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Porti italiani;la grande abbuffata.

Una panoramica  di Repubblica sulle inchieste in corso.Fra queste anche quella che riguarda il sistema porti del Lazio,Civitavecchia-Fiumicino-Gaeta.Pochi mesi fa noi abbiamo pubblicato sul sito dell’Associazione Caponnetto la Relazione redatta dal Servizio Generale di  Finanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze pervenutaci  anonimamente.Dopo tale pubblicazione ci pervenne una telefonata di un ‘altissima personalità dello staff di  uno dei massimi vertici istituzionali italiani il quale ci chiedeva la cortesia di trasmetterle  la copia della Relazione integrale del MEF in quanto sul  nostro non appariva integralmente.Cosa che facemmo immediatamente,come pure abbiamo fatto,come abbiamo ritenuto nostro dovere,trasmettendola il 4 marzo u.s. alle Procure della Repubblica di Roma,Civitavecchia,Cassino ed a quella della Corte dei Conti del Lazio.

Quando interviene la Magistratura,bisogna tacere,osservare il massimo riserbo ed aspettare  le sue conclusioni.
Noi siamo abituati ad osservare questa regola e  a non esprimere alcun giudizio..

I porti d’oro del sistema Incalza

I porti d'oro del sistema Incalza

Miliardi di euro da spendere nel giro di tre anni per ammodernare i 15 hub portuali del paese. È su questo tesoro che si sono scatenati gli appetiti delle solite imprese legate al super manager delle Infrastrutture finito agli arresti per corruzione. Affari su cui vogliono fare chiarezza gli investigatori, come nel caso della piastra logistica di Taranto o del maxi appalto per Civitavecchia, dove tra l’altro il ministero dell’Economia ha denunciato l’esistenza di una scandalosa parentopoli

di DANIELE AUTIERI e FABIO TONACCI

Affari miliardari da Genova a Salerno
A Taranto rivive il vecchio legame con Signorile
Le strane assunzioni del modello Civitavecchia

Affari miliardari da Genova a Salerno
di DANIELE AUTIERI e FABIO TONACCI
ROMA – La geografia degli affari riscritta dalla cricca delle grandi opere va ben oltre la terraferma. Il ricco bottino su cui mettere le mani si chiama business del mare: 10,2 miliardi di euro di investimenti secondo il programma 2013-2015 delle infrastrutture strategiche (mentre quelli del piano 2014-2016 sulle strutture portuali sono quasi 6), divisi tra 15 hub portuali. Da Taranto a Venezia, da Civitavecchia a Genova, da Salerno a Gioia Tauro, 82 maxi-appalti (nella tabella qui sotto i principali) assegnati sotto la supervisione del grande mandarino del ministero delle Infrastrutture,
Ercole Incalza, attualmente agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione.

“Incalza? Dai porti ai parcheggi decideva tutto lui”

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A fissare le coordinate delle commesse attraverso l’indizione della gara e il controllo sui cantieri sono le 23 Autorità portuali italiane, soggetti pubblici controllati dagli enti locali e guidati da un presidente scelto di concerto tra Regione e Provincia, ma con l’ultima e decisiva parola del ministro delle Infrastrutture. Il grosso delle risorse arriva però dal Cipe e la rotta sulle opere da finanziare viene ancora una volta indicata dal dicastero passato recentemente sotto la responsabilità di Domenico Del Rio. Il sistema vale miliardi, ma alla tavola siedono in pochi e i soggetti privati in campo sono sempre gli stessi, capaci di passare dal Mose al porto di Savona. E oggi le attenzioni si concentrano su due su due realtà simbolo della nuova portualità italiana: Taranto e Civitavecchia.

I principali investimenti previsti dal Programma infrastrutture strategiche 2013-2015
Costo ml euro Disponibilità ml euro
Hub portuale di Civitavecchia lotto 1 194,65 195,65
Collegamento tra porto di Ancona e grande viabilità 479,77 479,77
Piastra portuale di Taranto 219,58 219,58
Savona, nuovi varchi doganali 30,24 30,24
Hub Trieste piattaforma logistica Stralcio 1 132,43 132,43
Hub Trieste piattaforma logistica Stralcio 2 184,50 0,00
Collegamenti ferroviari piattaforma Logistica di Trieste 250,00 0,00
Hub portuale di Ravenna 137,00 137,00
Hub portuale di Venezia 2.467,00 1.732,00
Hub portuale porto di Napoli 240,00 240,00
Nuova darsena porto di Levante 450,00 410,00
Hub portuali porto di Salerno 73 73
Hub portuali Catania Stralcio 1 77,92 81,15
Hub portuali Catania Stralcio 2 28,15 13,51
Hub interportuale Termini Imerese 78,87 78,87
Fonte: elaborazioni “RE Inchieste” su dati del Ministero delle Infrastrutture

