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Taranto, 35 arresti per associazione mafiosa. Il boss Di Pierro: “La città è nostra”Taranto, 35 arresti per associazione mafiosa. Il boss Di Pierro: “La città è nostra”

La Repubblica, Martedì 21 Giugno 2016

Taranto, 35 arresti per associazione mafiosa. Il boss Di Pierro: “La città è nostra”Taranto, 35 arresti per associazione mafiosa. Il boss Di Pierro: “La città è nostra”
Omicidi, estrorsioni, droga e armi: la Dda di Lecce ha smantellato il clan egemone nel centro storico. Cinque pistole e alcuni reperti archeologici recuperati durante il blitz

di VITTORIO RICAPITO

TARANTO – “Taranto è nostra”, ripetono le nuove leve della mafia ignare di essere intercettate. Le mani della mala sono ovunque: armi, droga, estorsioni ai danni di ristoratori e negozianti. Tre clan prima in guerra si erano coalizzati in nome di una pax mafiosa. “La mafia tarantina non è Sacra corona unita”, spiega il procuratore antimafia Cataldo Motta, “ma usa riti della ndrangheta”.

Ottobre 2015. A casa del boss Cosimo Di Pierro la polizia ha installato una microspia sfuggita alle bonifiche effettuate da un tecnico assoldato dal clan (arrestato per concorso esterno) e ascolta in diretta il rito di elevazione al grado di ‘santa’ per Di Pierro concessa da Ignazio Taurino, indiscusso boss col grado più alto a Taranto. È presente anche Cosimo De Leonardo, detto ‘zio Mimmo’, sfuggito alla cattura.

Il rito prevede il giuramento col sangue attraverso una puntura sul dito, ma Di Pierro, che soffre di diabete, propone di utilizzare lo stick glicemico per compiere il rito. Poi il sangue viene fatto colare su un santino bruciato e il mafioso legge la formula del rito invocando Mazzini, Garibaldi e Lamarmora (di cui sbaglia il nome). Il rito è compiuto e Di Pierro ha il grado di ‘santa’. Più avanti si vanterá di aver ricevuto anche quello di ‘vangelo’ per far pesare la sua mafiosità e spillare più denaro con le richieste estorsive.

Anche una donna vuol far parte del clan e chiede a Di Pierro di essere ‘battezzata’, ma il boss le risponde che “le donne non ricevono gradi nell’organizzazione”. Sono 33 i fermati dalla squadra mobile di Taranto su ordine di Procura e Antimafia: quattro persone sono sfuggite alla cattura. Misure, spiegano gli investigatori, dettate dall’urgenza perché molti indagati stavano per fuggire.

I fermi saranno convalidati dal giudice per le indagini preliminari di Taranto. Una foto istantanea della situazione fluida della mafia tarantina e dei suoi affari. Tre clan – Di Pierro, Diodato e Pascali – prima in conflitto e poi in affari. Almeno tre gli attentati dinamitardi ad alto potenziale sventati dagli investigatori grazie alla cimice piazzata a casa di Di Pierro, con la quale gli agenti ascoltavano in diretta la pianificazione di attentati e sparatorie.

“Uno spaccato inquietante della criminalità – spiegano il procuratore antimafia Motta e il procuratore di Taranto, Carlo Capristo – che dimostrano come trent’anni dopo le sanguinose guerre di mala non sia cambiato molto e sia ancora necessario fare prevenzione”. “Escono dal carcere troppo velocemente – commenta Motta – si lasciano dimagrire in carcere per ottenere i domiciliari per motivi di salute”.

Il clan aveva anche un tecnico specializzato nella ricerca di microspie piazzate dagli investigatori, Francesco Micoli, già arrestato per lo stesso motivo e condannato a cinque anni di reclusione in primo e secondo grado. In una intercettazione l’uomo, accusato di concorso esterno, si vanta della sua detenzione per ottenere fiducia dal clan e aumenta gli anni della condanna sostenendo di essere stato condannato a nove anni anziché cinque.