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Ricchi e poveri sempre più lontani. In Italia cresce la diseguaglianza economica. Questa, purtroppo, è la realta di un Paese sempre più nelle mani delle mafie!!!

In Europa siamo secondi solo alla Gran Bretagna per la disparità tra i redditi più alti e più bassi. E sempre più vicini al Messico

L’Italia si salva dalla bancarotta grazie alle famiglie e alle imprese

Il Belpaese si sta progressivamente staccando dall’Europa per avvicinarsi all’America centrale e settentrionale. Non stiamo parlando di un evento geologico che si sviluppa nell’arco di milioni di anni, ma di un fenomeno economico che si sta consumando in poco più di un decennio. E’ l’aumento della diseguaglianza economica, cioè la distanza i cittadini più ricchi e quelli più poveri del paese. Un divario in costante allargamento che ci allontana dai vicini europei – dove la tendenza è opposta – e ci avvicina a paesi come il Messico o gli Stati Uniti, dove le differenze sono molto più accentuate (anche per la sostanziale mancanza di un welfare che ridistribuisca la ricchezza sotto forma di servizi pubblici).

E’ una tendenza forse già percepita da molti ma confermata in pieno da un’inchiesta appena apparsa su la Repubblica: “La crisi ha accentuato le diseguaglianze e frantumato anche la middle class italiana. Siamo diventati tutti americani. E l’Italia, in termini di reddito, è un paese sempre più diseguale: ricchi e poveri, giovani e anziani, uomini e donne, nord e sud. L’eguaglianza non c’è più, né si ricerca, e le distanze si allargano”.

Sempre più lontani dall’Europa

E’ una sintesi spietata fatta sulla base di semplici numeri: in Italia il 10% più ricco della popolazione possiede una ricchezza 11,6 volte superiore al 10% più povero. Siamo ancora lontani dal rapporto 1 a 45 del Messico, ma in Europa siamo secondi solo alla Gran Bretagna che ha un rapporto di 13,8 volte. Tutti gli altri paesi sono più “equi” di noi: in Spagna il rapporto è di 10,3, in Francia di 9,1, in Danimarca di 8,1, in Germania – che ha anche dovuto superare il divario economico tra est e ovest dopo la riunificazione – scende addirittura al 6,9.

A preoccupare inoltre è il dato tendenziale. “In un decennio – evidenza sempre l’analisi di Repubblicale diseguaglianze si sono accresciute di oltre cinque punti. Il coefficiente Gini (un indice di misurazione della concentrazione della ricchezza: più è alto, più sono forti le diseguaglianze, n.d.r.) era 29 nel 1991, poi è salito al 34 nel 1993. E ora è al 35. Ma nulla fa pensare che si fermi lì. Anzi: tutto fa pensare il contrario. Altri paesi – la Spagna, per esempio – si sono mossi in direzione esattamente opposta”.

La diseguaglianza – come possiamo immaginare – è anche geografica. Spetta al Lazio, con il 33,9 di coefficiente Gini, il primato negativo della regione con più alto livello di diseguaglianza economica e sociale Italia. All’altro estremo della classifica troviamo il Friuli Venezia Giulia, la regione più “uguale”.

Un paese meno mobile

Se la ricchezza è concentrata sempre più nelle mani di pochi la mobilità sociale rallenta e diventa sempre più difficile migliorare le proprie condizioni di partenza. La Banca d’Italia nella periodica indagine su “I bilanci delle famiglie italiane” rileva addirittura che il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% dell’intera ricchezza netta delle famiglie.

Non si tratta ovviamente di trend inevitabili, di “leggi di natura”. Sono le politiche economiche dei singoli Stati che possono spostare l’ago della bilancia da una parte o dall’altra. Se oggi un giovane sotto i 30 anni – come ricordano Tito Boeri e Vincenzo Galasso nel loro libro Contro i giovaniguadagna il 35% in meno di chi ha tra i 31 e i 60 anni, mentre negli anni ’80 il divario era solo del 20%, è segno che la lotta alla diseguaglianza non è entrata nell’agenda politica degli ultimi vent’anni.

(Tratto da Virgilio Economia)