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Quattro nazioni decisero a tavolino di fermare l’onorevole Aldo Moro

Quattro nazioni decisero a tavolino di fermare l’onorevole Aldo Moro

Il Caffè di Roma ha intervistato Giovanni Fasanella, giornalista di lungo corso e saggista. Durante gli anni di piombo ha lavorato per l’Unità nelle redazioni ‘calde’ di Torino e Roma, si è occupato di terrorismo, poi di politica e attività parlamentare. Alla fine degli anni ‘80 è passato a Panorama dove ha lavorato prima come quirinalista, durante il mandato del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga e Ministro dell’Interno durante la prigionia di Aldo Moro, e poi ancora come parlamentarista. In occasione del 40ennale del rapimento di Aldo Moro, ha pubblicato ‘Il puzzle Moro’, un libro che – documenti alla mano – fa emergere le responsabilità di Gran Bretagna, Usa, Francia e Germania nel caso del rapimento e dell’assassinio dello statista DC. Lo abbiamo intervistato in occasione del 42esimo anniversario dell’uccisione di Aldo Moro, che cade il 9 maggio.

Documenti desecretati da Londra e Washington dimostrano che Inghilterra e Usa (vincitori della seconda guerra mondiale) avevano interesse a bloccare l’Italia e la sua frizzante politica estera ed energetica. Come è riuscito ad ottenerne copia e cosa dimostrano?
“I documenti britannici e americani, ma non solo quelli, disegnano in realtà un quadro assai più complesso della vicenda Moro. Un contesto da cui emerge una pluralità di interessi trasversali, interni e stranieri, ostili alla politica morotea, che si basava su due grandi coordinate: il protagonismo italiano nel Mediterraneo e il dialogo con il Pci di Enrico Berlinguer. Gli interessi ostili a questa politica erano all’interno del campo occidentale, ma anche di quello sovietico. Usa e Urss, per ragioni diverse ma convergenti, temevano che il disgelo tra Dc e Pci portasse col tempo a un’evoluzione del sistema politico italiano, dal regime bloccato alla democrazia dell’alternanza, con effetti destabilizzanti sugli equilibri internazionali decisi dopo la seconda guerra mondiale. Quanto agli inglesi, il loro obiettivo era quello di ridimensionare ruolo e influenza dell’Italia nelle aree petrolifere, da sempre considerate dai britannici di propria esclusiva competenza”.

E cosa può dire sull’ accesso a quegli archivi?
“Guardi, posso dire che dovremmo imparare dalla tradizione anglosassone. I documenti dell’archivio di Stato britannico di Kew Gardens, per esempio, sono accessibili a tutti senza alcun filtro che non sia il documento d’identità (…). E poi, naturalmente, bisogna sapersi muovere tra i milioni di fascicoli custoditi in quegli scaffali: il contributo di un eccellente ricercatore esperto di archivi americani e inglesi, come Mario José Cereghino, con il quale lavoro da molti anni, è più che prezioso: è determinante”.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Churchill, Roosevelt e Stalin a Jalta divisero il mondo in zone di influenza, l’Italia finì sotto l’ombrello inglese. Una sorta di direttorio internazionale composto da inglesi, statunitensi, Germania Ovest e Francia prese importanti decisioni: quali?
“L’Italia fu considerata ‘Nazione sconfitta’, e quindi soggetta a condizionamenti da parte dei vincitori. Tra i vincoli più importanti, c’erano, appunto, l’esclusione del Pci dal gioco democratico e l’impossibilità da parte dell’Italia di sviluppare un’autonoma politica mediterranea ed energetica. I due vincoli furono entrambi violati, nel corso del dopoguerra. E ci fu una risposta. Dai documenti inglesi e americani emerge, al di là di ogni ragionevole dubbio, il ruolo dei quattro Paesi più influenti dell’Alleanza atlantica: Gran Bretagna, Usa, Francia e Germania. Nella prima metà degli anni Settanta costituirono una sorta di gabinetto di crisi incaricato di monitorare la situazione italiana e di pianificare anche risposte illegali. Il governo britannico si assunse in qualche modo il compito di pianificare un colpo di Stato nelle forme classiche o, scartata l’opzione del golpe militare, attraverso l’«appoggio a una diversa azione sovversiva»”.

