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PECUNIA NON OLET. LA SPREGIUDICATEZZA DI TANTI ITALIANI. LA MAFIA E’ FRA DI NOI

PECUNIA NON OLET. LA SPREGIUDICATEZZA DI TANTI ITALIANI. LA MAFIA E’ FRA DI NOI, NEL VICINO DI CASA,NEL NEGOZIANTE SOTTO IL PORTONE,NELL’AVVOCATO AL QUALE MI RIVOLGO PER UNA LITE DI CONDOMINIO,NELL’INGEGNERE CHE MI STA FACENDO IL PROGETTO PER RISTRUTTURARE CASA, NEL MARESCIALLO, NEL GIUDICE. NON C’E’ BISOGNO DI ANDARLA A TROVARE LONTANO.

Nelle mani della mafia ci sono settemila ristoranti e bar

Di Redazione Informare – 07/10/2020

L’allarme: è corsa degli imprenditori a costituire società di comodo con i clan

Bisogna guardare i numeri, immaginare la montagna di capitali illeciti che si riesce a riciclare dalle attività legali e pulite, impensabili. Basta investire un solo euro in un franchising, intestato a insospettabili, per ricavarne la bellezza di circa 1200. Un solo, stramaledetto euro in un giorno, per mettere nelle casse di un’organizzazione criminale l’equivalente di uno stipendio di un professionista. Se guardi i numeri che ci sono sotto le nuove strategie criminali, non passano più di dieci minuti prima di avvertire brividi di paura. Ci si sente piccoli e spauriti, davanti alla capacità di accumulare fondi che possono riempire un intero caveau di una banca, in poco più di quattro ore.

Tutto si gioca sulla diversificazione e sulla mimetizzazione delle mafie. Solo quattro anni fa, grazie al sistema della s.r.l. semplificata, la ‘ndrangheta è riuscita a riciclare, in una sera, duecentomila euro di ricavo del narcotraffico, nell’acquisto di una farmacia al centro di Milano. Dalla cocaina, sono arrivati fondi per mettere le mani su un business infinito e non tracciabile nel cuore della capitale lombarda. Una farmacia a piazzale Caiazzo, acquistata grazie alla complicità di un direttore delle Poste. È il segno di una mutazione che sembra non voler finire mai. Le organizzazioni criminali moderne hanno iniziato a investire fiumi di danaro nelle più insospettabili attività commerciali, trovando sempre la maniera di non apparire, nemmeno per sbaglio. Sono scomparsi per anni, dietro business inimmaginabili, anche boss scissionisti dell’hinterland napoletano. I Di Lauro, i ContiniMario Potenza e la sua paranza che prima si occupava di contrabbando a Napoli, poi di alberghi e ristorazione di lusso nel cuore della Roma più elegante. Tutti i nomi più importanti del sistema criminale italiano, non hanno semplicemente messo un vestito nuovo. Hanno cambiato modo di agire, di investire, soprattutto di pensare agli affari. Fondamentalmente, hanno capito come sottrarre, guadagnare e riciclare danaro, al pari di fantasmi invisibili.

Ecco le SRL legali che consentono alle mafie di riciclare danaro sporco, senza controlli