A Taranto rivive il vecchio legame con Signorile
di DANIELE AUTIERI
ROMA – Le ombre del sistema Incalza si allungano fino a Taranto. Nella sua Puglia. La terra dove il deus ex machina delle grandi opere ha mosso i primi passi sulle spalle dell’ex-ministro socialista Claudio Signorile. Secondo i carabinieri del Ros “l’ex-ministro e suo figlio Jacopo, per vicende riguardanti appalti pubblici, sono tuttora in rapporti, sia con Incalza che con Stefano Perotti”.

Uno spunto, che oggi permette di arrivare a qualcosa di più, e di seguire il filo delle relazioni fino in Puglia e in una delle opere più ambiziose della regione: la piastra logistica del porto di Taranto. L’opera vale una fortuna: 219,1 milioni di euro. Naturalmente lievitati rispetto ai 156,1 milioni previsti dalla prima delibera Cipe del 2003. Tanto denaro per migliorare la dotazione infrastrutturale del porto e realizzare una piattaforma logistica integrata per lo scambio delle merci tra le navi e la ferrovia. Ma a Taranto c’è di più e oggi i carabinieri del Ros e i pubblici ministeri di Firenze stanno cercando di approfondire le modalità di assegnazione del maxi appalto e soprattutto la composizione dell’Ati che dal 2002 guida i lavori.

Nella compagine delle imprese un piccolo ma decisivo ruolo viene svolto dalla Logsystem International. La società ha una sede principale a Roma (in via Venti Settembre) e un bilancio dai numeri contenuti (179mila euro i ricavi nel 2013 e 989 euro gli utili a fine anno). Eppure è la sua composizione azionaria che non passa inosservata. Il 50% è controllato dalla Proter srl, società partecipata al 75% da Jacopo Signorile (figlio dell’ex-ministro Claudio) e al 25% da Felice Borgoglio, altra vecchia conoscenza dei socialisti italiani. Il 5% di Logsystem è poi in mano ad Eurolog srl (altra società dove figurano ancora Jacopo Signorile e Borgoglio), mentre il restante 45% è detenuto dalla Argo Finanziaria, azienda del gruppo Gavio, presieduta da Beniamino Gavio.

Non è tutto: nel cda della Logsystem siede l’ex capocorrente del Psi Claudio Signorile, l’uomo che negli anni ’80 portò con sé un giovane Ercole Incalza all’allora ministero dei Trasporti. Un sodalizio di ferro, stretto in nome della comune fede politica e rinnovato trenta anni dopo nel corso della Convention dei socialisti organizzata il 7 novembre scorso dalla fondazione “Riformismo forte” dello stesso Signorile senior. In quell’occasione, seduti uno accanto all’altro, si sono trovati il figlio Jacopo Signorile e Incalza, chiamati entrambi a parlare delle risorse finanziarie e territoriali per l’economia della grandi opere. Del resto, le frequentazioni tra gli amici di vecchia data sono assidue. All’interno della sua informativa il Ros dei carabinieri annota anche una cena al ristorante “Pani e pesci” di Roma tra l’ex supermanager delle Infrastrutture e i due Signorile, padre e figlio. È il 27 gennaio e si parla di appalti.

L’incontro tra Incalza e i Signorile

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  • {}In questa galleria le foto inedite realizzate dal Ros dei Carabinieri che documentano l’incontro tra Ercole Incalza e i Signorile (padre e figlio) al ristorante Pani e Pesci di Roma…
    Nell’immagine Ercole Incalza, l’ex-ministro Claudio Signorile e Sandro Pacella all’esterno del locale

Per i soggetti seduti intorno al tavolo la piastra di Taranto è un’opera decisiva anche in virtù delle imprese e degli amici presenti in Ati. La famiglia Gavio, prima di tutto, la stessa che attraverso la Argo Finanziaria almeno fino al 2010 ha pagato incarichi di consulenza al genero di Incalza, Alberto Donati. Ma soprattutto la Grandi Lavori Fincosit, il vero asso piglia tutto di tanti appalti affidati dalle Autorità portuali italiane. Nel business del mare Fincosit ha portato a casa un sostanzioso jackpot assicurandosi la maxi-commessa da 130 milioni di euro per il porto di Civitavecchia (in Ati ancora con Gavio), i lavori di Vado Ligure, quelli del porto di Savona, il porto e il waterfront realizzati per il G8 della Maddalena e parte del Mose di Venezia.