L’assassinio di Moro fu un atto di guerra portato all’Italia da potenze amiche e alleate in cui le Br ebbero solo un ruolo marginale?
“Di fatto sì, fu un atto di guerra contro la politica italiana. E le Brigate Rosse ne furono lo strumento. Se ne fossero consapevoli o meno, è abbastanza ininfluente, a mio avviso. Quello che è certo, è che i brigatisti agirono del tutto indisturbati sia nella fase della preparazione del sequestro, sia durante i 55 giorni di prigionia di Moro. Potevano essere fermate? Sì. Il loro progetto era stato intercettato con largo anticipo anche dai nostri apparati di sicurezza, che però non impedirono che fosse portato a compimento. Si poteva liberare Moro? Sì, perché molti elementi ci dicono che gli apparati avessero delle idee sul luogo della detenzione. La verità è che durante i 55 giorni prevalsero due “partiti” trasversali e tra loro sinergici: quello della “morte fisica” e quello della “morte politica” di Moro”.

Quali sono le conclusioni a cui è giunta la Commissione parlamentare Fioroni che si è conclusa a dicembre 2017?
“Sull’ultima Commissione Moro ho espresso sin dal suo insediamento un giudizio negativo. Ritenevo che l’approccio investigativo scelto non fosse il più adatto. Data la complessità della materia e le sue delicatissime implicazioni internazionali, ritenevo che il metodo giudiziario non avrebbe portato molto lontano. E così è stato. Per tutta la durata del suo mandato la Commissione Fioroni ha continuato a girare sempre intorno allo stesso punto, il cosiddetto nodo di Via Fani. Tuttavia qualche risultato interessante l’ha ottenuto. Per esempio, ha messo meglio a fuoco l’aspetto del supporto logistico a sostegno dell’operazione brigatista in Via Fani e nelle vicinanze. Ha individuato una serie di “presenze” esterne alle Br davvero inquietanti e che prima non erano emerse. Un altro risultato a mio avviso interessante riguarda il lavorìo compiuto dopo l’assassinio di Moro per delimitare i confini della verità “dicibile” al Paese”.

Cioè?
“Le trattative, se così possiamo definirle, tra apparati politico-istituzionali dello Stato e brigatisti rossi. Il risultato di quel lavorìo fu la costruzione di una solida verità ufficiale: la vicenda Moro fu una faccenda tutta italiana e tutta brigatista; e chi mette in discussione il Verbo, è un dietrologo”.

Si arriverà mai alla verità del caso Moro?
“Quale verità? Quella giudiziaria o quella storico-politica? Spero di essere smentito – lo spero sul serio -, ma dubito che sul piano giudiziario si possa andare oltre un certo limite, non per mancanza di volontà da parte della magistratura, ma per le ragioni che ho spiegato prima. Sul piano storico-politico, invece, oggi abbiamo a disposizione molte informazioni dalle quali può emergere una verità non dico completa, ammesso che nel campo della ricerca possa essercene una completa, ma almeno più accettabile e più rispondente alla realtà dei fatti. Credo che il Parlamento italiano abbia sprecato una grande occasione. Invece di nominare una Commissione d’inchiesta sapendo già in partenza che non avrebbe prodotto novità sconvolgenti, avrebbe potuto seguire un’altra strada…”

Quale?
“A mio avviso, avrebbe potuto riunire il meglio della storiografia indipendente, mettendo a disposizione tutta la documentazione reperibile in Italia e all’estero. Con un compito preciso: avete a disposizione 4-5 anni, studiate e alla fine portateci un documento in cui ci siano risposte credibili e documentate a due domande fondamentali: perché terrorismo e violenza politica in Italia? E perché Moro? Un’operazione di questo tipo sarebbe stata assai più coraggiosa e utile al Paese. Ma forse i tempi non sono ancora maturi”.