Nell’ottanta per cento dei casi, i clan lo hanno fatto con l’appoggio involontario di assurde misure di sostegno alle imprese. Quelle del 2013, targate Governo Monti, su tutte. Due enormi regali alle consorterie che avevano bisogno di riciclare milioni di euro insanguinati. Per costruire società di comodo, capaci di lavare una quantità impensabile di danaro sporco, le mafie hanno dato vita a una serie ininterrotta di “s.r.l. a 1 euro” e “s.r.l. semplificate”. Praticamente, scatole legali che non consentono alcun controllo sul capitale societario e sull’identità di chi fonda un nuovo soggetto d’impresa. Le società a responsabilità limitata a un euro di capitale sono state il colpo mortale all’economia legale, nel corso degli ultimi anni. Grazie a un dispositivo del Governo, è stato possibile attivare delle società senza fondi, addirittura bypassando i costi della registrazione notarile. Il deposito di fondi per il funzionamento delle “s.r.l. a un euro” aveva un’oscillazione, appunto, da appena un euro a 9.999. Cifra meramente simbolica che, nei piani del Governo, avrebbe dato la possibilità di avviare società e start up a centinaia di under 35. E, invece, le organizzazioni criminali sono arrivate prima di tutti. In soli sei mesi, sono state ben 8000 le richieste, la metà delle quali in Campania. Un ritmo di circa 38 nuove società costituite ogni giorno. Clamoroso l’abbaglio entusiastico del Sole24Ore che parlava di “risveglio giovanile, in ambito imprenditoriale”. L’autorevole quotidiano finanziario non si era accorto che la maggior parte delle nuove sigle societarie, nascondeva persone riferibili ad ambienti poco trasparenti dell’imprenditoria deviata, contigua ai sistemi criminali meridionali.

Il gioco delle mafie, in questo tipo di costituzione societaria, è stato così semplice da essere passato sotto silenzio. Una società a 1 euro, infatti, non possiede fondi per l’acquisto di materiale e macchinari e quindi deve appoggiarsi a ditte fornitrici. È in questa falla che le consorterie criminali si inseriscono, dopo aver imposto nomi insospettabili per la costituzione della società. Attraverso le fatture legali verso altre aziende fornitrici, legate alle organizzazioni mafiose, le s.r.l. a 1 euro vengono di fatto controllate dalle mafie, soprattutto per la totale assenza di controlli. Le s.r.l. a un euro non possono partecipare alle gare d’appalto, considerata la loro pressoché nulla consistenza economica, ma hanno piena libertà di manovra su attività che, in quanto frammentate e di piccola consistenza, rappresentano la migliore strategia per il riciclaggio di capitali sporchi.

Mafie con le mani nel business delle pale eoliche, grazie a un altro decreto del Governo

Di pericolosità ancor più preoccupante sono le “s.r.l. semplificate”, costituzioni societarie che, come previsto dal “D.D.L. Concorrenza”, non hanno bisogno di passare al vaglio dei controlli notarili. Di fatto, l’unico filtro di garanzia per esercitare la “Tutela anti riciclaggio”. Le semplificate, infatti, consentono di costituire gruppi societari senza alcun controllo del Notaio sull’identità dei componenti e, soprattutto, sulla conformità a legge dell’oggetto sociale. Praticamente, scopo e ambito della compagine societaria formata non possono essere controllati. Il Decreto governativo, clamorosamente, non consente di entrare nemmeno negli eventuali profili di rischio dei membri di una neocostituita società e, quindi, non è possibile segnalare anomalie alle Autorità di controllo giudiziario. Una manna per le Mafie che hanno usato il sistema delle s.r.l. semplificate per mettere le mani su affari da capogiro, senza essere mai tracciate, per anni. Come per l’enorme business in Molise, a Civitacampomarano, dove un intero parco eolico è stato sequestrato insieme ad altri beni per 2,5 milioni di euro in una operazione della Direzione investigativa antimafia che ha colpito un 57enne di Gela considerato membro del clan Rinzivillo. Cosa Nostra che era riuscita a infilarsi nel ricco giro di milioni per le energie alternative, grazie alle procedure societarie semplificate in molte regioni del Mezzogiorno.

I tentacoli dei clan anche sulle farmacie e sui farmaci antitumorali. Garantisce il Governo.

