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TERRAMARA | «L’alter ego» dell’ex sindaco e i suoi «burattini»

 

Dall’inchiesta su Taurianova emerge il ruolo del fratello dell’ex primo cittadino Romeo. Dalle forzature per un resort ai funerali con l’agenzia abusiva, dal Comune utilizzato come copertura alla banca “clandestina”. E il gip sottolinea «il ricorso alla violenza o alle minacce»

14 dicembre 2017

REGGIO CALABRIA «Da non sottovalutare la condotta del Sindaco che, allorché ha potuto, ha cercato di avvantaggiare ditte nelle quali il fratello Romeo Antonio aveva forti interessi economici. E da non sottovalutare è la stessa condotta di Romeo Antonio, fratello del Sindaco, pronto a beneficiare delle azioni amministrative illegittime dal primo cittadino caldeggiate e sostenute fino allo stremo». Per l’ex sindaco Domenico Romeo, il Comune di Taurianova era “cosa sua”. Da offrire in pasto ai clan, ma anche da usare per beneficiare la sua stessa famiglia e il fratello Antonio, anche lui finito in manette per concorso esterno. E per un motivo chiaro e netto.

L’ALTER EGO Antonio Romeo per il gip non è uno «spettatore della vita politica di Taurianova o mero consigliere, o al più confidente di un prossimo congiunto, con un importante ruolo politico» ma «l’alter ego del fratello e delle sue stesse mosse politiche. Le stesse scelte degli uomini di fiducia da cui il Sindaco doveva farsi circondare “passano” per Romeo Antonio. E le stesse scelte ovviamente non potevano non ricadere su persone dai trascorsi professionali oscuri, perché contigui alla criminalità, o comunque “burattine” del Sindaco». E Domenico Romeo – è emerso chiaramente dalle carte d’indagine – primo cittadino lo era diventato grazie agli accordi con i clan di Taurianova, pronti persino a festeggiare con paste e champagne la sua elezione e in grado di protestare con veemenza per essere stati snobbati.

UN’OMBRA IN COMUNE Una situazione di cui suo fratello Antonio non solo era perfettamente a conoscenza, ma che di fatto co-gestiva. È stato lui, ad esempio, a progettare insieme allo zio Marcello la manovra per esautorare il rigido e incorruttibile dirigente dell’ufficio tecnico, che ha negato le autorizzazioni richieste alle imprese dei clan e per questo tanto ha dato fastidio al primo cittadino. Ed è stato sempre Antonio Romeo ad orchestrarla e a metterla in pratica, istruendo a dovere l’uomo scelto per arginare il funzionario troppo ligio ai suoi doveri, che insieme al fratello ha più volte intimidito e minacciato. «Per gli indagati de quibus – annota il gip – il ricorso alla violenza o alle minacce è stata sempre una costante», così come costante e inalterata è stata «la capacità dei fratelli Domenico e Antonio Romeo di relazionarsi con esponenti delle cosche locali». E di usare l’amministrazione come banca dei favori. O per gestire questioni molto personali.

QUEL RESORT NON S’HA DA FARE È successo, ad esempio quando i soci del Centro sportivo mediterraneo hanno iniziato a progettare di trasformare un fondo agricolo in struttura alberghiera, quindi in un resort con tanto di piscina e pista di go-kart. Un affare che ad Antonio Romeo interessava personalmente e in cui progettava di entrare grazie ad uno dei soci. Per questo, in un primo momento, ha fatto di tutto per forzare la mano al responsabile dell’Ufficio tecnico, che ancora una volta si è trovato obbligato a puntare i piedi per bloccare procedure illegali. Poi, quando i soci della Scm hanno risposto picche alla sua proposta di entrare in società con 500mila euro che «Antonio Romeo – mette a verbale un testimone – si era procurato, distraendolo dai contributi erogati dallo Stato ed accreditati ad un agricoltore», l’atteggiamento del Comune è cambiato. Quando l’affare per il fratello è sfumato, il sindaco non solo si è allineato diligentemente alla posizione dell’ufficio tecnico comunale, ma ha portato la questione in Consiglio sottomettendola al voto dell’assemblea.

