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Ridotto in povertà dopo aver denunciato la ‘ndrangheta. Imprenditore calabrese aspetta il processo da 8 anni e vive con gli aiuti della Caritas

Ha denunciato il clan che l’aveva sottomesso in ogni modo, impedendogli di fatto di fare l’imprenditore. Ma, a distanza di 8 anni, Salvatore Barbagallo aspetta ancora l’inizio del processo. E, nel frattempo, ridotto in povertà, è costretto a vivere con l’aiuto della Caritas. A raccontare la sua storia, oggi, il Corriere della Sera.

“Ero alla disperazione”, dice oggi Barbagallo. Si riferisce a quando fece i nomi di una decina di esponenti dei Mancuso per una serie di reati ai suoi danni. Per anni lo avevano obbligato a scavare pozzi gratis sulle loro terre, quindi si sono impadroniti delle sue trivelle, infine avrebbero approfittato della bancarotta a cui l’aveva ridotto per sottrargli la casa in un’asta giudiziaria truccata.
Barbagallo è stato uno dei pochi imprenditori in questa parte d’Italia a parlare dell’oppressione che devasta l’economia, e lo ha fatto solo perché non sapeva più come conviverci.

Da allora, ha perso tutto. Non ha più l’azienda, lavora come badante e non ha ancora ottenuto il tanto atteso indennizzo riservato agli imprenditori che denunciano il racket.

Ha scritto a uffici di ogni tipo e la procura antimafia lo convoca regolarmente a testimoniare contro la ‘ndrangheta. Lui va, ma per una serie di vizi di forma e rinvii, i processi per i reati ai suoi danni restano bloccati. La prescrizione incombe. “Oggi combatto contro la fame e contro il tribunale di Vibo Valentia”, ha riassunto in una memoria al viceministro dell’Interno Filippo Bubbico.

Fondamentali per andare avanti le donazioni del Banco Alimentare, di una parrocchia e della Caritas. Salvatore Barbagallo si aspettava, in realtà, l’aiuto dello Stato. Ma, nonostante la legge preveda un Fondo per le vittime del racket e dell’usura, il sostegno non è ancora arrivato. E quello di Barbagallo non è un caso isolato.

I testimoni sottoposti a protezione sono 88, secondo le stime di questa primavera del ministero dell’Interno. Ma ormai sul lastrico, a volte scoprono che il ministero chiede loro di anticipare le spese del trasferimento verso una località sicura. Per gli indennizzi poi il percorso è anche più arduo: l’anno scorso le domande pendenti erano 692 (su decine di migliaia di casi di estorsione), quelle accolte 128.

L’iter burocratico è lungo e sfiancante.

È giusto che lo Stato cerchi di prevenire le truffe, ma per farsi aiutare dal fondo anti-racket oggi un imprenditore deve attraversare un vero e proprio labirinto: la denuncia in Procura, la domanda in Prefettura, l’istruzione della pratica, la convocazione dei comitati per quantificare i danni, l’inoltro al commissariato anti-racket di Roma, la valutazione dell’istruttoria, la conferma delle somme, il rinvio alla società pubblica che gestisce i pagamenti (Consap), che a sua volta fa una nuova istruttoria sulla posizione finanziaria del denunciante.