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Processo Pip, sul banco dei testimoni il tenente colonnello Sferlazza: “Ecco come è partita l’indagine e cosa scoprimmo”

Processo Pip, sul banco dei testimoni il tenente colonnello Sferlazza: “Ecco come è partita l’indagine e cosa scoprimmo”

Da redazione

Un’udienza attesa, durata moltissime ore (fino al tardo pomeriggio) quella andata in scena oggi al tribunale Napoli nord di Aversa. La prima udienza con i due principali imputati, Aniello e Raffaele Cesaro, non più collegati in videoconferenza dal carcere di Terni. I due imprenditori, infatti, sono da qualche giorno agli arresti domiciliari fuori regioni e già dalle prossime udienze – come anticipato dall’avvocato Maiello – saranno verosimilmente presenti in aula.

Il primo a salire sul banco dei testimoni è stato Giuseppe Bruno, ex commercialista dei Cesaro. Bruno, che era già stato sottoposto una settimana fa alle domande del pm Di Mauro e di parte del collegio difensivo, è stato sottoposto alle domande incalzanti degli avvocati Briganti ed Esposito, difensori di Antonio Di Guida e Salvatore Polverino, entrambi imputati assieme ai Cesaro.

Molte le domande rivolte a Bruno, perlopiù incentrate sui ricordi delle riunioni che si tennero nel 2006 nelle masserie dei Simeoli e, successivamente, nello studio del centro sportivo di Sant’Antimo.

I difensori hanno puntato l’indice sulle diverse dichiarazioni rese da Bruno agli inquirenti nel maggio del 2017, allorché – dopo il sequestro dell’area Pip di Marano – decise di rendere dichiarazioni ai carabinieri del Ros e alla pubblica accusa.

Bruno aveva riferito della presenza alle riunioni di alcuni figli di Simeoli e di essere certo che almeno uno dei presenti si chiamava Carlo. Gli avvocati della difesa hanno contestato a Bruno di aver cambiato versione in più occasioni sul numero dei figli di Angelo Simeoli che avrebbero preso parte ai summit con i Cesaro e altri personaggi definiti dallo stesso Bruno “poco rassicuranti”. “Dopo il secondo incontro che si tenne nella masseria di Angelo Simeoli – ha ribadito Bruno – dissi a Cesaro Raffaele che non mi sarei più recato in quel posto. Durante il secondo incontro, quando Simeoli riferì di essere finito sotto i riflettori dell’antimafia, mi resi realmente conto di essermi imbattuto in ambienti di malaffare. Mi sembrava una scena di un film che avevo visto anni addietro:”I Marsigliesi”.

A Bruno sono state mostrate anche le foto di alcuni personaggi che avrebbero partecipato ai summit, tra cui Giuseppe Polverino e Antonio Di Guida, che il teste avrebbe (senza averne la certezza) intravisto a quelle riunioni. Anche in questo caso non sono mancate le contestazioni dei difensori degli imputati, che hanno evidenziato discrasie tra le varie dichiarazioni rese, le repliche (talvolta stizzite di Bruno) e gli interventi del presidente del collegio Chiaromonte tese a mettere ordine. Bruno ha più volte chiarito che dopo la prima deposizione, durata molte ore, ha avuto successivamente il tempo di fare mente locale, riordinare i ricordi e che quindi sono da ritenersi valide le ultime dichiarazioni (in ordine di tempo) rese agli inquirenti.

Attesissima era la deposizione del tenente colonnello Salvatore Sferlazzo, a capo dei carabinieri del Ros che si sono occupati delle indagini sul complesso industriale di Marano.

Sferlazza ha ricostruito e snocciolato i punti salienti delle indagini, culminate con l’arresto dei fratelli Cesaro, del tecnico Oliviero Giannella, da tempo ai domiciliari, di Antonio Di Guida, detenuto a Matera, e degli altri imputati.

L’inchiesta.

L’indagine è partita nel febbraio del 2015 – ha spiegato l’ufficiale dell’Arma – traendo spunto da una nota sul contesto criminale di Marano, dalle dichiarazioni di alcuni pentiti, dalle informazioni avute su Antonio Di Guida e sui contrasti, esistenti a quel tempo, tra lui e il sindaco dell’epoca Angelo Liccardo. L’attività di indagine si è arricchita di altri particolari, tra cui quelli relativi alle elezioni regionali del 2015. E’ stata un’attività complessa, abbiamo dovuto ricostruire eventi che si erano ormai cristallizzati da anni. Abbiamo prodotto un’attività tecnica-documentale imponente. Il progetto Pip è nato con l’ex sindaco Bertini nel 1999 – ha aggiunto Sferlazza – il progetto si è sviluppato attraverso vari step: i passaggi in Provincia, lo studio di fattibilità, la nomina di Nico Santoro quale progettista dell’opera, la pubblicazione del bando e l’aggiudicazione della gara. E ancora: la questione espropri, le opere di urbanizzazione, la nomina di Pitocchi e il rilascio dei permessi di costruzione dei capannoni.

La genesi.

Inizialmente il Pip doveva essere un’opera completamente ad appannaggio del Comune, poi, dopo il 2001, fu trasformato in un project financing”. Sferlazza ha fatto riferimento alla vicenda della società Giustino, che avrebbe, assieme alla società dei Cesaro, risposto alla manifestazione d’interesse voluta dal Comune. L’ufficiale del Ros ha ricordato che, nel corso delle indagini, emersero anomalie in relazione alle missive interne al Comune di Marano, in particolare tra l’ufficio protocollo e l’area tecnica diretta in quel periodo da Armando Santelia. “Notammo palesi incongruenze in una missiva indirizzata all’ufficio tecnico, recante la firma della dipendente Principe palesemente falsificata. Firma da attribuire invece all’architetto Santelia, così come accertato dai periti”.

