fissata un’udienza per la vendita di un immobile dei Mancazzo (…) e che, se nelle more fosse intervenuta un’imputazione per usura a carico di Cuoccio, i Mancazzo l’avrebbero potuta esibire (cito testualmente) in udienza al fine (a suo dire) di bloccare la procedura».

In quella occasione Scivitarro, si legge ancora nella relazione, «rappresentava la necessità che il fascicolo venisse definito con urgenza. Infine sosteneva che i fratelli Mancazzo erano intenzionati a chiedere il sequestro di alcuni effetti cambiari emessi in favore del Cuoccio. Io mi limitavo a riferire al predetto che avrei prontamente definito il fascicolo (in realtà avevo già approntato la richiesta di archiviazione che tuttavia non avevo ancora depositato, in attesa di avere certezza sulle utenze telefoniche effettivamente in uso agli interessati e oggetto di intercettazione) e che se i denuncianti avessero inteso chiedere il sequestro di effetti cambiari, avrebbero dovuto depositare apposita istanza».

In questo scenario si inserisce il ruolo di Antonino Di Maio. Il pm Silvia Curione non voleva saperne di usare la sua funzione come un’arma impropria, anche perché aveva iniziato a sospettare che i Mancazzo nascondessero qualcosa tanto da avere aperto un fascicolo su di loro in collegamento al procedimento di usura. Di più: dalle intercettazioni che aveva disposto sul conto dei Mancazzo si era resa conto che sia Scivitarro che Capristo avevano un ruolo nella trama. Così il pm Curione segnalò le pressioni subite al suo superiore, Di Maio, prima via WhatsApp, poi in un colloquio verbale e infine presentandogli una relazione di servizio. L’atto ufficiale è datato 24 luglio del 2018. Ebbene, Di Maio anziché tutelare il suo ufficio e il suo magistrato avrebbe deciso di «procurare l’impunità di Carlo Maria Capristo», tenendo alcuni «comportamenti omissivi», cioè non verificando se il Procuratore di Taranto fosse coinvolto nella vicenda del processo a carico di una persona estranea all’accusa di usura.

Uno spaccato vergognoso, che poggia su intercettazioni telefoniche e ambientali e che ha consentito agli inquirenti di delineare un’ampia rete di scambio di favori illeciti con al centro Capristo. Il procuratore di Taranto è infatti chiamato a rispondere, insieme all’ispettore di polizia Scivitarro, anche dei reati di truffa ai danni dello Stato e falso: l’ispettore risultava presente in ufficio e percepiva gli straordinari, ma in realtà stava a casa e svolgeva “incombenze” per conto del Procuratore.

Durissime le censure del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza che ha spiccato i provvedimenti restrittivi. «La condotta tenuta dal Capristo è da ritenersi un abuso della sua qualità di Procuratore della Repubblica, in quanto egli ha agito approfittando sia del fatto che il marito della Curione era sottoposto al suo potere gerarchico in quanto sostituto della Procura di Taranto e sia del fatto, notorio nell’ambiente tranese, che egli coltivasse ancora intensi legami in quella sede giudiziaria e in particolare con il collega Di Maio, in quel momento superiore gerarchico della stessa Curione», scrive il gip. Inoltre proprio il gip anticipa l’eventuale linea difesa secondo la quale quella di Capristo non era una richiesta per danneggiare volutamente il ‘rivale’ dei Mancazzo ma una raccomandazione a valutare in maniera imparziale e indipendente una storia che presentava profili di interesse: «La richiesta di Capristo, mediata da Scivittaro nell’interesse dei Mancazzo, non era una raccomandazione volta a far valutare il caso con particolare cura ed attenzione da parte del pm dott.ssa Curione, ma una vera e propria richiesta perentoria di definizione urgente del procedimento».

19 maggio 2020

fonte:https://www.giustizianews24.it/