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Pio La Torre: 27 anni dall’assassinio. Pochi ne parlano ancora.Eppure dobbiamo a lui la più importante legge contro le mafie!

27 anni dopo Pio La Torre
Aveva rotto due fili che non si possono rompere senza pagare con la vita. Il filo di Jalta per il quale il mondo era diviso in sfere di influenza ed ognuno nel suo ambito si organizzava militarmente come riteneva senza intralci interni; ed il filo dell’equilibrio di potere in Sicilia in cui il potere della borghesia mafiosa non deve essere toccato e la dialettica politica non deve superare certi precisi limiti.  La rottura di questi due fili gli è stata fatale. Il grande movimento suscitato a Comiso attorno alle sue tre direttrici: mafia, sviluppo, pace fu traumatizzato e letteralmente distrutto dalla sua uccisione. Non si è più mai ripreso

Gli anni trascorrono implacabili stratificandosi l’uno sull’altro ed allontanandoci dagli eventi della nostra vita che quasi sbiadiscono nella memoria. Ho conosciuto Pio La Torre dentro la CGIL nei primissimi anni sessanta. Era il Segretario Generale della Cgil siciliana. Lottava per migliorare la condizione dei braccianti agricoli e dei contadini ma seguiva con molta attenzione il processo allora crescente di industrializzazione. Tenne a battesimo i primi nuclei di classe operaia, di proletariato industriale che si andavano formando in Sicilia nel fervore delle tante attività che si installavano attorno ai grandi impianti della Chimica.
Venne ad Agrigento dove io ero segretario della Camera del Lavoro a seguire la grande vicenda dello sciopero alla Montecatini di Porto Empedocle.
L’industrializzazione in corso in Sicilia lo entusiasmava: era enormemente felice della nascita di nuclei di migliaia di lavoratori delle fabbriche e la considerava una svolta epocale dopo un millennio di stasi feudale interrotto all’inizio del novecento dalla stagione dei Florio subito riassorbita e lasciata fallire dallo Stato.
Pio La Torre mi volle nella segreteria regionale della CGIL sin dal 1962 dove poi restai fino al 1986. Quando fu assassinato ero Segretario Generale della CGIL siciliana ed avevo lavorato mesi e mesi con lui nella realizzazione delle iniziative per la pace, contro la base missilistica di Comiso e contro la mafia da lui considerata il tumore che divorava la Sicilia e ne impediva lo sviluppo.

Aveva una capacità di trascinazione straordinaria dovuta alla innocenza e genuinità dei suoi ideali: credeva davvero nelle cose che proponeva. La forza enorme delle sue convinzioni seduceva e mobilitava le persone.
Nella campagna contro i missili di Comiso riuscì a far muovere diecine di migliaia di ragazzi e ragazze, compagni e compagne delle sezioni del Partito (che allora era diffuse in tutta l’Isola), le tre confederazioni sindacali e le Acli. Riuscì a trascinare anche Salvatore Lauricella ed Anselmo Guarraci eminenti dirigenti socialisti il primo Presidente dell’Assemblea regionale l’altro segretario regionale del PSI assieme ai quali io, segretario socialista della CGIL siciliana, mi beccai un duro e nervoso richiamo di Bettino Craxi che, in un corsivo apparso sull’Avanti!, ci richiamava all’ordine e cioè a disertare la lotta per la pace ed isolare Pio La Torre che agiva peraltro non avendo un consenso pieno ed esplicito della direzione del PCI essendovi in questa molti dubbi e perplessità sulla opportunità della sua frontale contrapposizione ai missili di Comiso.

Nei ripetuti raduni di migliaia e migliaia di persone a Comiso nasceva una nuova Sicilia. Pio La Torre aveva fatto balenare ai siciliani la possibilità di un profondo, storico, cambiamento. I missili erano oramai lo scenario in cui si muoveva una nuova politica di dura, profonda e vera alternativa alla conservazione ed alla mafia.
Niente sarebbe più stato come prima se Pio La Torre non fosse stato ucciso. Il movimento popolare avrebbe potuto sconfiggere il blocco sociale da sempre al potere. Poteva cambiare tutto!!

Pio La Torre aveva rotto due fili che non si possono rompere senza pagare con la vita. Il filo di Jalta per il quale il mondo era diviso in sfere di influenza ed ognuno nel suo ambito si organizzava militarmente come riteneva senza intralci interni; ed il filo dell’equilibrio di potere in Sicilia in cui il potere della borghesia mafiosa non deve essere toccato e la dialettica politica non deve superare certi precisi limiti.
La rottura di questi due fili gli è stata fatale. Il grande movimento suscitato a Comiso attorno alle sue tre direttrici: mafia, sviluppo, pace fu traumatizzato e letteralmente distrutto dalla sua uccisione. Non si è più mai ripreso.

Il PCI siciliano, dopo di lui, si ricorda per due cose: l’appoggio dato al movimento per l’abusivismo edilizio capeggiato dall’Onorevole Monello, Sindaco di Vittoria e legittimato dalla segreteria regionale del partito ed il convegno di Villa Witaker con i cavalieri del lavoro catanesi che tracciava un progetto di sviluppo sul modello Catania spacciata per la Milano del Sud. Due scelte che hanno inciso profondamente anche all’Assemblea regionale siciliana aprendo una fase di degenerazione dell’Autonomia oggi culminata nel governo Lombardo dopo i governi Capodicasa, Cuffaro……

Oggi la Regione Siciliana è una mostruosa sanguisuga che assorbe le risorse della Sicilia. Spende miliardi di euro per la sua stessa burocrazia e per alcune categorie sussidiate. Sono convinto che se non esistesse i siciliani starebbero assai meglio. Il sogno di Pio di una Sicilia sviluppata dalla sua Autonomia è finito in una palude.

Sul versante della lotta alla mafia, l’opera di Pio La Torre ha dato i suoi frutti maggiori non solo per la legge che porta il suo nome ma anche per avere aperto la strada ad una generazione di magistrati che si è impegnata e che ha avuto i suoi martiri da falcone a Borsellino a tutti gli altri.
Sulla lotta alla mafia si è fatto molto, moltissimo ma la partita non è stata vinta dal momento che la mafia è ancora parte integrante dello Stato e che la politica non ha alcuna intenzione di debellarla. Oggi i magistrati più esposti sono sottoposti ad un durissimo stress dalle modifiche che si stanno apportando all’ordinamento giudiziario e dalla mancanza di un riferimento istituzionale di sostegno e supporto alla loro azione.

Oggi, ventisette anni dopo, siamo impantanati in una palude e tutto sembra tralignare malignamente dai partiti ai sindacati alle istituzioni. Ma c’è un movimento maturo, colto, generoso, che esiste nella società e che può darci qualche speranza per il futuro.
Pietro Ancona

(Tratto da www.aprileonline.info)