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Ragazzo ucciso a Napoli, allarme di don Aniello: “In piazza contro lo Stato, mai contro la Camorra”. Perché Napoli non si ribella di fronte alla violenza della camorra???

Una città costretta a sopravvivere. E le opinioni si dividono

Una città spaccata in due. Fisicamente. Per una protesta per il lavoro. Via Marina da una parte, via Chiatamone dall’altra. E poi transenne, Palazzo Reale avvolto da tubi innocenti. Crolli, buche, cornicioni a terra. E don Aniello Manganiello, prete di frontiera, che si scaglia contro la città: «Perché nessuno è sceso in piazza a danneggiare le macchine dei camorristi che ammazzano napoletani innocenti?».

 

Napoli noir. Un senso di morte. Morte civile e vite spezzate. Paura forse? «Probabilmente – risponde don Aniello – non ci sono cittadini che collaborano per individuare i sicari di omicidi mirati ma alle tre di notte spuntano a rione Traiano diversi testimoni. Attenzione a non insabbiare le prove, a inquinare l’accertamento dei fatti. Napoli sta perdendo inesorabilmente la percezione della legalità».

 

Napoli che protesta, che chiede giustizia e verità sulla morte di Davide. Che bella immagine ieri pomeriggio. Scende in piazza il comandante provinciale dei Carabinieri, Marco Minicucci, che, in divisa, si toglie il cappello esprimendo dolore e vicinanza per la morte del ragazzo ai giovani che sono arrivati in corteo a piazza Salvo D’Acquisto.

 

Chissà che questo gesto serva a siglare un armistizio. E poi armistizio tra chi? «Un conto è pretendere dalle forze di polizia che hanno il monopolio della violenza legittima un assoluto autocontrollo, e dunque è giusto criticare lo Stato quando viene perso l’autocontrollo. Un altro è assumere come bersaglio lo Stato e le sue articolazioni. Sento uno smottamento, uno scivolamento verso un crinale eversivo».

 

Il filosofo Roberto Esposito, coscienza critica di questa città alla deriva, non risparmia immagini forti, commentando quello che sta accadendo a rione Traiano e più in generale in città, dopo la morte del giovane Davide Bifolco: «Questa protesta che monta e sulla quale soffia un certo garantismo – insiste – rischia di essere strumentalizzata dai fiancheggiatori dei poteri criminali. La spirale che si è innestata è senza via d’uscita. Napoli non può più tollerare la contaminazione della violenza».

 

C’è chi parla di «guerra» in atto, come Paolo Siani, il fratello del giornalista Giancarlo, ucciso dalla camorra nella metà degli anni ’80. «A Napoli ci sono almeno cento famiglie che piangono i loro cari vittime innocenti degli errori sanguinari della camorra».

 

Una camorra che ha cambiato pelle, in questi anni. I boss in carcere, i pentiti e i morti ammazzati hanno impresso un formidabile turn over, uno svecchiamento generazionale, culturale. «Non parlerei di città in guerra – dice Filippo Beatrice, procuratore aggiunto del pool dell’antimafia che ha competenza su Napoli – ma quello che fa la differenza tra Napoli e le altre città è l’alto tasso di violenza. Sì, Napoli è una città violenta. Le famiglie esistono ancora. Le redini dei clan le hanno ormai saldamente in mano le ultime generazioni, i giovani ventenni violenti».

 

In una sintesi felice, la cantante Pietra Montecorvino paragona Napoli a una «città eccessiva».

 

Dichiara in premessa la sua indulgenza per Napoli, lo scrittore Raffaele La Capria: «Sono molto indulgente perché gli altri sono molto severi». Il suo è un atto d’amore per la sua città: «Napoli dovrebbe ricevere il Premio Nobel per la sopravvivenza. Si arrangia con grande intelligenza e umanità. È una città vivace, cordiale, amabile, gentile. Quello che è accaduto a rione Traiano è una reazione impropria che non sorprende. È l’antica legge che vuole lo Stato oppressore e il camorrista difensore. Le reazioni alla morte del ragazzo hanno spiegazioni lontane e complicate. Napoli è un po’ abbandonata a se stessa, alle proprie pulsioni. Città esclusa che si sente abbandonata. È sconfortante anche azzupparci il pane per aumentare la desolazione di Napoli».

 

Sparatorie, agguati. La camorra di oggi ha venature di nuovo gangsterismo metropolitano, ben diverso dalle band metropolitane etniche americane. «Qui la cultura mafiosa è talmente radicata – dice il procuratore aggiunto Beatrice – che non è più sufficiente l’azione di contrasto. C’è bisogno di una formazione della città partendo dalle fondamenta, dalla scuola».

 

Napoli è un po’ un serpente che si morde la coda. C’è sempre un sussulto delle coscienze. Buoni sentimenti, grande umanità, voglia di riscatto. Ma poi si torna al punto di partenza. Perché Napoli non si ribella alla violenza della camorra?

http://www.lastampa.it/2014/09/10/italia/cronache/ragazzo-ucciso-a-napoli-allarme-di-don-aniello-in-piazza-contro-lo-stato-mai-contro-la-camorra-hFuLups32RX9h4gGOMNlYK/pagina.html