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Prende le mosse da Reggio Calabria l’antimafia “buona” verso i lavoratori Prende le mosse da Reggio Calabria l’antimafia “buona” verso i lavoratori di Mario Meliadò È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 4 novembre la legge n. 161 del 17 ottobre scorso, decisamente più nota come “nuovo Codice antimafia”. Un risultato significativo, ottenuto dopo “solo” quattro anni di lavori parlamentari e tre letture da parte di Camera e Senato. I commi 6 e 7 dell’articolo 11 della novella legislativa (che introduce nel pregresso Codice antimafia un articolo 34-bis nuovo di zecca che istituisce il “controllo giudiziario delle aziende”) prevedono che le stesse imprese colpite da interdittiva «che abbiano proposto l’impugnazione» del provvedimento prefettizio possano chiedere direttamente «l’applicazione del controllo giudiziario» previsto al comma 2 al Tribunale, che – sentiti il procuratore distrettuale e gli altri interessati –potrà disporre, per un periodo da uno a tre anni, l’amministrazione giudiziaria volta, tra l’altro, a prevenire ogni possibile condizionamento mafioso (amministrazione straordinaria su cui però pende la “spada di Damocle” di una possibile revoca, in base alla relazione dell’amministratore giudiziario, con eventuale inasprimento del quadro tramite misure di prevenzione aggiuntive a carattere patrimoniale). Per le aziende coinvolte, ne deriva una conseguenza più che positiva: il provvedimento che disponga l’amministrazione giudiziaria ex art. 34 o il controllo giudiziario appena citato «sospende gli effetti» previsti dall’articolo 94 del preesistente Codice antimafia (decreto legislativo n. 159 del 2011), in particolare laddove prevede che Enti e stazioni appaltanti «non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni». Una misura potenzialmente determinante, per salvaguardare i livelli occupazionali. E in effetti, proprio la ricaduta sui lavoratori era la previsione legislativa del Codice antimafia più ferocemente oggetto di (fondate) critiche. Tuttavia pochi sanno che, in buona misura, il ribaltamento di questo spigolo codicistico “parte” proprio da Reggio Calabria; da quella Reggio così fittamente penetrata dallo strapotere ‘ndranghetistico e dalla legge del “pizzo”, proprio da quella Reggio così duramente colpita da un nugolo d’interdittive abbattutesi su centinaia d’imprese ed esercizi commerciali. Il 30 agosto dello scorso anno il Consiglio comunale reggino approvò infatti l’ordine del giorno numero 9 (primo firmatario Riccardo Mauro), ben chiaro negli scopi fin dall’oggetto: “Iniziative per la tutela dei livelli occupazionali dei lavoratori delle imprese colpite da interdittive antimafia”. Già in relazione, il consigliere di “Reset” Filippo Burrone aveva evidenziato che – come da preambolo dell’atto – l’interdittiva va considerata un «giusto provvedimento» per «liberare l’economia» dalle infiltrazioni mafiose, certo. Che però di fatto produce conseguenze inique, spesso determinando il «licenziamento coatto dei lavoratori delle aziende che hanno rapporti con la Pubblica amministrazione»; mentre in una realtà come quella reggina, già gravata da un intollerabile tasso di disoccupazione, «ogni posto di lavoro va difeso “con le unghie e con i denti”». In questo senso, era in qualche modo d’aiuto la già prevista possibilità d’attivare «una straordinaria e temporanea gestione attraverso commissari prefettizi» per le aziende colpite da interdittiva antimafia, nei casi di «urgente necessità d’assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto» sanciti dall’art. 10 della legge 90/2014. L’idea dell’Amministrazione comunale era d’estendere la previsione di legge anche ai casi d’esecuzione «non indifferibile», e questo soprattutto per evitare un implicito imprimersi nell’immaginario collettivo della ‘ndrangheta quale principale datore di lavoro, come ironicamente evocata da Fabrizio De Andrè in un celeberrimo concerto del ’98 a Roccella Jonica. «Non deve passare il messaggio che “con le mafie si lavora e con lo Stato no”», recita testualmente un passaggio dell’atto approvato a voti unanimi in sede consiliare. Un ordine del giorno che, nel breve dispositivo, impegnava il sindaco Giuseppe Falcomatà a trasmettere l’atto (e il resoconto di seduta) al “tavolo” nazionale dell’Anci (l’Associazione nazionale dei Comuni italiani) e a chiedere direttamente al Governo centrale «d’estendere analogicamente l’applicazione della normativa di straordinaria e temporanea gestione» e anche di «valutare un aggiornamento della normativa», in modo che le varie interdittive antimafia colpiscano con giusta severità ogni gestione aziendale “malata”, senza simultaneamente affondare i lavoratori incolpevoli. I Palazzi “che contano”, solitamente sordi – specie al grido di dolore che arriva costantemente dai soggetti meno tutelati e dai territori di frontiera –, stavolta sembrano averci sentito benissimo. Articoli correlati: La posizione del Consiglio Comunale http://ildispaccio.it/reggio-calabria/119596-reggio-consiglio-approva-mozione-su-interdittive-antimafia-ma-la-citta-non-c-e Sabato, 25 Novembre 2017 fonte:http://ildispaccio.it

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