L’azienda è già rimasta impigliata nelle inchieste della magistratura e, proprio per il suo coinvolgimento nel sistema di corruttela del Mose di Venezia, il suo patron Alessandro Mazzi è stato arrestato. In quell’occasione gli inquirenti veneti mettono a verbale le preoccupazioni di Ercole Incalza e le cimici del Ros intercettano un significativo commento di Giulio Burchi (l’ex-presidente di Italferr arrestato nell’inchiesta fiorentina): “Ma soprattutto hanno preso Mazzi… Mazzi non è abituato a stare dentro, a cantare ci mette dai sette agli otto nanosecondi…”.

Mazzi e la Fincosit sono pedine importanti. Nella sua casa romana di via Cortina d’Ampezzo la Guardia di Finanza ha trovato quadri di Canaletto mentre l’azienda macina ricavi nell’ordine dei 700 milioni di euro. Una fortuna che finisce nelle tasche dei due fratelli Mazzi e della controllante Italholding che ne detiene la maggioranza. Ma a parte il 37,5% intestato ad Alessandro, la maggioranza è divisa tra due fiduciarie, la Istifid spa e la Spafid del gruppo Mediobanca. Ed è dietro lo schermo protettivo di queste due società che i movimenti di denaro fanno perdere le loro tracce.

Le strane assunzioni del modello Civitavecchia
di FABIO TONACCI
ROMA – C’è un “sistema”
nel porto di Civitavecchia. Che ne governa le dinamiche, dentro e fuori il perimetro dell’Autorità Portuale, guidata dal 2011 dal presidente Pasqualino Monti. Un sistema che ne condiziona gli appalti, decide gli incarichi di collaborazione (245 in quattro anni), indirizza le assunzioni: 41 dal 2009 al 2013, tutte per chiamata diretta, una gran parte affidata a figli, fratelli, mogli, amici. E dove ritorna un nome, quello di Edgardo Azzopardi titolare della Rogedil Servizi srl, già coinvolto nell’inchiesta sulla cricca dei Grandi Eventi. Un filo che, se afferrato, porta fino al ministero dei Trasporti, sino a qualche mese fa “territorio” del dominus delle Grandi Opere Ercole Incalza.

Autorizzati in tre giorni. La parentopoli del porto di Civitavecchia è contenuta in un documento di 65 pagine, la relazione dell’Ispettorato generale della Finanza, esito di una verifica durata un mese, dal 17 aprile al 15 maggio dello scorso anno. Già l’ampliamento del 34 per cento della pianta organica dell’Autorità portuale, richiesto nel 2011 da Pasqualino Monti e autorizzato dalla Direzione generale per i porti del ministero per le Infrastrutture e i Trasporti (Mit), poggia su basi fragili. “Il traffico di passeggeri – scrive l’ispettore Jair Lorenco del ministero dell’Economia  –  non sembra idoneo a giustificare l’aumento del personale, essendo ormai stabile dal 2008”. Non c’era un aumento di lavoro in crescita, tale da giustificare le assunzioni. Tant’è che la stessa richiesta era stata già bocciata dal Mit nel 2008 e ancora nel 2011, pochi mesi prima della nomina di Monti. Ma nello stesso anno, arriva la frettolosa autorizzazione. “Tra la richiesta dell’Autorità portuale – annota Lorenco – e l’autorizzazione dell’amministrazione vigilante sono intercorsi solo tre giorni lavorativi che hanno visto anche le dimissioni del governo in carica”. Erano le ultime ore a Palazzo Chigi di Silvio Berlusconi, l’Italia era senza governo, ma negli uffici del Mit qualcuno aveva il tempo di firmare l’autorizzazione.

