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Strage di Pizzolungo: un ”sistema” ha nascosto la verità

Strage di Pizzolungo: un ”sistema” ha nascosto la verità

Luca Grossi 02 Aprile 2021

Da 36 anni riecheggia nella mente di Carlo Palermo il rumore di quell’esplosione che il 2 aprile del 1985 si portò via le vite di Barbara Rizzo e dei suoi due bambini, Giuseppe e Salvatore Asta.

Dopo la catastrofe passarono interminabili minuti prima che l’allora giudice Palermo si rendesse conto di ciò che accadde. L’autobomba era lì per lui. Ma morirono tre persone innocenti. Le perizie parleranno di quell’attentato come di “una coincidenza di tempi composti irripetibile”. Ma chi volle uccidere l’allora giudice Carlo Palermo? E perché?

Dietro le quinte di una tragedia
Per comprendere il contesto della Strage di Pizzolungo occorre rimettere insieme i pezzi di un mosaico volutamente fatto a pezzi da quel “sistema criminale” su cui indagò Carlo Palermo.

Le indagini portarono ad un quadro estremamente vasto che abbracciò tutto lo stivale Italiano, da Trento a Trapani, tutta l’Europa dell’Est arrivando in Russia, e ancora, il medio Oriente, il Libano e la Turchia, fino agli Stati Uniti. Tutti legati dal filo mortale del traffico di droga e di armi.

Ma andiamo per ordine.

Fu il 22 novembre del 1979 quando Asim Akkaia, un cittadino di origine turca si presentò alla questura di Milano, diretta dall’allora dirigente della Mobile Enzo Portaccio rivelando che la città di Trento costituì il punto di congiunzione tra la mafia turca e quella siciliana nell’ambito del traffico di eroina.

Nello specifico si parlò del Karinal e del Romagna, due alberghi di Trento – appartenenti a Karl Kofler cittadino italiano di origine altoatesina – nei quali si smistavano i carchi di morfina base proveniente della Turchia destinati alle raffinerie siciliane e quindi al mercato italiano e statunitense. Le indagini, che iniziarono l’anno seguente, condussero al più grande sequestro di morfina base ed eroina del tempo, 200 chilogrammi, nelle zone di Trento, Bolzano e Verona.

A questo punto dell’iter giudiziario si scoprì che Kofler fu in stretti rapporti con Wakkas Salah al – Din, garante arabo per i siciliani Gaetano Badalamenti, Gerlando Alberti, i fratelli Grado e Salvatore Riina.

Emerse poi che ingenti flussi di armi presero la strada del Medio Oriente come possibile pagamento per i carichi di morfina.

Contemporaneamente le indagini del giudice Giovanni Falcone smascherarono le raffinerie di Trabia e Carini rifornite dalla stessa organizzazione trentina. Anche in questo caso la portata delle indagini si distribuirono dall’Austria, alla Germania, Svizzera, Jugoslavia, Turchia, Bulgaria e anche in tale ambito si andò ad individuare traffici occulti di armi e petrolio tra il nostro paese e la Libia. Oltretutto si andò a toccare il collegamento che ci fu tra i servizi segreti italiani, americani e orientali nella compravendita di armamenti. Da qui in avanti il giudice Palermo divenne protagonista diretto di un teatrino atto a fargli cambiare il corso delle indagini.

Le ombre delle logge sulla strage di Pizzolungo
Il 17 febbraio del 1985, dopo essersi scontrato per cinque anni con mafiosi, massoni deviati, agenti dei servizi segreti italiani e stranieri, e dopo aver subito il diktat romano che fece trasferire le sue indagini a Venezia, Carlo Palermo, su sua richiesta specifica , prese servizio presso la Procura della Repubblica di Trapani e il suo primo atto in quella sede fu la trasmissione di documenti riguardanti la fornitura alla Libia di tre containers contenenti materiale elettronico rigenerato collegati a un tale Antony Gabriel Tannoury, un libanese residente a Parigi considerato al tempo il braccio destro di Gheddafi.

Il 2 aprile dello stesso anno accadde la tragedia. Un martedì mattina, Barbara Rizzo usci dalla sua casa a Pizzolungo poco dopo passate le 8.00, per accompagnare a scuola i figli, Giuseppe e Salvatore Asta, di sei anni. La sua macchina venne superata da quella del giudice Palermo, sulla curva del pezzo di strada che da direttamente sulla costa, lì venne parcheggiata una Volkswagen carica di esplosivo che in quel preciso momento venne fatta esplodere. Questione di attimi. Barbara, Giuseppe e Salvatore morirono. La loro macchina fece da scudo a quella di Palermo, che si salvò, insieme agli uomini della scorta. Ciò che rimase di uno dei gemelli fu una macchia di sangue su un muro. La terza figlia della signora Barbara, Margherita Asta, quel giorno si salvò perché, come ricordò lei stessa in un’intervista “quella mattina chiesi a mia mamma di poter andare a scuola con una vicina di casa, io avevo 10 anni”.

Circa un mese più tardi venne scoperto ad Alcamo, in provincia di Trapani, il più grande laboratorio di morfina base d’Europa, sotto il controllo di Cosa Nostra e rifornito sempre dalla stessa organizzazione operante a Trento. Nel 1986, poco dopo il trasferimento del giudice Palermo a Roma (come funzionario del Ministero di Grazia a Giustizia), venne scoperta a Trapani, nascosta dietro la facciata del Centro studi “Scontrino”, una serie di logge massoniche coperte. Sede di incontri tra massoni, templari, politici, mafiosi – tra cui quelli indiziati di aver partecipato all’attentato di Pizzolungo – e dell’Associazione musulmani d’Italia presieduta dal sostituto in Sicilia di Gheddafi.

Negli anni successivi vennero portati al rinvio a giudizio boss mafiosi del calibro di Salvatore Riina e Vincenzo Virga, accusati di essere i mandanti della strage, mentre Baldassare di Maggio e Antonino Madonia vennero accusati di aver portato a Trapani l’esplosivo Brixia B5 impiegato nell’attentato. Nel 2002 Riina e Virga vennero condannati all’ergastolo la stessa pena venne inflitta anche nel 2004 a Baldassare Di Maggio mentre Antonino Madonia venne assolto. Un nuovo processo individuò Vincenzo Milazzo, Gioacchino Calabrò e Filippo Melodia come esecutori materiali della strage ma non più processabili in quanto irrevocabilmente assolti nel primo processo a Caltanissetta. Il 13 novembre del 2020 al processo “quater” sull’attentato, il boss dell’Acquasanta, Vincenzo Galatolo, oggi al 41 bis, venne condannato a 30 anni in qualità di mandante della strage.

Ad oggi quindi non si sa ancora chi siano stati gli esecutori materiali della Strage e se con loro agirono in sinergia altre entità nascoste.

La strage di Pizzolungo rientra a pieno titolo in quella categoria di omicidi preventivi che hanno lo scopo preciso di fermare un soggetto – in questo caso Carlo Palermo – che con le sue inchieste andò a toccare i delicati fili del traffico di droga e delle armi legati a loro volta a dei soggetti “cerniera” che fungono da collegamento tra il mondo mafioso e quello delle istituzioni regolari.

Fu solo la mafia ad agire quel giorno? I massoni di Trapani ebbero un ruolo? E perché le indagini del giudice Palermo vennero bloccate dal diktat Capitolino?

Sono domande che a distanza di 36 anni esigono una risposta.

 

Fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/228-cosa-nostra/83052-strage-di-pizzolungo-un-sistema-ha-nascosto-la-verita.html