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Processo Stige: così vi fu l’ascesa del clan Farao-Marincola

Processo Stige: così vi fu l’ascesa del clan Farao-Marincola

Nel processo, emerso il collegamento col mondo politico-imprenditoriale di Cirò

Depositate le motivazioni della sentenza

01 Aprile 2020

di AMDuemila

Negli anni il clan Farao-Marincolaha attuato un deciso cambiamento di rotta, di strategie, nella duplice direzione di estendere la sua azione pervasiva in altri territori, sia in Italia che all’estero. E di convogliare l’attenzione e le risorse economiche verso settori, quali servizi di raccolta, riciclaggio e smaltimento di rifiuti solidi urbani, produzione e distribuzione di carta e materiali plastici, distribuzione di prodotti alimentari, accoglienza migranti, attività commerciali, dalle quali ricavare ingenti profitti. A metterlo nero su bianco è il gup, Giacinta Santaniello, nelle motivazioni di sentenza del processo in abbreviato “Stigeche il 25 settembre scorso ha portato a 66 condanne, per un totale di ben 605 anni di carcere contro la “holding criminale” legata alla cosca della ‘Ndrangheta Farao-Marincola di Cirò. Il processo è nato dall’omonima maxi operazione antimafia di due anni fa, condotta dalla Dda di Catanzaro ed eseguita dai Carabinieri del Ros, nella quale scattarono le manette per 169 tra boss, sindaci, vice sindaci e imprenditori.
Come riportato da diversi quotidiani, nelle 1252 pagine di motivazione di sentenza, il gup ha riassunto in 15 capitoli quelli che sono state le attività, i settori economici, nonché i rapporti di forza della potente cosca Farao-Marincola, analizzando inoltre i legami con il mondo politico-imprenditoriale.

I condizionamenti nella politica
Per quanto riguarda i rapporti con la pubblica amministrazione, in particolare nel comune di 15mila anime di Cirò Marina (Crotone), dove è nata la cosca, il giudice ha sottolineato come per 10 anni, dal 2006 al 2016, gli elementi apicali del clan si sono interessati attivamente a far eleggere i sindaci
Nicodemo Parrilla (eletto nel 2006 e 2016) e Roberto Siciliani (eletto nel 2011), ma anche per la nomina ad assessore di Giuseppe Berardi. Quest’ultimo, ritenuto affiliato alla consorteria dei Farao-Maricola, ora si trova a processo a Crotone insieme a Parrilla.
Sull’ex sindaco ed il
fratello Nevio, entrambi condannati a 8 anni di reclusione (il reato è stato derubricato da associazione mafiosa a concorso esterno), il giudice ha affermato che “hanno favorito in diversi modi gli ‘ndranghetisti ottenendo in cambio protezione e voti durante tornate elettorali che hanno visto interessati i vari rappresentanti della famiglia”. Secondo il giudice, inoltre, la società amministrata da Roberto Siciliani, la “Ionica Immobiliare”, “era lo strumento attraverso il quale la famiglia metteva a disposizione degli esponenti del locale di Cirò il proprio ingente patrimonio immobiliare”. E ancor più importante, come ha sottolineato il gup, non ci sarebbero dubbi sul fatto che “l’attività amministrativa di Roberto Siciliani quale sindaco era complessivamente tesa ad avvantaggiare il sodalizio”. Ma dubbi non vengono sollevati neanche “sull’esistenza di un accordo al fine di garantire il sostegno elettorale di Roberto Siciliani per candidatura nelle competizioni 2011”, né sulla consapevolezza “della caratura criminale dei suoi interlocutori” alla luce anche della “cessione di immobili realizzata mediante negozi giuridici fittizi”. Tutto ciò perché, ha osservato il giudice, “l’individuazione di nuovi settori economici non poteva prescindere dalla instaurazione e mantenimento di collegamenti illeciti con le istituzioni locali”.

Imprenditori coinvolti e non
Nelle motivazioni della sentenza emergono anche quelle che sono state le ingerenze del clan nel settore imprenditoriale e i rapporti con alcuni imprenditori. Tra questi non passa inosservato il nome
Franco Gigliotti, originario di Torretta di Crucoli, che aveva costruito un piccolo impero nel settore dell’impiantistica nel parmense. Secondo il giudice, Gigliotti, che è stato condannato a 10 anni di carcere, “deve essere considerato a tutti gli effetti un partecipe alla consorteria mafiosa”. Le indagini, infatti, hanno disvelato “gli accordi che nel tempo ha raggiunto con i vertici della cosca cirotana mettendo a disposizione dell’organizzazione somme di denaro, impiegando nelle proprie aziende forza lavoro proveniente dai ranghi del sodalizio (per la quale sosteneva un costo annuo di 300mila euro) impegnandosi a realizzare ulteriori attività imprenditoriali funzionali ai disegni criminosi del clan, accrescendo contemporaneamente sia il proprio patrimonio che quello di tutta la consorteria”. A riprova di ciò ci sono le relazioni frequenti, riscontrate da intercettazioni telefoniche e ambientali, con esponenti di rango della cosca cirotana come Vito Castellano e Vittorio Farao, ma anche Martino Cariati e Giuseppe Spagnolo per il quale avrebbe ampliato e ristrutturato un lido balneare a Cirò Marina. Pertanto Gigliotti, scrive il gup, era “imprenditore protetto ed asservito al sodalizio criminale, assolutamente intraneo alle dinamiche criminali”. Ma, se da un lato sono stati comprovati gli stretti legami di alcuni imprenditori con il sodalizio, dall’altra ce ne sono molti altri (finiti a processo e poi assolti) che in realtà sono risultati vittime di intimidazioni da parte del clan. O semplicemente, secondo il Gup, ne erano estranei. Come Teresa Clarà, assolta dall’accusa di intestazione fittizia di quote della società, gestita in maniera occulta da Giuseppe Clarà, suo padre, che deve rispondere di concorso esterno al processo ordinario per essersi guadagnato appalti pubblici grazie ai legami con la potente cosca Grande Aracri. O come Domenico Cerrelli da Casabona, accusato di partecipazione al clan Marina di Cirò e di trasferimento fraudolento di valori insieme a Domenica Cerrelli, sua cugina. Secondo il gup sarebbe stato in realtà Francesco Tallarico, ritenuto il boss della cosca di Casabona, a interferire nella gestione delle società di carburante di Cerrelli al punto di averne per giunta riscosso i crediti. Al punto che, scrive il gup, “non sono emerse condotte ascrivibili a Cerrelli, commesse nel suo ruolo di vicesindaco di Casabona, non risultando nemmeno un episodio nel quale, in tale veste, abbia favorito gli interessi di Tallarico né tantomeno quelli della cosca”.

 

 

fonte:http://www.antimafiaduemila.com/