Incarichi anche ai dirigenti incaricati dei controlli. Nella relazione l’ispettore analizza, uno per uno, gli incarichi di collaborazione e i contratti conferiti dal 2009 al 2013, alcuni stipulati su “fogli di carta semplice con la sola data e firma, senza nessun elemento che ne garantisca la collocazione temporale e la sequenza cronologica”. Scorriamo qualche nome. Pier Vincenzo Ciccone ha ottenuto quattro incarichi dal 21 settembre 2011 in poi, per un totale di 112.200 euro. “Il soggetto ha ricoperto fino al 30 giugno 2011 la funzione di dirigente della Direzione generale per i porti (del ministero dei Trasporti, ndr): desta perplessità il conferimento di incarichi a un soggetto che fino a tre mesi prima era preposto all’approvazione degli atti dell’ente che conferisce l’incarico”.

Maria Antonietta Cubellis, attualmente in servizio presso la stessa Direzione, dal settembre del 2013 fa parte anche del Collegio dei revisori dei conti dell’Autorità portuale. Nel 2012 ha ottenuto un mandato di consulenza per una controversia sul nuovo Porto di Fiumicino, da 35.000 euro. Scrive l’ispettore: “L’incarico non sembra attinente all’opera citata, la consulenza sembra non avere nessuna utilità specifica, perplessità sull’opportunità di nominare nel collegio dei revisori chi dovrà svolgere funzioni di controllo sullo stesso ente”.

Controllori, in buona sostanza, che lavorano per i controllati. E ancora: Federica Ievolella, quattro incarichi per 43.000 euro, nonostante “il curriculum vitae non sembra adeguato agli incarichi”. E’ la figlia del segretario generale dell’Autorità portuale. Pietro Monti, quattro incarichi per 32.242 euro, fratello del presidente Pasqualino. La conclusione di Lorenco è devastante: “La figura dell’assistente al Rup viene utilizzata come una sorta di cavallo di Troia per cooptare all’interno dell’Autorità profili senza nessuna esperienza professionale pregressa o per aggirare le norme di contenimento della spesa pubblica relativa alle consulenze”.

Le assunzioni a chiamata diretta. Quelle citate sin qui erano “solo” collaborazioni temporanee. Poi ci sono le 41 assunzioni, tutte per chiamata diretta, già viziate – secondo l’Ispettorato generale della Finanza – nel momento stesso in cui venivano disposte: “Le commissioni (che hanno deciso sui nomi) hanno semplicemente valutato l’unico curriculum che l’amministrazione di volta in volta ha messo a disposizione per la singola posizione da ricoprire”. Rendendole di fatto mere certificatrici di decisioni già prese. Tra gli assunti nel 2011, un altro “transfuga” della Direzione dei Porti del Mit: Claudio Cardaio. “Il curriculum è adeguato”, si legge nella relazione. “Ma desta perplessità sia la provenienza dai ranghi dell’amministrazione vigilante, sia la notevole integrazione ad personam del trattamento economico”.

Un’integrazione di 2.500 euro mensili in più, pari al 90 % del trattamento economico di base, per chi fino a poco tempo prima era dall'”altra parte”, cioè nell’ufficio che quell’Autorità portuale aveva il compito di controllare. Non è un caso unico, è quasi una regola. Tanto che, conclude l’Ispettorato, “dalla fine del 2011 l’ente ha assunto alle proprie dipendenze il funzionario addetto al demanio della Capitaneria di Porto di Civitavecchia, il comandante della polizia municipale di Civitavecchia, un funzionario della direzione generale dei porti del Mit con competenze sul demanio, l’ex commissario straordinario dell’ente, l’ex sindaco di Gaeta, un funzionario della direzione generale dei porti con mansioni di vigilanza amministrativo-contabile”.

Le controdeduzioni prodotte dall’Autorità portuale di Pasqualino Monti (nominato dall’allora ministro Altero Matteoli) non hanno convinto l’Ispettorato, che ha inviato tutte le carte all’Autorità Nazionale Anticorruzione. Gli enti portuali hanno autonomia finanziaria, questo è vero. “Ma le loro entrate – osserva Jair Lorenco – sono costituite da canoni di concessione delle aree demaniali, dalle tasse sulle merci e dai contributi degli enti territoriali: tutte entrate che, altrimenti, affluirebbero al bilancio dello Stato”. Insomma, le autorità portuali non possono fare come gli pare. Eppure, talvolta, lo fanno.

