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QUANTA PENA!  QUANTA SOFFERENZA ! COME HANNO RIDOTTO IL BASSO LAZIO E LA PROVINCIA DI LATINA L’OMERTA’ DELLA GENTE E LA POLITICA CORROTTA.VIGLIACCHI E BANDITI !!!!!!

FORMIA CONNECTION, ELOGIO A FALCONE PRIMA DEL CARCERE: POLITICA MUTA SULL’ARRESTO DI BARDELLINO

Lunedì 3 Giugno 2019

di Adriano Pagano

Ce ne fossero Tanti di magistrati come Falcone e Borsellino, persone perbene con un grande senso di giustizia, imparzialità e correttezza, principi fondamentali per ricoprire tale carica professionale, sono queste virtù a garantire la democrazia, la libertà dei cittadini e della nostra Nazione”. A scrivere queste parole, il 18 maggio scorso, dalla propria pagina Facebook, per celebrare gli 80 anni dalla nascita del magistrato antimafia Giovanni Falcone, è stato Angelo Bardellino, nipote del più potente e sanguinario boss della camorra campana, precursore e promotore del Clan dei Casalesi, Antonio. Un elogio stonato, confezionato senza riferimenti alla violenza stragista mafiosa. Un elogio stonato che arriva solo oggi forse per tentare di allontanare o ridimensionare la sentenza in Corte di Cassazione nel processo Formia Connection, che di lì a poco sarebbe inesorabilmente arrivata, per la precisione giovedì scorso, con la quale lui ed altre tre persone (Tommaso Desiato, Gianni Luglio e Franco D’Onorio De Meo) sono state condannate per estorsione armata in concorso rispettivamente a 7 anni e 5 mesi per Bardellino (che si è costituito spontaneamente al carcere di Cassino), 6 anni e 11 mesi per Franco D’Onorio De Meo, 6 anni e 11 mesi per Tommaso Desiato, e 7 anni per Giovanni Luglio.Pene ridotte tutte di 3 anni grazie all’indulto. Insomma una specie di invito a rivedere il giudizio di colpevolezza – come sostenuto dagli avvocati della difesa – già pronunciato nei due precedenti gradi di giudizio, così duro “solo perché c’era un discendente della famiglia Bardellino”.

O forse un tentativo di riconciliarsi con lo Stato, perlomeno con la sua parte sana, dopo una delle ultime vicende che lo hanno visto protagonista di una silente dimostrazione di potere e di sottomissione delle istituzioni. Stiamo parlando della serata evento organizzata da Angelo Bardellino e la sua casa produttrice Roxyl Music, in collaborazione con la scrittrice Antonella D’Agostino, ex moglie del bandito Renato Vallanzasca, e autrice del libro “Operazione Spartacus – La Casalese”, che doveva andare in scena a Villa Caribe a Spigno. Tutto saltato grazie all’intervento della Prefettura e della Questura, a seguito di una nostra pubblica denuncia, che hanno sollecitato il ministero dell’Interno a ordinare l’annullamento della serata. Perché il libro – per conferma della stessa autrice – diffonde il messaggio che pentirsi è sbagliato in certi ambienti e, nel dubbio, non bisogna stare né dalla parte dello Stato né da quella della camorra. Senza fare una piega, con sprezzo del provvedimento, tutto è andato in scena lo stesso, ma allo Yacht Club di Gaeta, dove alla fine è intervenuta pure la polizia a identificare i presenti. Compreso un minore.

Con un cognome così, una sentenza definitiva che incombe e una serie di vicende di polizia che costellano il suo recente passato, se davvero il senso del messaggio di celebrazione per Falcone è stato poi quello di riconciliazione con lo Stato, beh, l’operazione di presentazione del libro è stata un passo falso. Gli auguri arrivano a Falcone troppo tardi. Mentre invece i tentativi di riabilitazione di Angelo Bardellino non sono tardati ad arrivare da parte di certa stampa, diciamo così. Quasi tutta per la verità. A partire dall’incredibile editoriale del direttore di LatinaOggi Alessandro Panigutti che ha subito e sorprendentemente ridimensionato ogni addebito ad Angelo Bardellino, definendolo “non un camorrista, ma un ex teppista”. E ancora etichettando come censura il blocco della serata evento a Spigno. Un intervento assurdo e ipocrita, visto che per anni il vicedirettore del medesimo quotidiano, Graziella Di Mambro, ha scritto fiumi di parole sul processo Formia Connection e sui rapporti tra politica e camorra in città. Un lavoro di anni smantellato da poche righe “negazioniste” che la Di Mambro, nemmeno in qualità di membro nominato come “Garante della legalità” di “Articolo 21”, un’associazione di categoria a difesa della libertà di stampa, ha potuto o voluto commentare. Uno scontro che ha portato la Di Mambro a lasciare la vicedirezione ma non il giornale, in quegli stessi giorni, e, presumibilmente, per lo stesso motivo. Non a caso, l’ultimo articolo di ieri sulla sentenza definitiva dopo 15 anni di articoli firmati, non porta alcuna firma. Così come d’altra parte fanno per certi argomenti, da tempo, siti e blog del territorio provinciale.