Daniele Castri


Maria Fida, primogenita di Aldo Moro, ricorda commossa il papà

Nel suo sorriso il ricordo più bello”

Un uomo buono, che non avrebbe lasciato indietro nessuno. A partire dai più deboli. Il ricordo della ‘persona’ Aldo Moro, prima ancora che dello statista, nelle parole della figlia primogenita dello statista DC, Maria Fida Moro.

Lei ha di recente dichiarato che maggio è il peggiore dei mesi, parlando inoltre di cerimonie ipocrite.
“Ho letto queste parole in un articolo e mi hanno colpito, perché è il titolo della mia vita. Dal rapimento e poi dalla morte di mio padre è cambiato tutto. È stato un coronavirus moltiplicato 100mila miliardi di volte e che ha riguardato solo la mia famiglia e me. Il 9 maggio è stata una data spartiacque. Le cerimonie sono quasi sempre ipocrite, perché per mio padre nessuno ha fatto mai niente, né in vita, né in morte, né dopo la morte. Un esempio tra tutte è la mancata applicazione della legge in favore delle vittime del terrorismo”.

A quale legge si riferisce?
“Esiste una legge in favore delle vittime del terrorismo, la 206 del 2004. L’aspetto assurdo è che è stata applicata a tutti tranne che ad Aldo Moro. Mi sono appellata alle istituzioni, mi sono rivolta al Senato e sto facendo degli atti giuridici. Sto aspettando delle risposte. È paradossale che il Parlamento non applichi le leggi che promulga. Non applicarla significa dire che Aldo Moro non è vittima del terrorismo. E allora di che cosa è vittima? E perché è stato scelto proprio il 9 maggio, data della sua morte, per la giornata in memoria delle vittime del terrorismo?”

Lei invita sempre a ricordare “Aldo Moro vivo”. Qual è il più grande insegnamento che suo padre ci ha lasciato?
“La bontà. Ci ha insegnato che non si può fare a meno di rispettare tutti, dal più piccolo al più grande. E in ogni circostanza, dalla vita alla morte, al coronavirus. Lui non aveva paura della morte e nemmeno noi dobbiamo averne”.

Che cosa avrebbe fatto, se si fosse trovato a gestire l’emergenza Covid?

Avrebbe radunato poche persone, ma di buonsenso. Non migliaia attraverso tante task force. E poi avrebbe agito con il suo spirito giuridico e di uomo buono per fare in modo che i danni non ricadessero sui più poveri e deboli”.

I bambini appaiono esclusi dalla gestione dell’emergenza sanitaria. Aldo Moro, invece, si è sempre dedicato molto a giovani e studenti. Ha ispirato la trasmissione “Non è mai troppo tardi” con il maestro Manzi, così come l’educazione civica nelle scuole, e devolveva la sua indennità ai bambini indigenti in Puglia.
“Sì, lui si sarebbe occupato di loro con l’ascolto. L’allarme sul coronavirus era giunto da molte settimane. Sicuramente avrebbe cercato di anticipare i tempi per poterci liberare prima dal lockdown. Il mondo e la vita vanno avanti e non ci si può spaventare troppo”.

In questi giorni si critica molto l’Unione Europea. Come avrebbe reagito Aldo Moro, convinto europeista e ispiratore di questa Europa unita e libera?
“Mio padre era un europeista convinto e mi fa piacere ricordare che è stato l’unico non eurodeputato al quale il Parlamento Europeo ha dedicato una sala. Con il suo garbo, la sua gentilezza, la sua capacità di ascolto, e l’autorevolezza che si era conquistato negli anni come ministro degli Esteri, avrebbe cercato di arrivare a una decisione comune europea, giusta per tutti, che soddisfacesse la comunità stessa. Ma, soprattutto, avrebbe fatto di tutto per preservare l’Italia nel panorama internazionale”.

Quali critiche avrebbe invece rivolto alla politica attuale?
“Per natura, mio padre non criticava mai nessuno. Certamente avrebbe cercato di sottolineare che bisogna essere consapevoli che tutte le persone sono importanti e non bisogna lasciare indietro nessuno”.

Qual è il ricordo più bello che ha di lui?
“Il sorriso”.

Barbara Laurenzi

 

07 maggio 2020

fonte:www.ilcaffe.tv