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Puglia, c’è anche il boss con la sua lista

Puglia, c’è anche il boss con la sua lista

di Tea Sisto

9 ottobre 2018

n giovane reduce da guai giudiziari per varie rapine, Antonio Presta, figlio di Gianfranco, boss della Sacra corona unita “ex pentito” tornato a delinquere col suo “ragazzo” sino a perdere il programma di protezione, venne ammazzato da affiliati a un clan rivale.

E’ il 6 settembre 2012. Il Comune, generosamente, si accollò le spese del funerale: mille euro. Il sindaco poi partecipò alla cerimonia funebre di un altro suo cliente, Gianluca Saponaro, ucciso in una guerra tra clan. Sempre in quella città, venne incendiata una struttura mobile di proprietà comunale che era stata ceduta gratis a un altro pregiudicato, il quale lo aveva utilizzato come chiosco di street food (solo panini, per farla breve) pur privo di alcuna autorizzazione sanitaria.

Su intervento del sindaco, il locale distrutto dalle fiamme, venne ripristinato sempre a carico del Comune. Le spese dell’elettricità, sostenute dal gestore per abbrustolire i panini, venivano addebitate sul bilancio del Municipio. Il sindaco dell’epoca, Francesco Cascione, è di professione avvocato penalista. Il che non sarebbe un difetto se non fosse che molti dei suoi clienti, nonché cittadini da lui governati, sono affiliati alla Scu e che appalti e benefici vari venivano a loro elargiti. Sempre in questo paese, Cellino San Marco, in provincia di Brindisi, conosciuto perché ha dato i natali all’incolpevole cantante internazionale Al Bano, quello stesso sindaco subì serie di attentati, pare per motivi però personali. Succede tanto altro ancora, favori, assunzioni e così via. Il 18 aprile 2014, il Consiglio comunale di Cellino San Marco fu sciolto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno, per condizionamento mafioso. L’anno successivo l’ex sindaco Cascione fu arrestato assieme ad altre 13 persone tra le quali diversi politici. Il reato contestato era quello di corruzione su vari fronti.

Gallipoli, Surbo (per ben due volte nel giro del 27 anni), Parabita, Sogliano Cavour (in provincia di Lecce), Terlizzi, Modugno, Gioia del Colle, Trani, Monopoli (in provincia di Bari), Cellino San Marco (Brindisi), Monte Sant’Angelo e Mattinata (provincia di Foggia), Manduria (provincia di Taranto). Sono tredici in Puglia dal 1991 (cioè dall’entrata in vigore della legge 22 luglio 1991, n. 221) ad oggi, i Consigli comunali sciolti come conseguenza di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.

Poca cosa rispetto ai numeri inquietanti della Sicilia, della Campania o della Calabria. La Sacra corona nel Salento, le tre mafie del Foggiano, quella tarantina e gli innumerevoli clan baresi sono relativamente giovani rispetto alle più antiche mafie. Ma non appaiono meno radicate. I condizionamenti mafiosi in molte delle pubbliche amministrazioni sono spesso evidenti anche nelle ordinanze di custodia cautelate in cui pubblici amministratori sono stati indagati per concorso esterno in associazione mafiosa.

Non sempre, però, i politici, nominati o oscurati da omissis in quelle ordinanze, finiscono in tribunale. Ma, torniamo agli scioglimenti dei Consigli comunali per infiltrazioni mafiose, ben cinque tra la fine del 2017 e quest’anno in Puglia.

Non accade spesso che un boss crei una lista propria e di suoi adepti e amici per presentarsi alle elezioni comunali. A Manduria è successo. Forte del suo “potere”, alle amministrative del 2013, si fa avanti Antonio Campeggio, referente a Manduria del clan Stranieri. Lui si guarda bene dal candidarsi direttamente e inserisce nella sua lista civica anche persone apparentemente perbene. Come, per esempio, il dottor Nicola Dimonopoli, un medico. La lista ha un clamoroso successo.

