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Quanti misteri sui contatti pezzi dello Stato-mafia. Un saggio del PM Luca Tescaroli. Una verità che non si vuole scoprire?

“Verità e giustizia” – le stesse parole, ma soprattutto l’identica motivazione a cui si rifà Libera Informazione – sono state pronunciate da Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, nell’appello lanciato dinanzi al movimento delle “agende rosse” che ha ricordato la strage di Via D’Amelio. Antonio Ingroia, già allievo e stretto collaboratore di Paolo Borsellino, sta indagando insieme al sostituto De Matteo sulla  trattativa fra Stato e mafia, sul cosiddetto “papello” che Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo che di quella trattativa fu al centro, dice di avere in mano. “Solo uno sforzo collettivo  – ha detto Ingroia – porterà la verità, che si fa largo a passi lenti, fra molte cortine fumogene”. Quella trattativa, a cui si è riferito dopo anni di silenzi anche Totò Riina, con un messaggio ancora indecifrabile e che potrebbe essere rivolto proprio agli ambienti esterni con i quali Cosa Nostra trattò. Certo le “cortine fumogene” sono spesse, in quanto coinvolgono – questo ormai appare certo – gli apparati dello Stato, o almeno parte di essi.

Un nuovo pentito ritenuto attendibile, Gaspare Spatuzza, sta riscrivendo con i Pubblici Ministeri che hanno riaperto le inchieste, i preparativi, l’organizzazione e i diversi ruoli nell’attentato di Via D’Amelio. E con queste rivelazioni si congiungono i tanti indizi che hanno costellato le precedenti inchieste e che, in forme sfocate eppure univoche, portavano a intuire l’azione di una potente mano diversa dalla mafia. Dal biglietto con il numero di cellulare di un agente del Sisde trovato a Capaci, alle intercettazioni operate allora dall’esperto Gioacchino Genchi (per conto degli investigatori) secondo il quale il coordinamento dell’attentato in Via D’Amelio fu operato da un “ospite” dell’hotel Villa Igea, alla scomparsa della borsa contenente l’agenda rossa di Borsellino, che intatta dopo l’esplosione era stata fotografata nelle mani di un ufficiale dei carabinieri per poi sparire, al ruolo che una postazione dei Servizi avrebbe svolto dal castello Utvegio, che domina Palermo dal Monte Pellegrino, fino alle rivelazioni del capomafia pentito Francesco Di Carlo.

Dunque un unico filo difficilmente intessuto di sole “coincidenze”, che non può che ripartire dalle precedenti inchieste sui “mandanti occulti”, come quelle portate avanti dal ’98 al 2000 a Firenze e dal PM Luca Tescaroli a Caltanissetta. Il giovane PM veneto, che si era volontariamente trasferito in Sicilia, riuscì dopo una faticosa istruttoria e in due processi a far condannare all’ergastolo capi ed esecutori mafiosi, ma dovette interrompere il suo impegno sui “mandanti occulti”per sopraggiunti termini di prescrizione, entrando in contrasto sulle motivazioni dell’atto giudiziario con il Procuratore Capo Tinebra. Tescaroli, che subito dopo chiese il trasferimento a Roma, era convinto del quadro tracciato da numerosi pentiti, quali Cangemi, Brusca, Siino, Avola, secondo i quali l’entità di potere e i referenti esterni con i quali  trattarono Riina e i capi corleonesi erano Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, intenti a creare un nuovo scenario politico scelto come referente da Cosa Nostra. Questa motivazione fu invece respinta dal procuratore Tinebra e dal suo vice Giordano, i quali affermarono che fra i principali pentiti, come Cangemi e Brusca, vi erano state contraddizioni tali da inficiare la loro tesi e da renderli non credibili. Su questa base fu decisa l’archiviazione dell’inchiesta  sui “mandanti occulti”. Tescaroli non ha mai escluso che potessero esserci anche altri, fra i referenti esterni, quali ad esempio interessi legati alla massoneria deviata, ma ha poi narrato queste vicende, riportando le dichiarazioni dei pentiti da lui allora ritenute valide, nel libro “Colletti sporchi”, scritto con Ferruccio Pinotti e pubblicato dalla BUR nel 2008.

Ora si riaprono dunque complessi scenari, ma restano pesantissimi interrogativi. Uno, innanzi tutto: perchè in tanti anni dal Parlamento e dal mondo politico, con i governi di opposta tendenza che si sono alternati, non è mai venuta la scelta di una indagine parlamentare su quei fatti? E, di conseguenza, cosa è possibile fare oggi, ad esempio da parte della Commissione Antimafia, per aiutare la rinnovata azione dei magistrati di Caltanissetta e di Palermo e squarciare finalmente il buio che per troppo tempo ha avvolto la pagina più devastante della recente storia della Repubblica?

Roberto Morrione
(Tratto da LiberaInformazione)