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Quando la lotta alla mafia é unione tra impegno quotidiano e voglia di verità

Gli interventi di Borsellino, Imposimato, Maniaci e gli agenti di polizia al convegno di Tolentino “Le stragi, le indagini, gli arresti”
di Lara Borsoi – 14 ottobre 2011
Tolentino (MC). Erano oltre cento le persone che ieri sera, nell’atrio dell’Istituto d’Istruzione Superiore Francesco Filelfo di Tolentino, hanno assistito all’incontro intitolato “Le stragi, le indagini, gli arresti”, organizzato dalle Agende Rosse in collaborazione con il Comune di Tolentino.

Come relatori vi erano ospiti importanti che hanno fatto la storia dell’antimafia e che soprattutto conoscono la storia, come Salvatore Borsellino e Ferdinando Imposimato ma anche chi quotidianamente, nel proprio lavoro, lotta sul campo come il rappresentante provinciale del Siap in Emilia Romagna, Sandro Chiaravalloti, il poliziotto antimafia ed antiterrorismo Gianni Palagonia e I.M.D della Catturandi.
A moderare l’incontro il giornalista di AntimafiaDuemila Aaron Pettinari. Il primo relatore ad essere chiamato in causa è stato l’avvocato, ed ex magistrato Ferdinando Imposimato che nel suo intervento ha sviluppato il ricordo di una carriera trascorsa al fianco di tanti uomini importanti morti per mano della mafia. Ha espresso il valore della lotta per far approvare la legge sul 41bis e quella sullla gestione dei collaboratori di giustizia. Quindi ha ricordato come, sin dagli anni 70, con tanto di riscontri dati dalle intercettazioni, la capitale era stata invasa dalla mafia intrecciandosi con la politica. Una verità difficile da accettare a quel tempo, quasi una bestemmia. “E’ stato difficile per me, così come è stato difficile per Falcone e Borsellino, due eroi del nostro tempo, ma poi abbiamo capito che Cosa Nostra non era più solo in Sicilia. Loro avevano capito che la mafia, con i suoi tentacoli, era arrivata ad indossare gli abiti eleganti per manovrare le sorti del Paese, restando seduta nelle comode poltrone del Governo e delle Istituzioni”.
Si sente “testimone”, Imposimato, di quegli “eroi che vivono oggi nella nostra speranza” e con forza ha affermato che “la lotta alla mafia si può vincere partendo innanzitutto dal cambio del ceto politico che al momento non ci rappresenta”.
A seguire l’intervento di Salvatore Borsellino, che da tempo cammina su e giù per l’Italia per raccontare la vita di suo fratello Paolo, oramai così legata alla sua. Ogni volta il suo racconto scopre particolari agghiaccianti di quella strage che ha sventrato Via D’Amelio e il cuore dei giusti. Il suo affetto e riconoscenza per i ragazzi della scorta del fratello, fatti a brandelli da quell’esplosione, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, ha emozionato l’intera sala che si è liberata in un fragoroso applauso. E ancora il silenzio è stato assoluto quando parla dell’unico sopravvissuto, Antonino Vullo, che ancora oggi rivive quel terribile attimo ovvero il momento in cui, scendendo dalla macchina per soccorrere il giudice e i suoi compagni, realizza di camminare proprio sopra i loro resti. Il grido di Salvatore Borsellino alla ricerca della verità su quella strage genera un fremito di rabbia nei confronti di uno Stato complice e mandante delle morti di Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. Ed è tanta l’amarezza nell’apprendere che oggi questi servitori dello Stato non possono più neanche essere chiamati “eroi”, “perché quello stesso Stato che li ha uccisi ha chiamato eroe un mafioso come Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, vicino a Berlusconi e Dell’Utri”. Borsellino ha così lanciato un appello a tutta la società civile affinché intervenga per sostenere quei magistrati che indagano tutt’oggi nell’intento di portare a galla la verità sulle stragi. Una chiamata all’impegno affinchè non si ripeta quella terribile stagione di morte e ingiustizie.
Come sempre, al termine del suo intervento, ha alzato l’agenda rossa, simbolo della lotta intrapresa dai suoi ragazzi, che ricorda la sparizione dell’agenda rossa del fratello dal luogo della strage.
E’ toccato poi a Pino Maniaci, direttore di Telejato, emittente siciliana che tratta esclusivamente di mafia, spiegare il valore dell’informazione e dell’indignazione, approfondendo ciò che potrebbe accadere con l’approvazione della legge-bavaglio.
Maniaci, da vero siciliano, con la sua voce e il suo accento ha trasportato i presenti fino nella martoriata terra siciliana. La sua è rabbia per questo governo, per questi italiani che non scendono in piazza, abbindolati dai programmi televisivi che ti “spengono il cervello”. Per questo ha invitato il pubblico a percorrere una strada diversa, a non essere più indifferente, dopo questo incontro.
Quindi ha raccontato episodi dellla propria vita, dedicata a denunciare e, putroppo, ad essere querelato ma non perché non dice la verità, ma perché per un certo periodo si è trovato a non essere in possesso del tesserino di giornalista. E poi ha aggiunto: “In Sicilia ci sarà pure Cosa Nostra, ma nel resto dell’Italia abbiamo tutte le mafie”. Poi ha lanciato un nuovo allarme, perché il suo tg rischia di chiudere perché con l’avvento del digitale terrestre non c’è spazio per le piccole emittenti come Telejato. E poi c’è il pericolo della legge-bavaglio che, oltre a spegnere il suo tg, chiuderebbe una porta indispensabile alla ricerca dei latitanti come le intercettazioni. “Queste sono il ‘filo di Arianna’ – ha detto – che permette di scovare latitanti mafiosi che intrecciano malaffare e omicidi”.
Anche Sandro Chiaravalloti, segretario generale provinciale Siap, oltre a sottolineare l’importanza delle intercettazioni, ha denunciato il gran numero di tagli economici subito dalle forze dell’ordine, ovvero quegli uomini che doveno proteggere la sicurezza dei cittadini. Un esempio sono i gruppi speciali, coloro che sono alla costante ricerca dei latitanti, molto spesso obbligati ad anticipare le spese per le indagini perché lo Stato, quello Stato che poi si prende i meriti, non investe in questa lotta.
A conferma di questi fatti hanno quindi concluso la serata i racconti delle esperienze sul campo di Gianni Palagonia e I.M.D., uomini giusti, che per la loro scelta di vita, svolgono il proprio compito in prima linea senza la luce dei riflettori. Sono uomini di quei reparti speciali che hanno catturato Provenzano, che per questo lavoro sono stati lasciati da mogli, che vivono lontano dalle proprie famiglie e sono costretti a raccontare la loro esperienza dietro un telo. Loro, che non sono criminali ed anzi rischiano quotidianamente la propria vita, costretti ad un’esistenza di sacrifici, mentre al Governo siedono personaggi condannati per concorso esterno in associazione mafiosa come Marcello Dell’Utri. L’incontro è terminato con i saluti e la soddisfazione dei presenti nonostante la tarda ora. Un fatto positivo segno che in questo Paese c’è chi vuole informarsi fino in fondo ed è pronto ad opporre resistenza a quella parte dello Stato che si è arresa scendendo a patti con la mafia.

(Tratto da Antimafia Duemila)