Non solo business che, per quanto leciti, hanno sempre rappresentato la cerniera di un labile crinale con una sacca opaca di affari imprenditoriali. Addirittura, investimenti sulle farmacie più importanti d’Italia, per lavare i proventi del narcotraffico internazionale. A Milano, la storica farmacia Caiazzo era risultata nella piena disponibilità della mafia calabrese che, attraverso il sistema delle società semplificate, riciclava i soldi del traffico internazionale di droga, anche attraverso la partecipazione alla vendita di farmaci antitumorali. All’interno della farmacia lavoravano il figlio del boss Giuseppe Calabrò e la figlia del direttore delle Poste di Siderno, Giuseppe Strangio, l’uomo che aveva consentito il passaggio dei capitali sporchi per la partecipazione mafiosa nelle attività della farmacia. Il pm Storari – che ha lavorato all’inchiesta coordinata dalla Boccassini insieme al pm Cecilia Vassena – ha spiegato così il fenomeno: “La farmacia garantisce un reddito e un posto di lavoro sicuri oltre a una rispettabilità sociale”.

L’arresto di Strangio è scattato su disposizione del gip Cristina Mannocci per l’ipotesi di reato di “impiego in attività economiche o finanziarie di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto”, punito in caso di condanna con il carcere da 4 a 12 anni. Ancora da chiarire se, nell’indotto criminale delle farmacie, si sia concretizzato il passaggio dei farmaci antitumorali che vengono sottratti con rapine ai mezzi che li trasportano in Europa, per piazzarli a prezzi altissimi anche nei punti vendita di Germania e Francia, gli Stati dove il costo del prodotto è tra i più alti al mondo. Di sicuro, l’ingresso delle organizzazioni criminali nel settore farmaceutico stava per aprire vere e proprie autostrade alla circolazione incontrollata di farmaci e prodotti terapeutici, inseriti nelle liste dei più rubati su commissione delle mafie italiane.

Ristorazione e finto Made in Italy. Le mafie controllano il 60% di tutto l’indotto e i proprietari accettano subito le offerte dei clan per formare nuove società.

Secondo gli ultimi rapporti sulla diversificazione delle strategie economiche della criminalità organizzata, il cibo, la ristorazione, l’intrattenimento serale sono diventati i pallini fissi di boss di calibro internazionale che, spesso, hanno preferito dedicarsi ai loro franchising alimentari, lasciando in secondo piano i traffici di droga e le estorsioni su vasta scala. Ora, si entra direttamente nelle attività che prima si tenevano sotto la morsa stritolante del racket, soprattutto grazie alla frequenza con la quale i ristoratori si rimettono nelle mani delle mafie, anche senza aver mai subito alcuna pressione criminale. È la testimonianza di un profondo cambiamento degli interessi mafiosi. Una concreta mutazione culturale delle organizzazioni e, soprattutto, degli imprenditori che, fino alla loro accettazione del partenariato criminale con i clan, non erano mai incappati nelle maglie della giustizia. Fare affari con la mafia, soprattutto per gli imprenditori “puliti” del settore ristorazione, viene ormai considerato un passaggio normale per sopravvivere alle normative di settore e, soprattutto, alla pressione fiscale che, a detta degli stessi imprenditori, è sempre poco adatta al loro volume di affari. E allora, ecco la mutazione: circa 7000 ristoranti e pub controllati dalle mafie con un sistema ormai collaudato.

Niente più estorsione, ma l’avvicinamento dei referenti di un clan al gestore di un’attività in crisi o magari commercialmente in fase delicata. L’organizzazione propone di introdurre capitali per aiutare l’imprenditore della ristorazione in difficoltà, dividendo in parti uguali gli utili, magari reinvestendo nelle aperture di nuovi punti di ristorazione. Sorgono così veri franchising come “Zio Ciro”, “Sugo” che, dalle piccole realtà campane fagocitate con la tecnica del “socio occulto”, hanno colonizzato Roma, con l’apertura di oltre trenta ristoranti, a due passi persino da Palazzo Chigi, al centro di piazza Navona, o magari nel punto più importante del quartiere Prati, vista Cupolone. Il clan Contini, ad esempio, alla fine del 2014, si è visto sequestrare 23 ristoranti nella Capitale, oltre a 250 milioni di euro. Erano attività di ristorazione unite, nella maggior parte dei casi, da marchi di franchising creati proprio dalle organizzazioni criminali. Spesso, sigle sorte grazie alle agevolazioni imprenditoriali che permettevano di eludere i controlli notarili. Durante le operazioni di notifica delle custodie cautelari, nell’ambito dell’operazione sui ristoranti dei Contini a Roma, Giuseppe Cristarelli, uno degli indagati, si è suicidato misteriosamente, in un appartamento di collina Fleming.

