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Scafati, inchiesta su clan e politica niente carcere per Aliberti

Il Mattino, Mercoledì 8 Marzo 2017

Scafati, inchiesta su clan e politica niente carcere per Aliberti

di Petronilla Carillo

Caso Aliberti: i giudici della Corte di Cassazione sono rimasti chiusi in camera di consiglio fino a tardi ed hanno deciso di accogliere la richiesta del Procuratore generale. Ovvero il rinvio degli atti al Riesame per una rideterminazione delle motivazioni con le quali si chiede l’arresto per Pasquale Aliberti e dei due Ridosso. Decisione contestuale alla bocciatura dell’ordinanza di custodia cautelare. Gli stessi giudici hanno invece respinto tutte le altre richieste dei difensori e anche l’appello del pubblico ministero che chiedeva il riconoscimento di una serie di imputazioni anche a carico di Nello Aliberti, fratello dell’ex sindaco. Nel collegio difensivo gli avvocati Agostino De Caro, Michele Sarno, Pierluigi Spadafora, Antonio D’Amaro.
Intanto ricostruiamo la storia dell’inchiesta che ha travolto l’ex sindaco di Scafati. La bufera giudiziaria su Pasquale Aliberti si abbatte il 18 settembre del 2015 quando è il pubblico ministero antimafia Vincenzo Montemurro in persona a consegnare cinque avvisi di garanzia: al sindaco Pasquale Aliberti, alla moglie, il consigliere regionale Monica Paolino; al fratello di Aliberti, Nello, alla segretaria Immacolata Di Saia e allo staffista Giovanni Cozzolino. Gravissime le accuse per tutti: associazione mafiosa, voto di scambio, corruzione, concussione e abuso d’ufficio. Aliberti non arretra e avvia un procedimento di decadenza per potersi ricandidare al terzo mandato. A gennaio 2016 il progetto politico però naufraga. L’indagine prosegue. A marzo arriva la commissione d’accesso guidata dal vice prefetto Vincenzo Amendola. È il 18 giugno 2016 quando Montemurro rompe gli indugi e chiede l’arresto per Pasquale Aliberti, il fratello Nello, e i rampolli del sodalizio criminale Loreto–Ridosso: Alfonso Loreto e i cugini Gennaro e Luigi Ridosso. L’accusa è voto di scambio politico mafioso. L’istanza è rifiutata dal gip Donatella Mancini che configura la sola corruzione elettorale. Montemurro presenta appello al tribunale del Riesame. Intanto le indagini vanno avanti e gli iscritti nel registro degli indagati diventano una ventina.