Ma torniamo ad Angelo Bardellino, per lui le manette erano scattate già 8 anni fa, quando nel novembre del 2011, venne arrestato all’alba, insieme al fratello Calisto e altre 6 persone, nell’ambito dell’operazione ribattezzata “Golfo”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e condotta dalla Questura e dalla Guardia di Finanza. Un sequestro da circa 8,5 milioni di euro di beni composto da 12 immobili, 5 società tra cui un concessionario di autoveicoli ed un’attività di ristorazione ubicata sull’isola di Ponza, 2 ditte individuali, partecipazioni societarie, 1 autovettura di grossa cilindrata ed un’imbarcazione da diporto, oltre a conti correnti bancari e rapporti finanziari intestati agli indagati ed alle società loro riconducibili. Una fortuna, secondo le accuse, accumulata grazie alla forza intimidatoria di stampo camorrista nel racket delle estorsioni. Nemmeno un mese passò da quella fragorosa operazione, che i fratelli Bardellino e gli altri indagati furono scarcerati e rimessi in libertà, tutta l’indagine fu totalmente smantellata dal Riesame di Napoli “per inesistenza degli indizi di colpevolezza”.

Anche se tra gli atti di quella indagine restano inequivocabili le parole di un pentito di spicco della camorra campana, Salvatore Laiso, che affermò: “Nicola Schiavone mi riferiva che Bardellino Angelo era il referente per conto del clan dei casalesi della famiglia Schiavone sulle zone del basso Lazio. Mi disse che in passato la famiglia Bardellino aveva avuto dei contrasti con suo padre Francesco Schiavone “Sandokan” ma poi Nicola, avendo bisogno di un referente sulla zona, aveva designato Angelo Bardellino quale “capo zona” e quest’ultimo aveva accettato anche per non avere problemi”.

Da qualche giorno sono passati esattamente 4 anni – era il 29 maggio del 2015 – quando l’avvocato Mario Piccolino fu ucciso con un colpo di pistola alla testa sull’uscio del suo studio in via della Conca a Formia. Sarà successivamente arrestato per quell’omicidio Michele Rossi, opposto ai clienti di Piccolino, in una vecchia causa giudiziaria per un abuso edilizio sull’isola di Ventotene. Un risentimento mai sopito per aver perduto quella controversia in Tribunale. Eppure nelle ore immediatamente successive all’omicidio, la Squadra mobile di Latina e il commissariato di Formia vagliarono tutte le piste, compresa quella che portava ad Angelo Bardellino, che infatti fu sentito negli uffici di via Olivastro Spaventola. Il suo nome fu tra i primi ad essere preso in considerazione perché Bardellino, sei anni prima, nel 2009, fu riconosciuto come il responsabile di una brutale aggressione nei confronti di Piccolino, al quale spaccò la testa impugnando un cric. La vicenda finì in Tribunale con un processo per lesioni a carico di Angelo Bardellino.

Molto più recenti, ma altrettanto inquietanti, sono invece le scottanti rivelazioni di un altro pentito, Agostino Riccardo, sentito nel luglio dello scorso anno, in carcere, nell’ambito delle indagini relative al processo Alba Pontina contro il clan Di Silvio al quale Riccardo è stato fino al suo arresto affiliato. Ebbene Riccardo riferisce ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia della conoscenza fatta proprio nelle patrie galere con Gianni Luglio, altro condannato di Formia Connection: “Era in galera con me e sono stato io a prendere la conoscenza. E ancora: “Se dovevamo fare estorsioni fuori dal territorio di Latina ci rivolgevamo alle organizzazioni criminali che controllavano il territorio o a persone che le rappresentavano, ad esempio a Sabaudia la famiglia Serrapiglio, a Fondi i D’Alterio, a Terracina Genny Marano, figlio di Licciardi, a Pontinia Gianluca Campoli, marito di Shara Travali, e Davide Capodiferro, a Formia Gianni Luglio, affiliato al clan Bardellino, a San Cosma e Damiano Ettore Mendico (Clan dei Casalesi) e Giuseppe Sola, a Sezze Ermes Pellerani (che è riuscito a prevalere su Piero de Santis), a Latina Scalo Gianfranco Simeone e Gianfranco Mastracci, ad Aprilia avevamo contatti con Nino Montenero(cognato di Patrizio Forniti) tramite il figlio Dimitri, detto Pannocchia, a Anzio-Nettuno con la famiglia Sparapano e Gallace.