Il caso Port Mobility e la Rogedil di Azzopardi. Port Mobility è una spa nata nel 2004, cui è stato affidato in concessione per 30 anni il servizio di gestione dei varchi portuali, i parcheggi, i piazzali di sosta per i veicoli e gli impianti di segnaletica. Al suo capitale, al momento della nascita, partecipavano l’Autorità Portuale di Civitavecchia (19%), Autostrade per l’Italia (70 %), Saba Italia (10 %), Royal Bus (1%). L’affido è diretto, in forza delle specifiche competenze nel settore “mobilità” dei soci. Nel 2013, però, cambia tutto. Autostrade e Saba cedono le proprie partecipazioni a Sportiello srl, che si occupa di carpenterie metalliche. Dopo pochi mesi, le quote passano nelle mani della Rogedil Servizi srl, la società di progettazione attiva nei lavori pubblici, di cui è titolare l’avvocato Edgardo Azzopardi. Agli atti dell’inchiesta di Firenze sulla cricca dei Grandi Eventi, ci sono sue intercettazioni con la segreteria di Balducci riguardanti proprio Civitavecchia e la successione all’allora presidente dell’Autorità Fabio Ciani.

Tra le delibere del Comitato portuale pubblicate sul sito Internet istituzionale, non se ne trova nessuna – tra il 2013 e il 2014 – che faccia riferimento alla mutuata composizione del capitale sociale di Port Mobility. Non è un dettaglio, questo. Perché con Rogedil dentro, ha perso la sua vocazione di “mobilità”, in forza della quale aveva ottenuto l’affido diretto della concessione pubblica. Ad agosto dello scorso anno, infatti, Port Mobility invia ad alcune agenzie marittime di Civitavecchia una comunicazione per avvisare che “è stata autorizzata ad espletare il servizio di gestione degli accosti attrezzati per le unità da diporto ubicati nelle banchine 5, 6 e 7”. Si tratta del grande approdo turistico del porto storico davanti al Forte michelangiolesco, destinato agli yacht e solennemente inaugurato il 10 ottobre 2014. Un business notevole. Secondo alcuni esperti di diritto, però, le autorità portuali non possono esercitare, neppure in via indiretta tramite partecipazione ad una società (come nel caso Port Mobility), attività di carattere puramente commerciale. Non solo. Sempre nel biennio 2013-2014 dopo aver modificato oggetto sociale, Port Mobility ha avuto anche i lavori di manutenzione all’interno del porto per 30 anni (una cifra complessiva che supera i 200 milioni di euro) in forza di una delibera dell’Autorità di Pasqualino Monti, la n.44 del 2013.

Tra l’altro il socio di maggioranza, la Rogedil di Azzopardi (che ha anche il 70 per cento della Lazio Cruise Terminal srl, che gestirà la darsena traghetti), ha ottenuto la direzione lavori per la realizzazione del “Primo lotto funzionale di opere strategiche”, per un importo di 4,7 milioni di euro, ampliato con affidamento diretto di altri 180.741 euro.

L’opera sotto inchiesta. Il maxiappalto in questione è stato affidato a procedura ristretta dall’Autorità Portuale il 23 aprile del 2012. Ad aggiudicarsi la commessa da 131 milioni di euro, con un notevole ribasso, sono i soliti colossi del settore: Coopsette, Itinera (gruppo Gavio), Pietro Cidonio spa. Ma a tirare le fila in qualità di capogruppo torna ancora una volta la Grandi lavori Fincosit dei fratelli Mazzi, già coinvolta nell’inchiesta Mose. Un esposto anonimo depositato presso la Procura di Roma e inviato direttamente al procuratore capo, Giuseppe Pignatone, denuncia l’influenza che l’ex-dominus dei lavori pubblici, Angelo Balducci, e il grande mandarino delle Infrastrutture, Ercole Incalza, avrebbero esercitato per spianare le strade del maxiappalto a Fincosit.

Ad oggi non risultano indagini aperte a Roma, ma a scendere in campo è stata la Procura di Civitavecchia, dopo un altro esposto, da parte di alcune imprese proprietarie di cave per estrazione del materiale lapideo. Il 3 giugno del 2014 il cantiere è stato sequestrato dai carabinieri del Noe. Dai primi rilievi sembrerebbe infatti che le nuove banchine costruite per l’approdo delle grandi navi sarebbero state fatte con materiale di scarto, difforme da quello indicato nel capitolato. Se così fosse, si prospetterebbe anche una responsabilità del direttore dei lavori, la Rogedil di Azzopardi. Un mese dopo l’Autorità ha ottenuto il dissequestro ma questo non ha fermato l’inchiesta, e nove persone sono finite sul registro degli indagati.

Dall’Autorità Portuale di Civitavecchia riceviamo e pubblichiamo