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SIAMO SOLO ALL’INIZIO: Trattativa Stato-mafia, altra inchiesta Palermo indaga sul boss Graviano

Il Corriere della Sera, 21 Aprile 2018

Trattativa Stato-mafia, altra inchiesta Palermo indaga sul boss Graviano

Secondo il capo d’accusa prospettava «l’organizzazione di stragi» per impedire o «comunque turbare» l’attività del governo. Un ricatto che avrebbe commesso insieme a «esponenti politici di primo piano tra i quali Dell’Utri Marcello».

di Giovanni Bianconi

L’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia non è finita con le condanne inflitte dalla corte d’assise. A parte i successivi gradi di giudizio, c’è una nuova indagine aperta dalla Procura di Palermo per lo stesso reato — minaccia o violenza a un Corpo politico — a carico di Giuseppe Graviano, il boss delle stragi arrestato nel gennaio 1994, rimasto finora fuori dal processo. Un anno fa i pubblici ministeri Vittorio Teresi, Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia sono andati a contestarglielo nel carcere dov’è rinchiuso al «41 bis».

Nel capo d’accusa provvisorio è scritto che il capomafia «usava minacce e violenza prospettando l’organizzazione o l’esecuzione di stragi, omicidi e altri gravi delitti per impedire o comunque turbare» l’attività del governo. È la sintesi del ricatto mafioso alle istituzioni (nuove bombe se non si attenuavano le politiche antimafia) che Graviano avrebbe commesso insieme a Riina, Bagarella e «esponenti politici di primo piano tra i quali Dell’Utri Marcello». Ecco dunque che il nome dell’ex senatore di Forza Italia torna nella ricostruzione sui presunti «patti indicibili» tra boss e uomini dello Stato. Con tutto ciò che ne consegue sul piano del possibile coinvolgimento del «Berlusconi politico» evocato l’altro ieri dal pm Di Matteo.

Le presunte relazioni tra Dell’Utri e Graviano furono uno dei punti chiave delle rivelazioni di Gaspare Spatuzza, il pentito che nel 2008 ha riscritto la storia della strage di via D’Amelio. L’ex mafioso, già legatissimo a Graviano, è stato considerato attendibile da una moltitudine di sentenze, tranne quella definitiva in cui Dell’Utri è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Quel verdetto escluse rapporti tra l’ex senatore e la mafia successivi al ‘92, nonostante Spatuzza avesse riferito le confidenze di Graviano secondo cui, grazie agli accordi con Berlusconi e «il nostro paesano Dell’Utri», i boss «si erano messi il Paese nelle mani».

Una decisione che pesò sulla decisione di lasciare fuori Graviano dal processo appena concluso in primo grado, ma poi altri elementi hanno convinto gli inquirenti ad avviare un procedimento anche nei suoi confronti. In particolare le intercettazioni dei colloqui in carcere con un compagno di detenzione, nella primavera 2016; quelle in cui diceva, tra l’altro, «Berlusca mi ha chiesto questa cortesia…», riferita presumibilmente al periodo 1992-93, che hanno offerto lo spunto per riaprire a Firenze le indagini per concorso in strage a carico di Berlusconi e ancora di Dell’Utri (dopo due archiviazioni).

Quelle intercettazioni sono entrate pure nel processo di Palermo, e ora la condanna di Dell’Utri per aver trasmesso il ricatto mafioso al governo Berlusconi nel ’94 potrebbe dare nuova linfa all’inchiesta su Graviano, strettamente connessa alla figura dell’ex senatore. Tutto dipenderà da ciò che scriveranno i giudici nelle motivazioni della sentenza (saranno note fra tre mesi), e una delle parti più attese è proprio quella relativa a Dell’Utri. Anche per le ripercussioni politiche che ha avuto e potrà avere. Bisognerà infatti capire come la corte abbia superato il giudizio definitivo di assoluzione per i fatti successivi al 1992, peraltro dopo aver escluso che fino al ‘94 la trattativa sia stata condotta anche da lui (insieme ai carabinieri del Ros), come invece sosteneva la Procura.

Ma se molti sono rimasti sorpresi dalla sua condanna, lui no. L’ex senatore detenuto nel carcere Rebibbia, che ieri ha ricevuto la visita del suo avvocato Giuseppe Di Peri, non si aspettava niente di buono da una corte palermitana, né si faceva illusioni per un processo che peraltro non ha mai voluto seguire, tanto lo considerava «astruso». L’esito non cambia il giudizio dell’imputato-condannato, nonostante il clamore suscitato da un verdetto arrivato nel pieno delle trattive per la formazione del nuovo governo.