FUNERALI CLANDESTINI Ma pur di favorire gli affari di Antonio Romeo, il sindaco ha fatto anche di più. Come “non accorgersi” che il fratello gestiva un’agenzia di pompe funebri in tutto e per tutto abusiva perché priva della benché minima autorizzazione. E sebbene intestata a prestanome, sottolineano gli inquirenti, non c’è dubbio alcuno che a gestirla Romeo. «Sua – si legge nell’ordinanza – era l’utenza fissa utilizzata nello svolgimento dell’attività per i rapporti con i clienti e dipendenti; sua era la partita iva utilizzata per le fatturazioni (per altro corrispondente a quello di una ditta individuale con oggetto sociale “colture miste viticole, olivicole e frutticole ” ndr); presso il suo terreno venivano custodite le casse da morto; Romeo era “riconosciuto” come il proprietario di fatto dell’impresa tra i cittadini taurianovesi». Insomma, l’agenzia di pompe funebri “La Beata” era in tutto e per tutto abusiva. E persino priva di mezzi, tanto da aver più volte trasportato le bare in un normale veicolo o con un mezzo di trasporto delle merci.

L’ULTIMO (ACCIDENTATO) VIAGGIO Il sindaco però a quanto pare non se n’è mai accorto. E neanche il resto della Giunta o della maggioranza. Ma forse questo non è un caso se è vero che tra i portantini c’era il consigliere di maggioranza Giuseppe Laface e a coordinare le attività ci pensava Fabio Condrò, fratello di Antonio, membro dello staff del sindaco e suo uomo di fiducia. Rapporti in virtù dei quali la ditta ha preteso di poter prelevare una salma a Cosenza per tumularla a Taurianova, senza uno straccio di certificato di morte e contando sulle complicità in paese per “aggiustare” tutto. Ma le cose non sono andate come immaginavano e dopo il funerale la salma ha dovuto fare un altro viaggio a Cosenza, prima di poter essere finalmente seppellita a Taurianova. Un “intoppo” di cui avrebbero fatto le spese diversi dirigenti comunali, puniti con spostamenti ad altri incarichi e mansioni perché sospettati di aver segnalato le anomalie della “Beata” alle forze dell’ordine. Tutte circostanze che per il gip significano che Antonio Romeo ha utilizzato «il Comune di Taurianova quale “copertura” all’attività imprenditoriale nel settore delle onoranze funebri, consapevole sia delle irregolarità a livello formale che sostanziale con cui la ditta “La Beata” opera, nonché del fatto che il fratello Sindaco, su cui gravava l’onere dei controlli in materia di polizia mortuaria, li avrebbe puntualmente omessi».

ATTIVITÀ DI COPERTURA Ma l’agenzia di pompe funebri non era l’unica attività “clandestina” del fratello del sindaco. Anche la pizzeria “La Corteccia” – diceva tutto il paese e confermano gli investigatori – era di fatto in mano ad Antonio Romeo, il cui chiaro intento – sottolinea il gip – era «evitare ripercussioni a livello patrimoniale conseguenti ad eventuali inchieste giudiziarie». Per il giudice, il fratello del sindaco «è un imprenditore nei fatti , che peraltro non opera rispettando le regole del mercato, che si occupa di molteplici attività, dai servizi funebri alla ristorazione, in modo occulto. Si fa forte dei legami e della vicinanza con personaggi appartenenti ad ambienti criminali e dell’ausilio “politico” derivante da una Giunta guidata dal fratello Domenico, contigua alle cosche di ‘ ndrangheta». Antonio Romeo, «soggetto – si legge nell’ordinanza – a disposizione delle cosche di ‘ ndrangheta taurianovesi – in primis la cosca Zagari-Viola-Fazzalari, laddove “richiesto”», per i magistrati aveva bisogno di schermare le proprie imprese per metterle al riparo da confische e sequestri «con l’ulteriore vantaggio di poter operare con l’ausilio del Comune di Taurianova, permeato da istanze mafìose, senza che balzasse agli occhi l’illegalità dei benefici ricevuti , in ragione de l legame parentale con l’ex Sindaco».

BANCA ABUSIVA Ma le diverse imprese intestate a prestanome evidentemente non bastavano a soddisfare gli appetiti del fratello del sindaco, attivo anche come banca “clandestina” e spietata. «Era solito – si legge nell’occ – presentarsi, dapprima, come ” benefattore” di cittadini in difficoltà economiche, ma successivamente non esitava a spossessarli dei loro beni immobili per estinguere obbligazioni conseguenti ad illegali operazioni di mutuo». E se non potevano pagare, li costringeva a vendere a prezzi stracciati case e terreni in loro possesso. A convincerli, almeno in un’occasione, è stato mandato Domenico Mezzatesta, condannato ad una lunga detenzione per mafia, sposato con la sorella del boss ergastolano Santo Asciutto, ma anche cugino di secondo grado del sindaco e del fratello. E ai parenti non si può dire di no.

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

 

fonte:https://www.laltrocorriere.it/