I Ros, a quel punto, decisero di intercettare l’ex dirigente del settore tecnico di Marano che, secondo il racconto di Sferlazza, avrebbe manifestato i suoi timori per le indagini che dal 2016 partirono ufficialmente sul Pip. “Santelia – ha precisato il comandante del Ros – temeva di incappare in un’accusa per mafia. Ci fu poi la vicenda degli espropri e della riunione che si tenne nella frazione di San Rocco. I particolari di quella riunione con i contadini della zona ci furono raccontati dall’ex sindaco Bertini e dall’ex assessore Sgariglia. Decidemmo, poi, di intercettare l’agronomo Paolo Di Maro, che si era occupato proprio degli espropri dei terreni dove sarebbe poi sorto il Pip. Grazie a quelle intercettazioni avemmo ulteriore conferma dei rapporti esistenti tra i Cesaro e Angelo Simeoli. In auto Di Maro, intercettato in un colloquio con la consorte, fece capire di temere che potessero associarlo ad Angelo Simeoli. Altri spunti ce li fornì il collaboratore di giustizia Biagio Di Lanno e l’altro collaboratore Roberto Perrone. Di Lanno fece riferimento ad un incontro che si tenne a Marano e al quale presero parte, oltre allo stesso pentito, Sabatino Cerullo (affiliato al clan Polverino), e gli Sciccone, imprenditori di Marano che si sarebbero dovuti occupare del movimento terra”.

La Cafa 90. 

Altri contributi ci vennero forniti dal pentito Diana, che aveva conosciuto in carcere Gaetano Montalto, a capo della Cafa 90, società per la fornitura di calcestruzzo riconducibile ai Polverino. La Cafa fornì regolarmente il cemento per il Pip fino all’arresto di Montalto. Decidemmo di intercettare anche il capoclan, in carcere, durante un colloquio con la sorella. Polverino esclamò, in riferimento al sequestro del Pip (avvenuto nel dicembre del 2016) e ai fratelli Cesaro, che verosimilmente erano in debito con Polverino, che “l’hann accirer”.

I carabinieri di Caserta.

I militari di Caserta, che nel 2011 indagarono sul Pip di Lusciano e anche, seppur indirettamente, su quello di Marano, hanno fornito molti spunti utili ai carabinieri del Ros che pochi anni dopo riaccesero i riflettori sul complesso maranese di via Migliaccio. Non si è mai compreso, purtroppo, il motivo per cui i militari di Caserta non affondarono il “colpo” anche su Marano. Di fatto i Ros, intervenuti 4 anni dopo, dovettero fare i conti con molte posizioni ed eventi ormai prescritti.

Ci sono stati di grande aiuto – ha ammesso Sferlazza – soprattutto perché avemmo la conferma dei rapporti pre-esistenti tra i Cesaro e i Simeoli, tra Nico Santoro, voluto dall’ex sindaco Bertini al Comune, e Giannella, e tra Santoro e i Cesaro”. Santoro era stato nominato da Bertini (con decreto sindacale) progettista del Pip di Marano. Dai Cesaro, pochi anni prima invece, loro consulente per il Pip di Lusciano, finito anch’esso nel mirino della magistratura.

Giannella non aveva alcun ruolo istituzionale – ha chiarito Sferlazza – eppure interagiva regolarmente con Santoro. I due si incontravano al Comune di Marano. Cesaro Raffaele aveva un atteggiamento di grande deferenza nei confronti di Angelo Simeoli, tanto da chiamarlo “padrone” nel corso di un colloquio telefonico. Ci risultò chiara, dalle nostre investigazioni, lo stretto rapporto di collaborazione tra Salvatore Polverino, meglio noto come “Toratto”, e l’ingegnere Giannella. Giannella si interessò, in particolare, a un capannone formalmente intestato ad Antonio Visconti ma in realtà nelle disponibilità di Polverino. Un interessamento successivo alle indagini e alle verifiche avviate dal Comune di Marano sull’area industriale.

Clan Orlando.

Le indagini hanno consentito alla Procura di fare luce anche sulle dinamiche criminali che si svilupparono tra il 2015 e il 2016 nella città di Marano. “Gli Orlando avevano soppiantato i Polverino – ha ribadito il capo della sezione del Ros – e per questo si presentarono dagli imprenditori ritenuti vicini al vecchio sistema dei Polverino, tra cui Antonio Di Guida. Gli dissero che doveva versare una tangente da 200 mila euro. Analoga richiesta la fecero al cugino Pasquale. Nello studio di Di Guida, a Marano, si presentò Vincenzo Lubrano che esclamò la seguente frase: “Ora comandiamo noi e noi dovete fare capo”.

Per quelle richieste estorsive – ha aggiunto ancora Sferlazza – si interessò anche Giannella, che interpellò Salvatore Polverino con l’obiettivo di richiedere un intervento del padre, Antonio Polverino, a quel tempo latitante. Nel corso delle indagini ci siamo occupati della vicenda di Villa dei Gerani, del parco Emanuele di San Giovanni a Teduccio, della società Ginevra, della Vasad, della Miramar. Incrociammo diversi dati, frutto di intercettazioni telefoniche e ambientali e di videoregistrazioni. Scoprimmo che per Villa dei Gerani, progettata da Di Guida, imprenditore dei Polverino, e Cesare Basile, defunto imprenditore del clan Mallardo, fu chiesto uno sconto ai Lo Russo per la tangente da versare”.

 

19 Marzo 2019

Fonte:www.terranostranews.it