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Processo trattativa: ”Dell’Utri opzione politica per Riina già nel 1992”  

Processo trattativa: ”Dell’Utri opzione politica per Riina già nel 1992”

Mafia-appalti, “Sicilia Libera” e “Falange Armata”, prosegue la requisitoria dei pm

 

15 Dicembre 2017

di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari

Il ruolo di Marcello Dell’Utri nella mediazione tra Cosa nostra e lo Stato “si proietta pienamente nel 1994 ma nasce già molto tempo prima. Proprio dopo l’omicidio di Salvo Lima”. Nel secondo giorno dedicato alla requisitoria del processo trattativa Stato-mafia, in corso all’aula bunker di Palermo, i pm evidenziano come il contatto con l’ex senatore sia nato tra la fine del 1991 e il primo semestre del 1992. “Dopo Lima – spiega il pm Roberto Tartaglia – cosa nostra cerca una interlocuzione con l’imputato Marcello Dell’Utri. Quest’ultimo è l’opzione politica individuata da Cosa nostra, da Riina in persona. E questo avviene con il classico metodo mafioso: l’avvertimento, le minacce, l’intimidazione, il contatto. Le intimidazioni sono gli incendi alle sedi Standa, a Catania, in seguito al quale si realizza il contatto ‘Cosa nostra-Dell’Utri’ per raggiungere il patto, poi il patto, e poi violenza e minaccia per mantenere il patto”.
Il pm fa particolare riferimento alla testimonianza del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca il quale ha riferito di aver parlato con Riina nel marzo 1992, dopo la morte di Lima, e che il boss corleonese gli disse delle nuove opzioni politiche “Vito Ciancimino, mi portarono pure sto Bossi, addirittura Marcello Dell’Utri”.
Poi cita il pentito catanese Filippo Malvagna che, fin dai primi anni Novanta, spiega come quegli attentati alla Standa fossero voluti dai corleonesi con una finalità duplice: “sia di estorsione e sia di altre cose che stavano a cuore a loro”. “Dopo i primi attentati – diceva sempre il pentito – il direttore della Standa aveva fatto sapere che erano scesi personaggi del gruppo Berlusconi”. Malvagna racconta che poi la cosa venne “chiusa” con un “alto personaggio di Berlusconi”. “Questi fatti vengono collocati tra la fine del 1991 ed il maggio 1992. Lo stesso periodo di Brusca – sottolinea Tartaglia – C’è poi il pentito Avola a dire che l’alto dirigente sceso altri non era che Marcello Dell’Utri”. Dichiarazioni che si aggiungono a quelle di Totò Cancemi, Pino Lipari ed Ezio Cartotto. Quest’ultimo, dipendente di Publitalia, racconta che Dell’Utri, subito dopo l’omicidio Lima, “gli dà un primo incarico ancora occulto, di creare comitati politici che raggruppassero persone provenienti da più partiti, per creare un partito alternativo. Gruppi che anticipano la creazione dei club di Forza Italia. Sempre prima di Capaci Dell’Utri gli spiega il suo progetto ‘sostituire Lima con qualcosa di altro tipo’”. “Dell’Utri in quel momento – sottolinea il pm – è pienamente consapevole dell’intimidazione e del rischio. E quando Cartotto chiede perché hanno ucciso Lima questi gli risponde ‘perché non mantenne la parola’”.
Anche Riina, secondo l’accusa, in una intercettazione del 22 agosto 2013, dice: “…lo cercavamo… lo misi sotto… dategli fuoco alla Standa… così lo metto sotto”. E poi anche il boss Giuseppe Graviano – anche lui intercettato mentre parla in carcere con il compagno di socialità: “… nel ’92 lui voleva scendere… ma c’erano i vecchi…”.
Ciò rientra, secondo i pm, “nel progetto, delirante, di Salvatore Riina, che prevedeva di eliminare i rami secchi (come Lima che non aveva rispettato i patti), contrapporsi allo Stato (le stragi). E successivamente di fare politica, prima attraverso Sicilia Libera”. Successivamente Cosa nostra decide di “puntare” invece su alcuni nomi da far convergere nel centrodestra, “facendo inglobare il progetto politico in Forza Italia”.

L’oscura sigla della Falange Armata
Altro tema affrontato nella discussione dell’accusa è quello delle rivendicazioni di omicidi e intimidazioni effettuate in quei primi anni Novanta dalla Falange Armata, oscura sigla che in Sicilia compare per la prima volta con l’omicidio Lima e che sarà presente in tutta la stagione delle stragi proprio a dimostrazione dell’esistenza di una “strategia unitaria”.
“Il giorno dell’omicidio Guazzelli (4 aprile 1992) – spiega Tartaglia – abbiamo una nuova rivendicazione con le stesse parole usate dopo l’omicidio Lima, una rivendicazione in cui si assume la ‘paternità politica e la responsabilità morale’ del delitto”. Sono alcuni collaboratori di giustizia, come Avola o Malvagna a spiegare come “era stato direttamente Riina in persona, nel corso delle riunioni di Enna, ottobre e novembre ‘91, a dire di rivendicare tutte le azioni con quella sigla”. La successione temporale delle rivendicazioni è impressionante. Dalle minacce al direttore del Dap Nicolò Amato a quelle contro Scotti. Poi l’ex ministro Mancino, Parisi, Scalfaro, Spadolini e Martelli. “Immediatamente dopo – aggiunge Tartaglia – c’è l’avvicendamento al Dap tra Amato e Capriotti. E’ la prima volta che la Falange Armata si complimenta con soddisfazione per la nomina parlando di ‘vittoria politica’. Poi, il 21 settembre 1993, ci sarà una nuova minaccia a Scalfaro. E’ il mese che precede quello cruciale che vedranno a scadenza i 41 bis applicati nel ‘92, in quel giorno la Falange Armata dice che ‘Scalfaro deve prendere una decisione, quello che pensa lo esprima chiaramente altrimenti saremo costretti a colpire di nuovo’”. Secondo l’accusa è evidente la prova di un progetto unitario di destabilizzazione istituzionale. E che vi fosse una regia unica che si celava dietro la sigla venne colto anche dall’ex Presidente del Senato Giovanni Spadolini. Che nei suoi diari definì la Falange Armata “uno degli strumenti della strategia di ricatto alle istituzioni della mafia supportata da rigurgito massonico”inserendo in questo contesto anche soggetti “reduci” della P2 di Licio Gelli.

