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Rifiuti, la Cassazione conferma 18 anni a Chianese, l’«inventore delle ecomafie»

Il mattino

Rifiuti, la Cassazione conferma 18 anni a Chianese, l’«inventore delle ecomafie»

Martedì 19 Gennaio 2021

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 18 anni di carcere, per associazione camorristica e avvelenamento di acque, per l’imprenditore dei rifiuti Cipriano Chianese, ritenuto tra gli ideatori, per conto del clan dei Casalesi, del sistema delle ecomafie e dello smaltimento illecito dei rifiuti. Chianese (difeso dagli avvocati Giuseppe Stellato e Alfredo Gaito) è stato riconosciuto responsabile del disastro ambientale della discarica Resit di Giugliano in Campania, un impianto nel quale vennero fatti confluire con la regia della camorra rifiuti di provenienza lecita e illecita, in assenza di adeguate misure di controllo, determinando alla fine una situazione di gravissimo danno ambientale sul territorio

La Suprema Corte ha confermato le condanne emesse in Appello anche per gli altri tre imputati, in particolare per Filomena Menale (4 anni de mezzo), moglie di Chianese, che rispondeva di un capo relativo al riciclaggio, per il primo progettista della discarica Remo Alfani (10 anni), e soprattutto per Gaetano Cerci (15 anni di carcere), altro imprenditore dei rifiuti, ritenuti uno dei più attivi nel settore delle ecomafie per conto dei Casalesi, ovvero del clan facente capo al boss Francesco Bidognetti.

In secondo grado erano stati assolti invece dal processo l’ex sub commissario all’emergenza rifiuti in Campania Giulio Facchi (che era stato condannato in primo grado a 5 anni e 6 mesi), i funzionari pubblici accusati di aver favorito Chianese e tre imprenditori di origini casertane (Generoso, Raffaele ed Elio Roma, a cui in primo grado erano stati inflitti rispettivamente, 5 anni e mezzo ai primi due e sei all’ultimo).

La Cassazione, rigettando i ricorsi dei quattro imputati, ha comunque confermato quanto emerso in Appello, ovvero che alla discarica Resit vi fu un profondo e costante inquinamento prodotto da un traffico illecito di rifiuti, con la regia dei Casalesi. Determinante per accertare il grado di contaminazione della Resit, che permane ancora oggi, fu la perizia ordinata dal presidente del collegio giudicante d’appello Domenico Zeuli, che voleva una parola chiara e definitiva sulla questione centrale del processo, dopo che in primo grado Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e difese degli imputati si erano sfidati a colpi di consulenze tecniche che erano giunte a conclusioni differenti.

La perizia, firmata dai firmata professionisti torinesi Silvia Bonapersona (ingegnere ambientale), Cesare Rampi (chimico) e Stefano Davide Murgese (geologo ambientale), fu depositata il primo marzo 2017, e confermò che la contaminazione del suolo sottostante è ancora in atto, visto che «le acque meteoriche – si legge nel documento – continuano ad infiltrarsi nel corpo delle discariche generando un percolato che continua a compromettere la qualità dell’acqua di falda». I periti misero in risalto anche «l’assenza di adeguati presidi della matrici ambientali» e la circostanza che «non sono ancora completate le opere di messa in sicurezza permanente dei rifiuti mediante chiusura delle discariche»; ed evidenziarono «l’incompletezza delle informazioni disponibili circa natura e quantità delle varie tipologie di rifiuti conferite nel tempo…», e l’impossibilità di «effettuare valutazioni di tipo quantitativo circa la durata futura della contaminazione in atto».