Al medico viene proposto un posto di assessore. Campeggio non vuole: deve essere certo di continuare ad avere “i numeri” in Consiglio anche nel caso di rimpasti in giunta. Il medico viene eletto presidente del Consiglio comunale. Ma quella della politica non è la sua strada e tutti se ne accorgono. Si dimette e viene sostituito. Si muove parecchio, intanto, anche un altro eletto della lista del boss, l’assessore Massimiliano Rossano. Autorizzata l’apertura di bar alla moda che non hanno i requisiti, solite storie di appalti affidati agli amici degli amici. Il boss che impone al medico persino di far passare davanti ai codici rossi suo nipote arrivato, malandato ma non grave, nel pronto soccorso dell’ospedale di Manduria. Insomma… atti di arroganza di chi ritiene di avere una città sotto scacco e che non tenta neanche di nasconderlo. Dopo le indagini del pubblico ministero antimafia Milto De Nozza, scatta l’operazione “Impresa” della polizia. Decine di arresti per 416 bis. L’ormai ex assessore viene imputato di associazione mafiosa insieme, ovviamente, al boss Campeggio e a tanti altri. Il medico deve rispondere di voto di scambio. Il Consiglio comunale è stato sciolto alla fine dello scorso mese di aprile.

C’è anche, a una sessantina di chilometri di distanza, in provincia di Lecce, l’ex vicesindaco e assessore comunale ai Servizi sociali del Comune di Sogliano Cavour, Luciano Biagio Magnolo, che viene accusato di aver svolto un ruolo all’interno dell’organizzazione del clan Coluccia. Secondo la ricostruzione degli investigatori, avrebbe canalizzato le risorse pubbliche destinate alle emergenze sociali verso gli affiliati al clan favorendo assunzioni di familiari degli stessi e dirottando le risorse economiche anche per il mantenimento dei famigliari detenuti.

In particolare, l’allora vicesindaco aiutò, con sussidi e altro, la mamma di un boss. Venne indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel giugno scorso è stato sciolto il Consiglio comunale per “Ingerenze della criminalità organizzata”.

E’ anche recente lo scioglimento per mafia del Consiglio comunale di Parabita, altro paese del Leccese. Il vicesindaco, Giuseppe Provenzano, era stato ribattezzato “Bancomat” per i troppi favori e posti di lavoro che aveva destinato agli amici di Marco Antonio Giannelli, figlio di Luigi. Sì, figlio proprio di quel boss condannato per essere stato il mandante di un duplice omicidio talmente atroce da far scorrere ancora oggi brividi lungo la schiena. Fu Luigi Giannelli a ordinare di uccidere la sua giovane amante, Paola Rizziello. I killer fecero la loro parte e nascosero il corpo. Poi tornarono sul luogo del delitto dove era rimasta in lacrime la figlioletta della donna. Angelica aveva due anni. La presero per i piedi e le fracassarono il cranio sbattendola decine di volte contro un muro. Nascosero altrove il suo corpicino, lontano da quello della mamma. Era il 1991.

La ferocia contro i bambini era stata sdoganata anche nella Sacra corona unita salentina. Dopo il processo e le condanne, lo scioglimento del Consiglio comunale per mafia. Ricorsi vari, un tira e molla con il Tar sino alla decisione del giugno scorso del Consiglio di Stato: l’infiltrazione mafiosa c’era tutta.

Per non parlare di Surbo, altro comune del Leccese, sciolto per ben due volte, nel 1991, all’entrata in vigore della legge, e pochi mesi fa. Gli affari si facevano, soprattutto nel campo degli appalti edili, con gli uomini della Scu.

Procedendo a campione, per provincia, saliamo di circa 150 chilometri per raggiungere Modugno, nel Barese, controllato da un “referente” di uno dei tanti clan baresi. Modugno e Surbo furono i primi consigli comunali ad essere sciolti per infiltrazioni mafiose. Era il 1991, anno di entrata in vigore della legge 221. Il provvedimento faceva riferimento a “pressioni mafiose estrinsecatesi anche con la violenza che compromettono la libera volontà dell’organo elettivo”.

Diciotto mesi di commissariamento, prorogati poi di altri sei. “Negli ultimi anni”, si legge nel provvedimento, “si sono susseguiti gravi episodi di violenza contro alcuni componenti del consiglio comunale”. Nel 1989 furono esplosi colpi di arma da fuoco contro la finestra dell’abitazione del consigliere Antonio Pecorella. Idem nel 1991: obiettivo il garage del consigliere Gaetano Naglieri.

