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Siamo in piena emergenza “legalità” ed i partiti, anziché rinnovarsi, riesumano i vecchi scarponi, chiudendosi a riccio nelle vecchie burocrazie e nei vecchi modelli di potere

C’E’ UN’EMERGENZA “LEGALITA’” NEL PAESE CHE ASSUME SEMPRE MAGGIOR RILIEVO MAN MANO CHE SI SCENDE AI PIANI BASSI, NELLE REGIONI, NELLE PROVINCE, NELLA PERIFERIA INSOMMA, EMERGENZA CHE I PARTITI NON SEMBRANO VOLER AFFRONTARE

Si perpetuano vecchi schemi, si rendono eterni vecchie burocrazie ed apparati obsoleti, si attualizzano metodi e soggetti mummificati ed incapaci di leggere ed interpretare una realtà in perenne trasformazione.

Gente supermedagliata, che ha goduto di premi e privilegi negli anni e che vuole a tutti i costi continuare a goderne, insensibile a quell’esigenza di cambiamento che tutti predicano ma che nessuno pratica.

La res pubblica intesa come res privata.

Il male del nostro Paese e delle nostre province.

Non ci interessano i sommovimenti interni ai partiti, gli intrighi, le rivolte, le occupazioni manu militari degli spazi di potere.

Ci interessa, però, il “quadro” generale che si determina, perché, poi, questi soggetti ce li ritroviamo nelle istituzioni, a gestire la cosa pubblica, a governare, a determinare il corso delle cose.

Si tratta di quel ceto, fatta qualche rara eccezione, responsabile, oggettivamente o soggettivamente, dell’occupazione mafiosa dei nostri territori; di quei soggetti i cui nomi, in parte, talvolta troviamo citati nelle indagini dell’Autorità Giudiziaria per reati associativi o comuni; di quella gente che non si pone il problema del buon governo inteso nel senso alto della parola e della lotta al malaffare ed alle mafie; di quella gente, cioè, che, anche se richiami al senso di responsabilità di fronte alla realtà, è capace di risponderti che… le mafie… non esistono…

Quello che sconcerta e che lascia, purtroppo, scarse speranze di un reale cambiamento delle cose del nostro Paese e dei nostri territori è il fatto che questi sepolcri imbiancati riescono ancora a calamitare consensi di truppe cammellate abbastanza numerose.

E’ quella cultura “mafiogena” di cui noi parliamo da anni e che comincia ad essere la cultura dominante del Paese, anche per colpa di coloro che avrebbero potuto e dovuto svolgere un ruolo di contrasto.

Ma qui entriamo in un campo che ci porterebbe lontano da quello nostro che è e resta esclusivamente quello della lotta alle mafie, tutte le mafie, militari, politiche, economiche e così via.

Una domanda, però, sentiamo di porci e di porre: riteniamo ancora di possedere tutte le qualità culturali, morali e politiche per continuare a definirci un pezzo dell’Europa o, al contrario, cominciamo a temere che stiamo marciando a tappe forzate in direzione di un modello sudamericano?