È un vortice nerissimo, quello della ristorazione nelle mani dei padrini mafiosi.

Appena qualche anno fa, il caso di Marco Iorio, vip della ristorazione, amico di calciatori e sottosegretari, aprì uno squarcio nella rete di omertà che c’era sul settore alimentare criminale. Tra i suoi soci, l’ex senatore di Forza Italia Antonio Maione e l’ex deputato Antonio Martusciello, uno dei fondatori del partito berlusconiano. C’erano poi calciatori come Fabio Cannavaro, titolare di un quinto della compagine, e altri – Borriello, Palladino e Molinaro – che secondo le intercettazioni stavano entrando nell’impresa. I magistrati ritengono che Iorio sia stato “socio di fatto per oltre dieci anni” di un soggetto molto più opulento e ingombrante: Mario Potenza, ‘o Chiacchierone, l’erede della famiglia che ha dominato il contrabbando di sigarette. Potenza è ricco sfondato: è lui che nascondeva gli 8 milioni di euro murati nelle pareti di casa. Secondo gli investigatori ha moltiplicato il tesoro dei tabacchi attraverso l’usura. Potenza è una “one man bank”, che prestava soldi soltanto agli imprenditori, fino a mezzo milione con un tasso del 2 per cento al mese. È stato intercettato mentre riscuoteva le rate di quattro di questi “finanziamenti” e prometteva: “Sparo prima a te e poi a lui”. I pm ritengono che non ci sia un confine definito tra le sue quote e quelle di Iorio e hanno ordinato il sequestro di 17 locali”. Così scrivevano i quotidiani nazionali, all’indomani della scoperta del sistema mafioso in franchising come “Regina Margherita” (settemila euro di incasso in poco meno di quattro ore, ogni sera), “Bar Cocozza” e la catena di pub “Nexxt”.

Spuntano poi i referenti del clan Terracciano e altri uomini vicini al gruppo di fuoco dei Contini che, poco tempo fa, si erano messi a lavorare per prendersi definitivamente tutta la ristorazione, tra alto Lazio e Toscana. I Contini, riapparsi con ben 5 aziende di ristorazione tra Pisa e Viareggio e i Terracciano, appunto, con le mani avvinghiate alle catene di ristoranti “Don Chisciotte” e a quelle intitolate all’altro personaggio romanzesco “Sancho Panza”, sempre in piena terra toscana.

Prima dei grandi blitz sui ristoranti delle mafie, qualcosa indirizzò gli inquirenti. Una crepa nel muro, a casa di Mario Potenza. C’erano otto milioni di euro in contanti. Era la parte finale di un investimento mensile di 20 milioni per rilevare altri ristoranti, in nome e per conto delle organizzazioni criminali campane.

Per la prima volta, un business diverso da droga, appalti e racket è esploso nelle cronache giudiziarie. Non sono investimenti in grandi titoli, né capitali portati in paradisi fiscali. Sono i ristoranti, dove persino il boss Di Lauro aveva deciso di puntare quasi il dieci per cento dei proventi insanguinati. È tra i tavoli e le cucine di sempre nuovi locali che, secondo gli organi di controllo, si stanno riciclando somme sporche, capaci di sostenere la finanziaria di un piccolo stato. La mafia a tavola, appunto.

Un banchetto criminale in espansione inarrestabile e invisibile.

di Salvatore Minieri

TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE N°210
OTTOBRE 2020