Eppure negli ultimi anni il nome di Bardellino è sparito dalle cronache giudiziarie e da quelle di polizia per passare alla pagina dello spettacolo e delle manifestazioni. Angelo Bardellino ha passato molto tempo all’estero, in particolare per scovare talenti, soprattutto nell’est Europa. Nel frattempo non disdegnava di farsi fotografare anche con il primo ministro albanese. È diventato produttore musicale e cinematografico, e ha lanciato giovani cantanti nei talent show di mezza Europa e anche in prima serata su RaiDue. Come nel caso, forse più eclatante, di Elhaida Dani, portata dalla scuderia della Roxyl Music di Angelo Bardellino (e del suo sodale Rocco Palazzo con sede a Bucarest) fino al programma The Voice of Italy, che la giovane cantante albanese riesce pure a vincere, duettando anche con Riccardo Cocciante. Contemporaneamente le pubbliche relazioni sono serratissime e così Bardellino si fa fotografare con lo stesso Cocciante, Toto Cotugno, Piero Pelù, Fiorella Mannoia, Al Bano, Giancarlo Giannini, Orietta Berti, Marco Carta. Una nuova carriera imprenditoriale che non ha però fermato le attenzioni delle autorità. Come accaduto con l’organizzazione del capodanno 2013 a Terracina quando, a programma concluso, la Prefettura, dopo essersi accorta che dietro allo pseudonimo “Raf Angelo B.” c’era proprio lui, diede mandato alla polizia di sospendere tutti i permessi e così la festa saltò.

Ciò che resta in queste ore però, è un silenzio assordante. Quello delle istituzioni e quello della politica soprattutto. A romperlo è stata solo la sindaca di Formia Paola Villa che, senza riferimenti espliciti, scrive l’altro ieri sulla sua pagina Facebook: Ed oggi è veramente un “giorno buono”…veramente…”. Così qualcuno gli fa notare che non si esulta per gli arresti altrui. Eppure nessuno esulta per la giustizia che si compie e nessuno, chiamato, votato, eletto e interessato, a rappresentare la città, la cittadinanza e la legalità, esprime una sola parola per chi è stato vittima del reato che ha generato la condanna. Tutti così impegnati in questi giorni, da mesi, a fotografare lampioni, marciapiedi e auto in sosta, gridando allo scandalo, perché non si rispetta la legalità e le regole, e nessuno di loro si è indignato o ha espresso solidarietà a chi è stato vittima della violenza. Così come ancora nessuno – tra quelli sempre pronti a riempirsi la bocca di facili propagande femministe e gonfiarsi il petto nelle sfilate a difesa della donna – ha pronunciato una sola parola di solidarietà alla donna brutalmente aggredita da Gustavo Bardellino, cugino di Angelo, componente della medesima famiglia, arrestato e poi rimesso in libertà, e imputato per i reati di lesioni gravi e stalking.

Un silenzio ipocrita, lo stesso assordante silenzio seguito proprio alle indagini della polizia sul processo Formia Connection iniziate tra il 2003 e il 2004 che, oltre alle condanne, lascia dietro di sè molti quesiti irrisolti che andrebbero forse approfonditi. In particolare circa la consistenza e la capacità di connessione tra certi ambienti criminali e la politica. E proprio nelle indagini di Formia Connection non ha avuto alcun seguito l’intercettazione dell’ex sindaco di San Cipriano d’Aversa Ernesto Bardellino – padre di Angelo – che afferma: “Bisogna dare i voti a Totò, in attesa di Angelo”. Totò è Antonio Calvano, allora parte dell’Udc di Michele Forte, poi finito dapprima in Forza Italia e nel Pdl e successivamente tra gli autonomi di centro e che ha fatto il consigliere comunale per tre mandati dal 2001 al 2012. Finito nell’inchiesta per associazione a delinquere al Comune di Formia, Sistema Formia, scomparve dalla circolazione, per poi riapparire e andare a parlare con il Pm titolare dell’inchiesta, Giuseppe Miliano. È morto suicida nel dicembre scorso. E moltI di quelli che oggi fanno politica sul territorio, in questo silenzio assordante, sono stati alleati e compagni di governo di Calvano.

Ecco perché l’indagine è stata ribattezzata Formia Connection, dove per Connection si fa riferimento proprio ai legami – le connessioni – di alcuni ambienti criminali con la politica. E non è forse un caso che Formia Connection prenda il nome da un’altra grande e famosa inchiesta giudiziaria, Pizza Connection, che si occupò di smantellare una gigantesca rete di spaccio intercontinentale tra l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti e che vedeva protagoniste alcune delle più potenti famiglie mafiose tra l’Italia – Sicilia soprattutto – l’Europa e il nord America. Una indagine intercontinentale della quale si occuparono in Italia Gioacchino Natoli e Giovanni Falcone, lo stesso Falcone al quale Angelo Bardellino spera possa assomigliare per capacità e correttezza la magistratura di oggi. Lo speriamo anche noi.

 

Fonte:https://latinatu.it/