Le indicazioni dell’Ambasciatore Fulci
Tartaglia, rivolgendosi alla Corte, ricorda la testimonianza al processo dell’ex ambasciatore Francesco Paolo Fulci in particolare rispetto alle verifiche effettuate quando era Presidente del Cesis da cui emergeva come le mappe dei luoghi da cui erano partite le rivendicazioni della Falange Armata coincidevano con quelle delle sedi del Sismi (il servizio segreto militare).

Corvo 2 e rapporto “Mafia-appalti”
Già la scorsa udienza Tartaglia aveva parlato del cambio di strategia di Cosa nostra che, dopo le condanne in Cassazione del maxiprocesso, si era in un primo momento decisa a colpire quei politici che l’avevano tradita per poi modificare l’obiettivo con la partita che si sposta in un altro campo. E’ così che sarebbero spariti dalla lista dei soggetti da eliminare personaggi come Calogero Mannino (assolto in primo grado nello stralcio del dibattimento trattativa). “Salvatore Biondino mi disse ‘fermati con Mannino’ e non ho mai saputo perché mi revocò quel mandato di morte”, ha raccontato il pentito Giovanni Brusca ai pm, come ricordato da Tartaglia. Per la Procura è la prova che Cosa nostra, su suggerimento di altri, ha cambiato linea ed è passata alla strategia terroristica, “ai morti innocenti, ai monumenti che verranno attaccati nel ’93”.
Tornando a parlare dell’ex ministro della Dc, il sostituto procuratore pone sotto la lente d’ingrandimento i rapporti “anomali” tra lo stesso e l’ex capo del Ros Antonio Subranni che, a suo dire, avrebbe fatto pressioni per archiviare prima possibile l’anonimo denominato “Corvo 2” in cui si parlava delle relazioni mafiose dell’ex ministro.
“Di quell’anonimo si occuparono Paolo Borsellino ed Aliquò che diedero delega al Ros ed allo Sco di indagare – ricorda Tartaglia alla Corte – Subranni si muove per far archiviare quell’indagine ma in segreto ci lavora con Bruno Contrada, così come è scritto nelle agende di quest’ultimo. Lo stesso Mannino, nel suo processo, confessava di aver chiesto aiuto a Subranni sul Corvo 2. E’ l’ennesimo tradimento da parte di Subranni, di ogni dovere istituzionale con un fine: la società con Mannino”.
“Non sappiamo se la frase ‘un amico mi ha tradito’ di Borsellino, fosse riferita a Subranni – conclude Tartaglia – Però sappiamo che Agnese Borsellino nella sua ultima settimana di vita, così come aveva raccontato a Cavaliero, ha detto che il marito le disse ‘Ho visto la mafia in faccia, Subranni è punciuto!”.
Per quanto riguarda il rapporto “Mafia-appalti”, spesso usato come argomento difensivo da parte di alcuni imputati, Tartaglia sottolinea un fatto: “Viene usato come panacea di tutti i mali. In realtà che Mannino potesse aver avuto un rapporto anomalo e fittissimo con il Ros, è dimostrato anche dall’indagine ‘Mafia-appalti’”. Tartaglia evidenzia l’esistenza di una doppia informativa. Una, consegnata alla Procura di Palermo, dove non erano presenti i nomi di certi politici, tra cui Mannino. Un’altra, finita nelle mani degli organi di stampa, in cui vi erano intercettazioni chiare dove i nomi dei politici comparivano.

Dividi et impera
Infine si è parlato delle Leghe autonomiste fondate da personaggi vicini ad eversione nera e massoneria come Stefano delle Chiaie o il legale di quest’ultimo, Stefano Menicacci. In Sicilia erano gli anni in cui Leoluca Bagarella progettava di scendere in campo con il partito di Cosa nostra: Sicilia Libera. “C’è una continuità nei progetti di creazione di queste Leghe – spiega Tartaglia – C’è l’idea di esportare al Sud il progetto federalista e nelle riunioni che si svilupperanno dalla fine degli anni Novanta già si parla della creazione di tre macroaree geografiche”. Secondo la ricostruzione dell’accusa è evidente come nei programmi di queste Leghe si parli anche di questioni legate al carcerario, di autonomia tributaria e di defiscalizzazione. Argomenti che rientreranno anche nel papello stilato da Cosa nostra.

(segue)