Nello stesso anno spari contro il negozio di proprietà della moglie del vice sindaco Luciano Pascazio. Nel 1992 i pregiudicati Francesco De Vito e Gaetano Granieri minacciarono di morte il consigliere Raffaele Lacalamita all’interno della tipografia di sua proprietà e ferirono altri due consiglieri presenti nel laboratorio. Una bomba fu fatta esplodere in prossimità dell’abitazione di Giuseppe Ventrella, già presidente della locale Cassa rurale ed artigiana”. E ancora: “Dalle indagini svolte è emerso che esiste nel territorio locale un giro di usura nel quale risultano coinvolti amministratori comunali che avrebbero versato ad organizzazioni criminali somme di danaro di provenienza illecita, per il successivo reimpiego.

Alcuni amministratori inoltre sono risultati in rapporti di amicizia e di assidua frequentazione con noti esponenti della criminalità locale. Nel 1991 il Comune di Modugno ha erogato sussidi economici in favore dei pregiudicati Vincenzo ed Angelo Rutigliano, Francesco De Vito, Domenico Pilolli e Nicola Chimenti, benché gli stessi usassero circolare notoriamente su auto di grossa cilindrata. A Giuseppe Rutigliano, netturbino (padre di Angelo e Vincenzo), è stato attribuito un alloggio del Comune senza versamento del corrispettivo canone.

E così via sino ad arrivare a un sequestro di persona, quando alcuni affiliati chiusero nell’edificio comunale gli amministratori riuniti in seduta consiliare per impedirne l’uscita. Insomma, a Modugno, comandava una mafia molto aggressiva. Non è facile sradicarla e imposizioni su questioni edilizie ed urbanistiche sono continuate anche con le successive amministrazioni. A distanza di tanti anni, e con processi ancora in corso, fu eletto sindaco per la prima volta il magistrato Nicola Magrone. Neanche per lui è stato facile mettere a posto l’amministrazione pubblica. Fatto cadere nel 2014, è stato poi rieletto. E continua ad amministrare un paese “difficile”.

Saliamo in provinciale di Foggia dove il Consiglio di Mattinata è stato sciolto di recente, nello scorso aprile. Secondo il provvedimento adottato dal prefetto, il sindaco, Michele Principe, non riusciva ad opporsi alla mafia feroce del Gargano. Qualche esempio. Il Comune non svolge accertamenti antimafia sulle società che operano nel settore alberghiero, su locali di pubblico intrattenimento e stabilimenti balneari. Su 60 ditte iscritte nell’elenco fornitori dell’ente, soltanto 3 sono risultate in possesso di certificazione antimafia. Viene assunto come vigile urbano un parente di un pregiudicato. Tra i fondatori della Pro loco, beneficiaria di contributi comunali, c’è uno stretto familiare di un capoclan. Un “chiosco bar” collocato nella villa municipale è gestito da una società titolare di una concessione all’occupazione di suolo pubblico, il cui amministratore unico è un consigliere comunale del quale è stata documentata la vicinanza ad un boss. E si potrebbe continuare ancora per molto.

Solo qualche esempio di come in Puglia le mafie entrano a gamba tesa nella pubblica amministrazione per fare affari ma anche per ottenere benefici “minori”, con minacce e aggressioni, spesso contando anche su “basisti” interni, talvolta affiliati, altre volte “simpatizzanti”. Non sempre i “complici” dei mafiosi, i ricattati (in genere per voto di scambio), coloro che non hanno un cuor di leone tanto forte da reagire con coraggio a intimidazioni, si trovano tra gli amministratori locali.

La legge del 1991 ha dimenticato che morto un Consiglio comunale, se ne fa un altro, ma che i funzionari municipali restano sempre inchiodati al loro posto e che alcuni di loro potrebbero continuare a svolgere il ruolo di interlocutori delle mafie. Se vengono fermati, è solo perché sorpresi con le mani nel sacco dalla magistratura. E non sempre le prefetture, anche a fronte di provvedimenti giudiziari inequivocabili, come nel caso di Torre Santa Susanna (Brindisi), nel quale il clan della Scu dei Bruno ha comandato, ucciso, incassato concessioni pubbliche e private, intimidito, con attentati a raffica, gli amministratori, hanno preso la decisione conseguente.

C’erano nomi anche di parlamentari troppo in vista per rischiare uno scandalo. Allora si preferisce lasciare le cose come stanno. Ma che nessuno si permetta di dichiarare che la Sacra corona, così come le altre mafie pugliesi, si stia ritirando in buon ordine. Non è così. Come altrove in Italia, la mafia è cambiata e l’assalto alla diligenza delle pubbliche amministrazioni e degli affari continua.

 

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